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18/02/2013 - 14:36

La Vela speriamo che se la cava

Alba o tramonto per la vela?

Il settore dimostra una vocazione all’harakiri. Dopo le tendenze scissioniste dello scorso autunno, adesso a Livorno si confrontano due eventi analoghi ma di “parrocchie” diverse. La divisione uccide la vela. Con la complicità di alcuni media

La crisi sta finendo, finirà prima o poi, le cose riprenderanno a girare, ci vuole ottimismo e noi lo abbiamo. Ma la vela sta facendo davvero di tutto per farsi trovare impreparata e distrutta all’appuntamento. Guardate cosa sta avvenendo da qualche mese, nel mondo degli operatori, per le occasioni di visibilità, di comunicazione al mercato, di incontro tra domanda e offerta, di promozione della barca a vela come prodotto e stile di vita.

Ricordate le polemiche roventi prima e dopo il salone nautico di Genova dello scorso anno? Un gruppo di operatori  tentò un clamoroso contropiede ai danni del salone, inventandosi un evento espositivo solo per la vela ma sempre a Genova (Marina Aeroporto) e negli stessi giorni. A tenerli insieme, a gestirli, un po’ l’associazione Vela & Vela e un po’ una rivista di settore. Sappiamo come è andata: reazioni a catena a livello istituzionale, minacce di ricorrere ai tribunali, operatori divisi e alla fine tornati all’ovile della Fiera di Genova (nella quale peraltro la vela fece un figurone, a dimostrazione di quali sono le strade da percorrere...).

Sono passati dei mesi, il salone di Genova si dibatte nei tormenti, si è autoridotto a 5 giorni (2-6 ottobre) e si è rifatto il lay-out, ma sotto sotto neanche in UCINA sono sicuri di rispettare l’appuntamento. Gli altri saloncini sono a loro volta tutti più o meno alla frutta, per forza di cose con la crisi che non passa. E cosa fa “la vela” (intesa come “settore”, o “comparto” come si dice oggi, ammesso che come tale si possa individuare e trattare)? Si unisce, si incontra, cerca di rinsaldare le fila, creare alleanze, crescere, maturare una visione collettiva, da categoria? Neanche per sogno. La vela si divide in tanti feudi, uno più piccolo e malandato dell’altro, l’un contro l’altro. E la cosa più assurda: lo fa tirata per la giacchetta, sapete da chi? Da alcuni media. I quali sono colpiti duramente dalla crisi e cercano di riciclarsi in qualche modo, per sopravvivere. Ma qui sta il paradosso. Perchè i media stessi non si rendono conto che questo comportamento alla lunga (ma anche sul breve) è suicida: se il settore non è unito e in grado di esprimere una visibilità da categoria e una comunicazione coordinata, la sua disintegrazione porterà a fondo anche loro, i media.

L’inverno ci ha portato una nuova iniziativa, questa volta di un’altra rivista specializzata. Che ha “inventato”, si fa per dire, un evento per la promozione della vela, chiamato “Festival” (nome che già la dice lunga), un po’ più a sud ma sempre sulla stessa linea di costa, a Livorno. Questo Festival si dovrebbe svolgere a fine marzo. Nel promuoverlo, gli “organizzatori” hanno usato una frase sinistramente profetica: “La vela si fa la festa”. Cosa dovrebbe contenere il Festival? Gli annunci sono quelli di un vero salone nautico, anche di più: “Tutte le barche dei migliori cantieri da 2 a 25 metri, dalle derive ai cruiiser, dai multi ai monotipi, puoi anche salire a bordo...” E ancora: “Allo Yacht Club Livorno e lungo le banchine del Molo Mediceo oltre a decine di barche da 2 a 20 metri trovi anche centinaia di accessori e attrezzature, servizi per la nautica, serate evento, mostre, video, buon cibo e tanto altro”.

Chi può negare che un evento del genere possa essere apprezzabile, incontrare le esigenze degli appassionati, alimentare le speranze degli operatori che non sanno più come vendere barche e contorno?

Chi può però anche negare che un evento del genere, se fosse serio, non dovrebbe essere organizzato da una rivista specializzata ma da una vera, unica, grande, seria, associazione di categoria che unisce tutti gli operatori economici che investono soldi ed energie nel settore spesso per pura passione?

Ecco perchè le nostre aspettative per questo Festival sono piuttosto cupe. Volete la prova? Sentite il resto...

Abbiamo parlato all’inizio di feudi, ricordate? E infatti cosa succede al feudo del Festival? Così come era successo al feudo del Marina Aeroporto, anzichè unire, come vorrebbe lo spirito di un progetto comune, divide. Anzichè andare insieme, va contro. Riuscite a spiegarvi razionalmente il senso di un evento organizzato a Livorno, quando la stessa città poche settimane più tardi ospiterà una kermesse storica (e con molte similitudini) come il Trofeo Accademia Navale? Puntuale come una disgrazia è arrivata infatti la divisione: quelli del Trofeo Accademia ci sono rimasti male (voi come vi sareste sentiti al loro posto?). Quel che resta di Vela & Vela (con rivista di turno) è ripartito all’attacco: “l’iniziativa del Festival divide il mondo della vela, il giornale che l’ha promossa sarebbe anche socio dell’associazione” (!), “è scorretto promettere sconti sulle pagine pubblicitarie in cambio della presenza come espositori”, “esporre comunque ha costi piuttosto salati, in più c’è un biglietto di ingresso per i visitatori”, eccetera... E allora: “noi appoggiamo il Trofeo Accademia”.

Siccome al peggio non c’è mai fine, accade quindi che il gruppo fomentato dall’altra rivista specializzata ha deciso in qualche modo di appoggiare proprio il TAN (che ha alle spalle, tra gli altri, la Marina Militare, la Capitaneria di Porto e l’autorità portuale), il quale avendo al suo interno un “villaggio tuttovela” (iniziativa risibile, gestita rozzamente e mai veramente decollata in quanto tale, è rimasta un variopinto contorno al Trofeo), pensa di potersi offrire agli operatori come proposta alternativa a livello “espositivo”. E vedrete che le “due vele” di Livorno, a distanza di due settimane, troveranno persino il modo di proclamare due (o più) velisti dell’anno o premi simili.

Riassumiamo: la crisi sta uccidendo la nautica e con essa affonda la vela. Gli operatori, imprenditori, gente che vive di vela, sono confusi. Intorno ad essi si inscenano preudo-iniziative associative e pseudo-idee risolutive. Prima li portano a fare la guerra al salone nautico internazionale italiano, mettendosi contro una città, poi continuano a illuderli a La Spezia, quindi (da un’altra parrocchia, o feudo) gli lanciano un Festival a Livorno, mettendosi contro una città. Allora l’altro feudo, o parrocchia, si allea con la città e per ripicca punta a rilanciare qualcosa di irrilanciabile. E’ la guerra dei poveri.

Speriamo solo di non farci troppo male da soli, vista la vocazione all’harakiri che stiamo dimostrando. Speriamo che passi la primavera e che le varie iniziative feudo-parrocchiali siano indolori, e che chi coraggiosamente vi parteciperà possa almeno rientrare dei costi. Che non restino sul terreno le macerie del confronto tra due sgangherate armate brancaleone. Così potremo trarre vantaggio da una stagione di vela importante, con la Coppa America e grandi imprese di velisti italiani all’orizzonte, intorno a cui fare quadrato e comunicazione, per vivere un autunno di ripresa, magari già a Genova e Trieste, visto che finalmente non avremo più la sovrapposizione tra salone e Barcolana.

Quanto al resto, alla “visione” che la nautica e la vela dovrebbero dimostrare di avere come settore, ecco cosa penso. L’associazione di categoria della nautica (UCINA) va rifondata dopo il livello al quale l’ha portata l’attuale dirigenza. Il suo legame, anche geografico (hanno la stesa sede), con il salone di Genova si deve spezzare, ma contemporaneamente va salvaguardato e rinforzato l’unico salone nautico internazionale del paese. Di più, e in fretta, la gestione dei maggiori saloni nautici italiani, in numero di tre o quattro bene individuabili, deve essere affidata a un’unica società formata dai vari enti fiera e dalla nuova Ucina, garantendo qualità e serietà, come avviene (guarda caso) in Francia e Inghilterra. Nella nuova associazione di categoria deve essere previsto uno spazio apposito per gli operatori del settore della vela, riuniti in gruppo vero e coeso, con appoggio e collaborazione della stessa FIV. I giornali e i media devono concentrarsi nel fare bene il loro mestiere e non riciclarsi in altro business. Vi sembra difficile? Può essere impossibile, se le cose restano come sono e in mano alle stesse persone. Può diventare facile, se queste cambiano. Segnali positivi non mancano, speriamo solo che la vela non si uccida prima di vedere la luce.

Commenti

Anonimoroberto (non verificato)

Io penso che la colpa se cosi' si puo'ì chiamare non sia " esclusivamente " di un gruppo di operatori del settore , di una testata giornalistica del settore di questo o quel giornalista , o del magnate di turno ,azienda, privato o semplice cordata . Questi signori si sentono autorizzati a esprimere le proprie simpatie o i propi interessi come meglio credono anche perche' nessuno pone il problema : basti pensare al premio velista dell'anno che in Italia ha la sua piu' ampia divinazione col risultato di mortificare lo sport della vela e i suoi atleti , mi sembra che siamo arrivati a 4 0 5 e ultimamente sono arrivati anche i sottoprodotti con relativa specifica e motivazione , in Europa si piegano in due dalle risa ..... lo chiamano il premio velista spaghetti & mandolino . La Federazione di competenza ha il dovere di intervenire e porre fine a questo scempio concedendo il suo imprimatur quando e' il caso come accade in tutte le Federazioni del Pianeta , cosi' facendo va' da se' che qualsiasi ulteriore attivita' al di fuori dell'egidia dell'organismo di controllo e garanzia della Federazione e degli enti competenti viva di lice propria e basta , ma e' assolutamente necessario prendere posizione e soprattutto non presenziare o far presenziare da uomini istituzionali se non si decide di porre il patrocinio all'evento o al premio .

Anonimorobertor... (non verificato)

Prossima destinazione : Big/Blu' , e mi sembra che anche in romagna ci sia lavoro . Roba da fumetti da strapazzo ...

Anonimorobertor... (non verificato)

E non continuare a nascondersi dietro il dito ,e questo vale per tutti !!!!!

Paolo Recalcati (non verificato)

Dal mio punto di vista il Salone Nautico di Genova è finito quando sono scomparse, per troppi costi dello stand penso, le derive e le piccole imbarcazioni a vela. E' vero che il fatturato delle ditte che trattano la vela in Italia lo fanno le barche grosse (semicabinati, cabinati ecc...) ma la vela deve partire dal basso, dal ragazzo che inizia sull'Optimist, sul 420, sul Hobie 16 e poi finisce alla vela d'altura. Gli ultimi Saloni che ho visto vi erano solo due / tre espositori di piccole imbarcazioni (mi ricordo Negri Nautica con la serie Laser e Bolsena Yachting con la serie Hobie Cat): il pubblico dei "piccoli" regatanti (piccoli poi mica tanto visto che è dalle derive che nascono i campioni olimpici!) non potevano vedere imbarcazioni, capire le differenze, parlare con chi le usa e chi ci regata ecc... . Quindi a volte altre manifestazioni, più locali o più tarate su un livello di vela da "spiaggia" sono state più interessanti e hano avuto anche più riscontro presso i rivenditori e il pubblico normale (oltre a costare meno per gli spazi espositivi). Perchè nei Saloni nautici francesi sono state presentate novità nel campo delle piccole imbarcazioni mentre a Genova non era presente neppure la produzione standard? Non è che forse Genova si è seduta sugli allori della nautica plurimilionaria lasciando perdere l'utente medio che magari acquista una deriva o un cat usato e lo cambia ogni tre quattro anni? Gli organizzatori si facciano un esame di coscienza e poi uniscano le forze presentando però, nei loro Saloni, un panorama velico che passa dalle piccole imbarcazioni e arrivi ai grandi yacht.
Grazie Paolo, condivido pienamente il discorso sulle derive e le piccole barche come base (non solo di mercato, direi di più: culturale) per far crescere la vela e quindi sull'obbligatorietà della loro presenza ai saloni. Purtroppo la crisi ha quasi distrutto quel settore in Italia, e i margini per fare una fiera non li ha più nessuno, neanche Laser o Hobie... Ma opportunamente anche tu concludi: gli organizzatori uniscano le forze, dopo un esame di coscienza. Se chi fa saloni nautici non si mette in testa che deve farlo CON e PER gli operatori e non CONTRO, non solo succhiando soldi, sarà il primo a morire.