PROFILO

20/05/2013 - 18:21

Il Robin Hood dello Sport

E’ il presidente della Fidal Alfio Giomi, che ha avanzato al Consiglio nazionale del Coni una proposta ufficiale: “Meno soldi pubblici al calcio”. Giovanni Malagò ci fa un pensierino... E la FIV, che posizione prende? Per il momento resta in silenzio

All’ultimo Consiglio CONI (a parte il neo ministro Iosefa Idem), il figurone l’ha fatto il presidente della Federazione Atletica leggera, Alfio Giomi, neo eletto da pochi mesi. Cosa ha fatto Giomi? Semplicemente ha detto, e messo all’ordine del giorno del CONI, un tema potenzialmente deflagrante: dare meno soldi al calcio e più agli sport cosiddetti minori. Un concetto chiaro e limpido, che peraltro non prende affatto in contropiede il neo presidente CONI Gianni Malagò. Anzi: il capo dell’Aniene non ha fatto mistero anche in campagna elettorale di puntare a un giusto ridimensionamento del calcio, a vantaggio di tutte le altre discipline.

Adesso, grazie a Giomi e all’Atletica, il tema è sul tavolo del CONI in bella vista. E non si può più fare finta di niente.

In questo senso sarebbe auspicabile sull’argomento una presa di posizione anche da parte della FIV. Per il momento il tresidente (ISAF-FIV-YCI) Carlo Croce, tace. In passato l’idea di una redistribuzione di risorse tra gli sport deve essergli parsa interessante. Ma adesso che sarebbe utile un intervento, anche solo di solidarietà al collega Giomi, dalla Federvela non arriva nulla.

L’INIZIATIVA DI GIOMI: TOGLIERE AL CALCIO PER DARE AGLI ALTRI SPORT
Di seguito un brano sulla proposta avanzata all’ultimo Consiglio Nazionale del CONI, tratto da un articolo di Lorenzo Vendemiale (ilfattoquotidiano.it)
Meno soldi pubblici al calcio. La proposta – che suona quasi come un proclama di guerra – è di Alfio Giomi, neo presidente della Federazione italiana di atletica leggera (Fidal). E’ stata avanzata ieri, nel privato della Giunta Nazionale del Coni, e oggi pubblicamente in Consiglio. “E’ arrivato il momento di rivedere i criteri di ripartizione dei fondi del Coni” ha affermato davanti ai presidenti delle varie Federazioni (ma non di Giancarlo Abete, numero uno della Figc, ad Amsterdam per la finale di Europa League).

La tesi del presidente Fidal è chiara: “Non ci sono più i presupposti perché una Federazione sia considerata al di sopra di tutte le parti”. Ed è questo, appunto, che accade con la Figc: a cui ogni anno è riservata una percentuale fissa (pari al 18%) dei contributi che lo Stato passa al Comitato Olimpico. Tutti gli altri, federazioni e enti sportivi, ricevono invece fondi in base a vari parametri, fra cui numero di tesserati, personale, risultati sportivi. Così nel 2013 alla sola Figc sono andati 62 milioni di euro di fondi Coni. Mentre la seconda federazione più ricca (proprio quella di atletica leggera) si è fermata a quota 4,5 milioni circa.
Questo è il risultato della normativa in vigore dal 2005, da quando il Totocalcio è passato nelle mani dei Monopoli di Stato e il Coni ha perso la sua autonomia finanziaria: allora una delibera del Consiglio nazionale, con intesa governativa, stabilì una quota fissa che il ministero avrebbe passato al Coni, di cui il 18% sarebbe spettato alla Figc (in virtù del fatto che questa già prendeva in precedenza una percentuale fissa sui ricavi del Totocalcio).

E le reazioni, infatti, non sono mancate. Della proposta in Consiglio si è discusso per oltre un’ora. “Si tratta di un’esigenza chiaramente condivisa, il 95% dei presidenti sta dalla mia parte”, si dice sicuro Giomi. Chi invece di certo non è d’accordo è Gianni Petrucci, ex presidente Coni e ora a capo della Federazione Italiana Pallacanestro, che ha definito “inopportuno” il discorso di Giomi, sottolineando come la Figc utilizzi i contributi pubblici per le attività dilettantistiche e giovanili. Vero è, infatti, che neppure un euro di quei soldi va alle società professionistiche, in base all’accordo firmato nel 2005. Ed è altrettanto vero che il calcio, in quanto sport più ricco, è anche quello che contribuisce maggiormente alle finanze dello Stato, versando oltre un miliardo di euro l’anno.

“Ma io pongo un problema di metodo e non di merito”, ribadisce Giomi. “Quello che mi premeva, comunque, era avviare una riflessione”. E il risultato è stato raggiunto. Una commissione adibita ai criteri di ripartizione dei fondi esiste da sempre. Da poco, però, è stata rinnovata. E spetterà a lei – come ha sottolineato di recente Giovanni Malagò, presidente del Coni eletto lo scorso febbraio – stabilire se confermare o rivedere gli attuali parametri, ed eventualmente sottoporre una nuova proposta al voto del Consiglio. Stavolta, però, si tratterà di decidere nello specifico se andare a toccare la fetta di torta destinata alla Figc. E l’ipotesi non è da escludere, considerando che lo stesso Malagò in campagna elettorale non si era dimostrato molto tenero nei confronti del calcio. La commissione è composta da 11 membri, tre alti dirigenti Coni e otto consiglieri nazionali. Fra questi c’è il “rivoluzionario” Giomi, ma nessun rappresentante del calcio. E’ sempre stato così, ma adesso che in ballo ci sono gli interessi del mondo del pallone questa circostanza potrebbe diventare decisiva. La partita è appena cominciata e la Figc dovrà giocarla tutta in difesa. (www.ilfattoquotidiano.it)

Commenti

AnonimoMamut (non verificato)

D'impeto: Meno soldi al calcio? Certo, ma prima bisogna avvicinare la Vela al Calcio sotto un profilo: quello dell'accessibilità. Per giocare a pallone bastano pochi centesimi: una palla, due oggetti che facciano da porta e un po' di spazio. Per andare a vela ci vogliono, tra l'altro, oltre la barca (che rappresenta un problema superabile, perché una barca usata economica è facilmente reperibile), il porto in cui ormeggiarla e nel quale farci la manutenzione. E i porti sono in mano ai privati e sono cari, sia per l'ormeggio, sia per la manutenzione, che non è quasi più possibile fare da soli. Ciò che non è nelle mani degli imprenditori privati, è nelle mani dei circoli, che ti consentono, sì, di fare agonismo, ma senza i quali l'agonismo ti è, praticamente proibito. Meno soldi al calcio ok, ma, se vogliamo che la Vela diventi davvero per tutti, come in tanti Paesi esteri, in una penisola come la nostra e con tanti Km di coste, si deve, prima, migliorare l'accessibilità al mare. Poi, ci sarà da ricedere l'accessibilità allo sport della Vela. Infine, si potrà decidere a chi dare i soldi non dai al calcio.... Perché, se qualcuno pensa di sottrarre i soldi al calcio e attribuirli, direttamente, ad uno sport che, nell'immaginario collettivo (ed anche, abbastanza, nella realtà), è dedicato solo a chi non ha problemi economici, rischiamo di ritrovarci contro l'opinione pubblica, più di quanto lo sia adesso.

Romano Less (non verificato)

Ecco, il punto non è tanto togliere soldi al calcio, dove pare ne girino fin troppi, a leggere certe cronache, quanto garantire il minimo di accessibilità al mare. Questo è il vero problema della vela, sempre in conflitto con i balneari, i portuali, ecc. Il velista è considerato un originale, un soggetto pericoloso e anche un poveraccio, se non ha un maxi. L'idea che si muova secondo misteriose tecniche o trascinato come foglie d'autunno mette in panico il popolo terragno. La cultura del mare, sempre richiamata nelle passerelle istituzionali, non è ancora uscita da sotto l'ombrellone... I circoli sono fondamentali, moltissimi hanno il merito di tramandare esperienze e cultura, di fornire l'indispensabile struttura senza cui la vela sarebbe una avventura solitaria - come in sostanza la ricordo negli anni '50- e l'agonismo impraticabile. Altri prestigiosi club si sono incartati nelle attività conviviali e risicano gli spazi sportivi, ma quasi tutti sono in difficoltà per la continua lotta di conquista o difesa del "posto al sole". I soldi, sì sono necessari, ma non risolvono tutti i problemi. La FIV, insieme agli altri organismi di settore, si dovrebbe adoprare su questi punti, cercando di ottenere norme meno restrittive sull'uso dei demani per le attività sportive non lucrative, veliche e non. Solo aiutando la diffusione di punti di aggregazione minimali, a basso costo ma capaci di fornire quel minimo di logistica che una deriva richiede potremo sperare di avvicinare più giovani alla vela, superando barriere che -ribadisco- sono più culturali che economiche.