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23/01/2014 - 18:13
All is Lost con Robert Redford: un altro danno per la vela- GUARDA IL TRAILER
All is Lost con Robert Redford: un altro danno per la vela- GUARDA IL TRAILER
Perchè il Cinema
odia la vela?
odia la vela?
Il film con Robert Redoford in uscita nelle sale. Lo abbiamo visto in anteprima e vi raccontiamo perchè secondo noi danneggia gravemente la vela. Guarda il trailer
Forse non tutto è perduto, ma certi film come All is Lost te lo fanno proprio pensare. Ne parliamo brevemente, perché di più non vale la pena, ma qualche sottolineatura giova. C’è una premessa, già fatta e da confermare, con forza: All is Lost, il “film” del giovane regista J.C. Chandor con Robert Redford, non è un film di vela, né sulla vela. La vela con questo film non c’entra nulla! Bisognerebbe, per correttezza, che fosse scritto all’inizio, come quegli avvisi tipo “vietato ai minori”, o “minori accompagnati”, o gli avvisi sui “contenuti offensivi”. Sarebbe un atto di correttezza per chi della vela è amante, appassionato, praticante, conoscitore, estimatore, amico. Il quale, trovandosi ignaro nella sala attratto dalla locandina di un Robert Redford skipper in cerata al timone in una bella tempesta, resterà invece irrimediabilmente intrappolato in qualcosa di fondamentalmente inutile, come sempre sono le storie senza capo né coda.
106 minuti senza dialogo. Redford parla una sola volta e dice due parole: “Dio!” e “Cazzo!”. Si trova da solo su uno sloop di 39 piedi piuttosto datato, non si sa perchè ma di sicuro per caso, visto che in tutti i suoi movimenti emerge notevole incompetenza tecnica. Non è un velista, non è un navigatore. Le sue reazioni sono lente, incredule, sembra un pugile suonato costantemente alle corde, finisce per fare una serie continua di sciocchezze. Il film inizia con la sua barca che fa acqua dopo l’urto contro un container. Lui si sveglia di soprassalto con l’acqua alle caviglie. E il botto, non l’ha sentito? Parliamo di questo “botto”: avviene col mare in calma piattissima, eppure apre una falla di mezzo metro sulla fiancata… Da lì in avanti è una spirale che non da tregua di lunghi gesti velisticamente incongrui. Lui che cade in mare nel mettere la tormentina e rischia di restarci impigliato. Lui che si ubriaca, o che si rade con la barca ormai semi-affondata e l’acqua alle ascelle. Lui che riempie di acqua dolce una tanica da caricare sulla zattera ma lascia aperto uno dei due tappi e così si ritrova imbevibile liquido di sentina. Lui che nella dinette va a sbattere la testa sull’albero passante e sviene (questa in verità è quasi comica, difatti la gente in platea ride). La barca che fa una capriola tutta cinematografica ripresa da dentro, con lui che sembra un asciugamano in una lavatrice. Lui che dopo il disalberamento libera il tronco fuori bordo con una semplice sforbiciata a un cavo… Un temporale e si trasforma in tempesta perfetta che affonda la barca: per finire il naufrago su una zattera autogonfiabile, dove ne combina di tutti i colori, non riesce a farsi vedere da navi che passano a venti metri da lui (senza fare un centimetro di onda), fino all’apoteosi di dare fuoco all’atollo...
Ignari della scienza della sopravvivenza in mare, ormai arrivata a livelli di grande competenza, dai tempi dell’eroico test di Alain Bombard, regista, produttori e attore vogliono solo attanagliare lo spettatore, spaventarlo. Ci riescono. Di più: nel caso di spettatori che siano (anche superficialmente) velisti, li infastidiscono. Alle parole, il film sostituisce il frastuono osceno dei rumori della barca. Sapete quei bei rumori, il fruscio delle onde sullo scafo, il crepitio delle paratie, lo scampanellio delle drizze, lo schioccare di una vela e di una scotta? Insomma il bello della vela? Diventano tutti rumori sinistri, presagi di tragedia. Diventano terrore puro. Un horror, ecco una definizione migliore per All is Lost.
Stabilito che All is Lost non è un film di vela o sulla vela, resta da chiedersi perché il cinema ce l’abbia con questo sport. E’ difficile trovare qualche film che parla di mare e di vela in termini, non dico epici e meravigliosi, ma almeno “normali”, giusti. Il cinema deve odiare la vela, se le barche sono sempre il teatro ideale di tragedie, thriller, omicidi. Sarà lo spazio angusto, sarà l’immensità del mare. Anche All is Lost non sfugge al clichè: la vicenda soffocante, claustrofobica, di un anziano viaggiatore che per una serie di incidenti lungo la strada si trova a lottare per la sopravvivenza, guarda caso ha per sfondo il mare e per teatro una barca a vela. Adesso mi chiedo: dovendo il Cinema, come media, rivolgersi alla massima audience possibile, a un pubblico vasto, perché un tema potenzialmente interessante come appunto il confronto tra un uomo e la morte, la lotta per sopravvivere, giorno dopo giorno, è stato ambientato su una barca a vela in mezzo al mare? Non sarebbe stato più comprensibile a tutti, un film su un uomo “normale” che lotta per sopravvivere nella vita “normale”, in una città inquinatissima, aggredito dai veleni e dallo stress, esposto ai rischi elevatissimi nella trappola della sua auto, o delle migliaia di gravi incidenti domestici? O in ospedale contro una delle malattie del nostro tempo? C’è molta più sopravvivenza in queste vite normali. Anche statisticamente, la probabilità che accada una vicenda come quella immaginata dal film sono scarsissime. Ecco perché è inutile. Ma non basta, perchè – per la vela e il suo mondo – oltre alla beffa c’è il danno. Quali conseguenze immaginate, dal far vivere sensazioni di terrore e paura legate all’uso di una barca a vela? Come minimo, la voglia di acquistare una barchetta, che magari stava facendosi faticosamente strada, viene spazzata via. E anche quella di charterizzare una barca. Troppi rischi ad andar per mare! Vuoi mettere quanto è più sicuro infilarsi, un giorno di più, nella propria auto, sorpassare TIR a 130 km all’ora, importare nei polmoni l’aria di una megalopoli?
La vela ringrazia, dunque. Ma anche questo, a ben vedere, non può bastare. Non possiamo sempre solo lamentarci. La vela ha storia, cultura, uomini, immagine e valori da riuscire a comunicare, anche al Cinema.
IL TRAILER DEL FILM
Forse non tutto è perduto, ma certi film come All is Lost te lo fanno proprio pensare. Ne parliamo brevemente, perché di più non vale la pena, ma qualche sottolineatura giova. C’è una premessa, già fatta e da confermare, con forza: All is Lost, il “film” del giovane regista J.C. Chandor con Robert Redford, non è un film di vela, né sulla vela. La vela con questo film non c’entra nulla! Bisognerebbe, per correttezza, che fosse scritto all’inizio, come quegli avvisi tipo “vietato ai minori”, o “minori accompagnati”, o gli avvisi sui “contenuti offensivi”. Sarebbe un atto di correttezza per chi della vela è amante, appassionato, praticante, conoscitore, estimatore, amico. Il quale, trovandosi ignaro nella sala attratto dalla locandina di un Robert Redford skipper in cerata al timone in una bella tempesta, resterà invece irrimediabilmente intrappolato in qualcosa di fondamentalmente inutile, come sempre sono le storie senza capo né coda.
106 minuti senza dialogo. Redford parla una sola volta e dice due parole: “Dio!” e “Cazzo!”. Si trova da solo su uno sloop di 39 piedi piuttosto datato, non si sa perchè ma di sicuro per caso, visto che in tutti i suoi movimenti emerge notevole incompetenza tecnica. Non è un velista, non è un navigatore. Le sue reazioni sono lente, incredule, sembra un pugile suonato costantemente alle corde, finisce per fare una serie continua di sciocchezze. Il film inizia con la sua barca che fa acqua dopo l’urto contro un container. Lui si sveglia di soprassalto con l’acqua alle caviglie. E il botto, non l’ha sentito? Parliamo di questo “botto”: avviene col mare in calma piattissima, eppure apre una falla di mezzo metro sulla fiancata… Da lì in avanti è una spirale che non da tregua di lunghi gesti velisticamente incongrui. Lui che cade in mare nel mettere la tormentina e rischia di restarci impigliato. Lui che si ubriaca, o che si rade con la barca ormai semi-affondata e l’acqua alle ascelle. Lui che riempie di acqua dolce una tanica da caricare sulla zattera ma lascia aperto uno dei due tappi e così si ritrova imbevibile liquido di sentina. Lui che nella dinette va a sbattere la testa sull’albero passante e sviene (questa in verità è quasi comica, difatti la gente in platea ride). La barca che fa una capriola tutta cinematografica ripresa da dentro, con lui che sembra un asciugamano in una lavatrice. Lui che dopo il disalberamento libera il tronco fuori bordo con una semplice sforbiciata a un cavo… Un temporale e si trasforma in tempesta perfetta che affonda la barca: per finire il naufrago su una zattera autogonfiabile, dove ne combina di tutti i colori, non riesce a farsi vedere da navi che passano a venti metri da lui (senza fare un centimetro di onda), fino all’apoteosi di dare fuoco all’atollo...
Ignari della scienza della sopravvivenza in mare, ormai arrivata a livelli di grande competenza, dai tempi dell’eroico test di Alain Bombard, regista, produttori e attore vogliono solo attanagliare lo spettatore, spaventarlo. Ci riescono. Di più: nel caso di spettatori che siano (anche superficialmente) velisti, li infastidiscono. Alle parole, il film sostituisce il frastuono osceno dei rumori della barca. Sapete quei bei rumori, il fruscio delle onde sullo scafo, il crepitio delle paratie, lo scampanellio delle drizze, lo schioccare di una vela e di una scotta? Insomma il bello della vela? Diventano tutti rumori sinistri, presagi di tragedia. Diventano terrore puro. Un horror, ecco una definizione migliore per All is Lost.
Stabilito che All is Lost non è un film di vela o sulla vela, resta da chiedersi perché il cinema ce l’abbia con questo sport. E’ difficile trovare qualche film che parla di mare e di vela in termini, non dico epici e meravigliosi, ma almeno “normali”, giusti. Il cinema deve odiare la vela, se le barche sono sempre il teatro ideale di tragedie, thriller, omicidi. Sarà lo spazio angusto, sarà l’immensità del mare. Anche All is Lost non sfugge al clichè: la vicenda soffocante, claustrofobica, di un anziano viaggiatore che per una serie di incidenti lungo la strada si trova a lottare per la sopravvivenza, guarda caso ha per sfondo il mare e per teatro una barca a vela. Adesso mi chiedo: dovendo il Cinema, come media, rivolgersi alla massima audience possibile, a un pubblico vasto, perché un tema potenzialmente interessante come appunto il confronto tra un uomo e la morte, la lotta per sopravvivere, giorno dopo giorno, è stato ambientato su una barca a vela in mezzo al mare? Non sarebbe stato più comprensibile a tutti, un film su un uomo “normale” che lotta per sopravvivere nella vita “normale”, in una città inquinatissima, aggredito dai veleni e dallo stress, esposto ai rischi elevatissimi nella trappola della sua auto, o delle migliaia di gravi incidenti domestici? O in ospedale contro una delle malattie del nostro tempo? C’è molta più sopravvivenza in queste vite normali. Anche statisticamente, la probabilità che accada una vicenda come quella immaginata dal film sono scarsissime. Ecco perché è inutile. Ma non basta, perchè – per la vela e il suo mondo – oltre alla beffa c’è il danno. Quali conseguenze immaginate, dal far vivere sensazioni di terrore e paura legate all’uso di una barca a vela? Come minimo, la voglia di acquistare una barchetta, che magari stava facendosi faticosamente strada, viene spazzata via. E anche quella di charterizzare una barca. Troppi rischi ad andar per mare! Vuoi mettere quanto è più sicuro infilarsi, un giorno di più, nella propria auto, sorpassare TIR a 130 km all’ora, importare nei polmoni l’aria di una megalopoli?
La vela ringrazia, dunque. Ma anche questo, a ben vedere, non può bastare. Non possiamo sempre solo lamentarci. La vela ha storia, cultura, uomini, immagine e valori da riuscire a comunicare, anche al Cinema.
IL TRAILER DEL FILM
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pierpang (non verificato)
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Emanuele (non verificato)
guido (non verificato)
Emanuele (non verificato)
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sabino (non verificato)
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