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28/01/2013 - 12:25
Nel trasbordo, Jrata3 danneggiato e abbandonato. Sviluppi e riflessioni
Nel trasbordo, Jrata3 danneggiato e abbandonato. Sviluppi e riflessioni
Tosi e Rossi salvi sulla petroliera
Inutili i tentativi di riparare almeno uno dei timoni e proseguire a velocità ridotta. Troppa la distanza dalla costa. La prima nave sulla rotta li ha salvati. Gli sviluppi e le riflessioni
I velisti Luca Tosi e Andrea Rossi, italiano e svizzero, naufraghi alla deriva senza timoni e possibilità di manovra sul loro catamarano di 6 metri Jrata3 col quale stavano tentanto il record tra Dakar e Guadalupa, sono stati messi in salvo a bordo di una petroliera in mezzo all'oceano Atlantico. La barca è stata danneggiata nella manovra di trasbordo, ed è stata abbandonata in mare. Altri particolari e comunicazioni seguiranno, ma intanto ripercorriamo insieme le fasi della vicenda.
1) L’AVARIA
26 gennaio - All’una di notte, la quinta notte di oceano, cede il secondo timone. Il primo era già fuori uso da qualche ora, ma nonostante la preoccupazione sembrava che la barca potesse navigare bene anche solo con uno dei due timoni. E’ normale sui cat, come sui grandi IMOCA 60, il timone sopravento si alza anche per diminuire rischi di rotturem, urti e usura.
Ma quando salta anche il secondo timone, le cose appaiono subito drammatiche. I primi minuti sono stati segnati anche da un po’ di panico, come raccontano coloro che hanno parlato con i due navigatori. C’era rabbia, stanchezza, frustrazione e grande incertezza sul futuro immediato. Al record non ha pensato più nessuno, da subito. La questione è stata: Andrea e Luca sono al sicuro? Sono in mezzo all’Atlantico, 1000 miglia dall’Africa (impossibile da raggiungere contro gli Alisei), e 1500 da Guadalupa, circa 900 dal Brasile settentrionale forse la costa più vicina. Il desalinizzatore garantisce acqua a volontà, ma il cibo non è tanto. La prospettiva di giorni e giorni di vita da naufraghi, così apparentemente lontana dai nostri tempi, si prefigura nella testa di Luca e Andrea.
Tuttavia la prima decisione è di non chiamare i soccorsi, e provare a vedere se si riesce a navigare con i propri mezzi. Niente record, ma almeno chiudere la traversata. Di seguito leggerete dai comunicati ufficiali come è andata a finire.
2) IL TENTATIVO DI RIPARARE I TIMONI (O ALMENO UNO)
26 gennaio – Luca Tosi e Andrea Rossi hanno lavorato tutto il giorno per tentare una riparazione di fortuna senza riuscirci, ma hanno poi approntato un timone di emergenza, anche se la governabilità è difficile. Sono monitorati dal SAR (Search and Rescue) che è stato prontamente messo in allerta.
Seppur senza una richiesta di soccorso, il team che si è creato tra terra-SAR-bordo per prendere le giuste decisioni, sta facendo le valutazioni del caso. La barca non ha altri danni. Il responsabile del team per la gestione dell'emergenza è in contatto con Andrea e Luca ad appuntamenti fissi.
3) IL SALVATAGGIO
27 gennaio – Dopo ore di apprensione Andrea Rossi e Luca Tosi sono finalmente in salvo a bordo della petroliera delle Isole Marshall “Genmar Argus”, che si era affiancata al catamarano Jrata3 dalle ore 4:00 UTC.
La decisione di chiedere il soccorso è stata presa nella notte anche per la posizione dell’imbarcazione al momento dell’avaria. Jrata si trovava, infatti, a oltre 1000 miglia dalla partenza e ad oltre 1500 dall'arrivo, a metà strada tra Africa e Sudamerica. Distanze troppo lunghe per una navigazione con soluzioni di emergenza.
Verificato che in zona non c’era nessuna imbarcazione da diporto raggiungibile (il contatto è stato tentato anche con Bernard Stamm fresco di squalifica nel Vendée Globe) Jrata3-WullschlegerGroup è stata così raggiunta dalla petroliera Genmar Argus, dirottata sul posto dal SAR Martinica in accordo col SAR italiano.
Il comandante della nave e i velisti di Jrata3, hanno deciso di attendere la luce (11:00 UTC) per il trasbordo, per effettuare una manovra assolutamente non semplice e che richiedeva una perizia assoluta sia da parte dell’equipaggio della petroliera sia di Andrea e Luca.
Le condizione del mare hanno suggerito però un’ulteriore attesa, perché gettarsi in acqua e risalire le mura di una petroliera di 250 metri scarica (circa 19 metri), con tutti i movimenti della nave, era un’operazione decisamente pericolosa.
Verso le 16:00 UTC si è deciso di tentare, e l’operazione è pienamente riuscita. Luca Tosi e Andrea Rossi sono ora a bordo ed in buone condizioni. Lo stesso non si può dire dell’imbarcazione. Nell’urtare ripetutamente le mura della Genmar Argus, JRata3 ha subito numerosi danni.
La petroliera è ora diretta verso Abijan, con arrivo previsto il 2 febbraio… sempre che nel frattempo non trovi un altro carico in un altro porto...
Luca Tosi, Andrea Rossi e tutto il team di terra tengono particolarmente a ringraziare il SAR della Martinica e il SAR italiano. La nostra Guardia Costiera e il comandante Leopoldo Manna che ha coordinato la centrale operativa sono stati come sempre all’altezza della situazione e hanno dimostrato ancora una volta la loro esemplare professionalità.
DEJA-VU
Due anni fa, nel gennaio 2011 Matteo Miceli e Tullio Picciolini con il cat di 6 metri Biondina Nera partirono da Dakar per il record verso Guadalupa. Erano in vantaggio ma scuffiarono e non riuscirono a raddrizzare la barca. Alla fine furono chiamati i soccorsi e i due velisti italiani furono caricati su un cargo. Il cargo cipriota Delia era stato dirottato sul posto dal servizio di soccorso internazionale allertato dalla Farnesina. Il cargo stava seguendo la stessa rotta di Matteo Miceli e Tullio Picciolini e ha dovuto deviare di pochi gradi la sua rotta per poter raccogliere i due naufraghi.
Istruttivo il racconto dell’epoca di Matteo Miceli, da bordo della nave che lo ha appena salvato: “Peccato eravamo in vantaggio sul record e stavamo navigando veramente conservativi con le vele molto ridotte con l’onda che si era calmata e una luna che illuminava la nostra strada. La scuffia l’abbiamo messa in conto già dalla prima giornata. Infatti al secondo giorno una grossa onda ci ha fatto ingavonare e scuffiare in avanti …e in quell’occasione in 20 minuti neanche l’abbiamo subito raddrizzata. Purtroppo la notte del 17 non è stato così: con la violenza della scuffia l’albero si è spaccato a metà. Informati subito gli uomini sicurezza di rimanere in stand by, iniziava un nostro grande lavoro per mettere tutti gli apparati in sicurezza e cercare di rimetterla in piedi. E’ stato impegnativo con la barca sotto sopra tagliare tutte le cime le vele e liberare il troncone di albero che pensavamo di utilizzare per il raddrizzamento…logicamente per fare tutto questo abbiamo aspettato il mattino per non rischiare di rimanere impigliati…in quel frangente ho pure dormito abbracciato alla deriva! Con grande amarezza non ce l’abbiamo fatta. Bastava raddrizzarla e con un armo di fortuna arrivare anche senza un record e soprattutto senza disturbare nessuno. Peccato, abbiamo fatto veramente di tutto, siamo riusciti a legare questo tronco d’albero in obliquo sullo scafo sotto vento e con il nostro peso in cima non ci siamo riusciti a metterla dritta. Le terrazze inverse ci hanno impedito il raddrizzamento e da li abbiamo pensato al soccorso che, per come navigo, è veramente l’ultima ipotesi. Tra l’altro eravamo anche sicuri che con il nostro recupero avremmo dovuto abbandonare quel catamarano che in tutti questi anni mi ha riempito la vita d’impegno, sacrificio, ma anche di tante soddisfazioni…e vostre pene. Il recupero della nave è stato veramente difficile, una nave di duecento metri non si ferma e non manovra facilmente figuratevi quando ci sono trenta nodi e cinque metri d’onda. Però il comandante e il suo equipaggio che sono addestrati a questo, hanno fatto un ottimo lavoro. Hanno fatto un primo giro intorno a noi, il secondo giro sempre con noi in contatto radio sono stati un po’ veloci e abbiamo scarrocciato troppo veloci lungo la murata…che elica grande che ha!!!! Ma al terzo giro si sono riusciti a fermarsi con la loro prua vicino a noi e li è toccato a noi nuotare e arrampicarci su queste scalette di corda. Lì un po’ di panico, ti senti veramente piccolo davanti a un palazzo di venti metri che non riesci ad acchiappare, che fa su e giù e rolla come un’altalena …con un onda frangente come al mare al Venezia quando facevamo le scivolate… In più avevo un bel fagotto che mi trascinavo di tutta l’elettronica (che tra l’altro in parte anche prestata). Erano diversi giorni che stavamo cercando di scendere prima del loro sbarco in Islanda previsto a fine mese e solo questa mattina la buona notizia: il comandante devia la barca per Flores dove arriveremo sabato pomeriggio grazie al permesso dell’armatore che deve prendersi altri costi di carburante e tempi di ritardo per allungare la strada e scaricarci prima.Che strana storia! L’idea del catamarano nasce e sbarca qui alle Azzorre con Andrea Gancia dopo un trasferimento dalle bermuda di un 70 piedi e finisce qui con questo sbarco. Ora vado il lavoro mi chiama. Mi hanno messo a ramazzare il ponte e a Tullio a lavare le gamelle! Scherzi a parte qui ci trattato da signori e ogni sera il Comandante, che vieta alcool a bordo, ci invita a fare un brindisi per averci salvato la vita…figuratevi io che sono quasi astemio!!!!"
Diciamo deja-vù perchè l’avventura di Luca Tosi e Andrea Rossi somiglia per tanti versi a quella di Miceli e Picciolini. Storie di vela estrema, di tentativi al limite, nonostante le esperienze fatte, nonostante le preparazioni meticolose (Tosi e Rossi hanno impiegato quasi tre anni, costruito la barca, trovato sponsor, fatto allenamenti e trasferimenti, programmato tutto al millimetro...o quasi). Storie di confronti uomo-mare, dove alla fine ha vinto lui, il mare. Che gioca sempre in casa.
Ci saranno molti commenti sulla opportunità di queste sfide, sui rischi, sui costi, persino sulla preparazione dei navigatori, tutto quello che volete. Noi le ospiteremo, anzi le stimoliamo perchè crediamo che gli approfondimenti aiutino a crescere. Quanto a noi, francamente, non ce la sentiamo, adesso, di criticare il tentativo, i suoi protagonisti, lo spirito generale dell’impresa. Da sempre il rapporto tra l’uomo e il mare è costellato di impulsi, imprese al limite della follia e del possibile, scoperte. Il richiamo del mare è così forte che anche oggi - nel terzo millennio, con la tecnologia che fa le barche in carbonio e il tracciamento della rotta di un naufrago in mezzo all’oceano trasmesso in tempo reale sul computer di casa - i naviganti sognano e partono.
Fa un po’ dispiacere la sorte delle barche: abbandonate. Però nelle storie si trova a volte anche uno sviluppo inatteso, una virgola che prende la forma di un sorriso. E mesi dopo, Biondina Nera, il cat di Miceli e Picciolini, abbandonato rovesciato in Atlantico, è stato ritrovato sulle coste del Sudamerica. Può accadere anche a Jrata3.
Fino a metà il tentativo è andato alla grande, con tanto vantaggio sul record. La rottura di entrambi i timoni è un evento che i due skipper analizzeranno nel debriefing, per capire cosa può essere successo per mettere fuori uso il 100% del potere direzionale del loro mezzo. Perchè, come per Miceli e Picciolini, un debriefing si impone. Sul cargo, a casa, con calma, nei talk show, da soli. E, come per Miceli e Picciolini, una conclusione da mettere nel conto delle probabilità è che torni, prepotente, la voglia di riprovarci.
I velisti Luca Tosi e Andrea Rossi, italiano e svizzero, naufraghi alla deriva senza timoni e possibilità di manovra sul loro catamarano di 6 metri Jrata3 col quale stavano tentanto il record tra Dakar e Guadalupa, sono stati messi in salvo a bordo di una petroliera in mezzo all'oceano Atlantico. La barca è stata danneggiata nella manovra di trasbordo, ed è stata abbandonata in mare. Altri particolari e comunicazioni seguiranno, ma intanto ripercorriamo insieme le fasi della vicenda.
1) L’AVARIA
26 gennaio - All’una di notte, la quinta notte di oceano, cede il secondo timone. Il primo era già fuori uso da qualche ora, ma nonostante la preoccupazione sembrava che la barca potesse navigare bene anche solo con uno dei due timoni. E’ normale sui cat, come sui grandi IMOCA 60, il timone sopravento si alza anche per diminuire rischi di rotturem, urti e usura.
Ma quando salta anche il secondo timone, le cose appaiono subito drammatiche. I primi minuti sono stati segnati anche da un po’ di panico, come raccontano coloro che hanno parlato con i due navigatori. C’era rabbia, stanchezza, frustrazione e grande incertezza sul futuro immediato. Al record non ha pensato più nessuno, da subito. La questione è stata: Andrea e Luca sono al sicuro? Sono in mezzo all’Atlantico, 1000 miglia dall’Africa (impossibile da raggiungere contro gli Alisei), e 1500 da Guadalupa, circa 900 dal Brasile settentrionale forse la costa più vicina. Il desalinizzatore garantisce acqua a volontà, ma il cibo non è tanto. La prospettiva di giorni e giorni di vita da naufraghi, così apparentemente lontana dai nostri tempi, si prefigura nella testa di Luca e Andrea.
Tuttavia la prima decisione è di non chiamare i soccorsi, e provare a vedere se si riesce a navigare con i propri mezzi. Niente record, ma almeno chiudere la traversata. Di seguito leggerete dai comunicati ufficiali come è andata a finire.
2) IL TENTATIVO DI RIPARARE I TIMONI (O ALMENO UNO)
26 gennaio – Luca Tosi e Andrea Rossi hanno lavorato tutto il giorno per tentare una riparazione di fortuna senza riuscirci, ma hanno poi approntato un timone di emergenza, anche se la governabilità è difficile. Sono monitorati dal SAR (Search and Rescue) che è stato prontamente messo in allerta.
Seppur senza una richiesta di soccorso, il team che si è creato tra terra-SAR-bordo per prendere le giuste decisioni, sta facendo le valutazioni del caso. La barca non ha altri danni. Il responsabile del team per la gestione dell'emergenza è in contatto con Andrea e Luca ad appuntamenti fissi.
3) IL SALVATAGGIO
27 gennaio – Dopo ore di apprensione Andrea Rossi e Luca Tosi sono finalmente in salvo a bordo della petroliera delle Isole Marshall “Genmar Argus”, che si era affiancata al catamarano Jrata3 dalle ore 4:00 UTC.
La decisione di chiedere il soccorso è stata presa nella notte anche per la posizione dell’imbarcazione al momento dell’avaria. Jrata si trovava, infatti, a oltre 1000 miglia dalla partenza e ad oltre 1500 dall'arrivo, a metà strada tra Africa e Sudamerica. Distanze troppo lunghe per una navigazione con soluzioni di emergenza.
Verificato che in zona non c’era nessuna imbarcazione da diporto raggiungibile (il contatto è stato tentato anche con Bernard Stamm fresco di squalifica nel Vendée Globe) Jrata3-WullschlegerGroup è stata così raggiunta dalla petroliera Genmar Argus, dirottata sul posto dal SAR Martinica in accordo col SAR italiano.
Il comandante della nave e i velisti di Jrata3, hanno deciso di attendere la luce (11:00 UTC) per il trasbordo, per effettuare una manovra assolutamente non semplice e che richiedeva una perizia assoluta sia da parte dell’equipaggio della petroliera sia di Andrea e Luca.
Le condizione del mare hanno suggerito però un’ulteriore attesa, perché gettarsi in acqua e risalire le mura di una petroliera di 250 metri scarica (circa 19 metri), con tutti i movimenti della nave, era un’operazione decisamente pericolosa.
Verso le 16:00 UTC si è deciso di tentare, e l’operazione è pienamente riuscita. Luca Tosi e Andrea Rossi sono ora a bordo ed in buone condizioni. Lo stesso non si può dire dell’imbarcazione. Nell’urtare ripetutamente le mura della Genmar Argus, JRata3 ha subito numerosi danni.
La petroliera è ora diretta verso Abijan, con arrivo previsto il 2 febbraio… sempre che nel frattempo non trovi un altro carico in un altro porto...
Luca Tosi, Andrea Rossi e tutto il team di terra tengono particolarmente a ringraziare il SAR della Martinica e il SAR italiano. La nostra Guardia Costiera e il comandante Leopoldo Manna che ha coordinato la centrale operativa sono stati come sempre all’altezza della situazione e hanno dimostrato ancora una volta la loro esemplare professionalità.
DEJA-VU
Due anni fa, nel gennaio 2011 Matteo Miceli e Tullio Picciolini con il cat di 6 metri Biondina Nera partirono da Dakar per il record verso Guadalupa. Erano in vantaggio ma scuffiarono e non riuscirono a raddrizzare la barca. Alla fine furono chiamati i soccorsi e i due velisti italiani furono caricati su un cargo. Il cargo cipriota Delia era stato dirottato sul posto dal servizio di soccorso internazionale allertato dalla Farnesina. Il cargo stava seguendo la stessa rotta di Matteo Miceli e Tullio Picciolini e ha dovuto deviare di pochi gradi la sua rotta per poter raccogliere i due naufraghi.
Istruttivo il racconto dell’epoca di Matteo Miceli, da bordo della nave che lo ha appena salvato: “Peccato eravamo in vantaggio sul record e stavamo navigando veramente conservativi con le vele molto ridotte con l’onda che si era calmata e una luna che illuminava la nostra strada. La scuffia l’abbiamo messa in conto già dalla prima giornata. Infatti al secondo giorno una grossa onda ci ha fatto ingavonare e scuffiare in avanti …e in quell’occasione in 20 minuti neanche l’abbiamo subito raddrizzata. Purtroppo la notte del 17 non è stato così: con la violenza della scuffia l’albero si è spaccato a metà. Informati subito gli uomini sicurezza di rimanere in stand by, iniziava un nostro grande lavoro per mettere tutti gli apparati in sicurezza e cercare di rimetterla in piedi. E’ stato impegnativo con la barca sotto sopra tagliare tutte le cime le vele e liberare il troncone di albero che pensavamo di utilizzare per il raddrizzamento…logicamente per fare tutto questo abbiamo aspettato il mattino per non rischiare di rimanere impigliati…in quel frangente ho pure dormito abbracciato alla deriva! Con grande amarezza non ce l’abbiamo fatta. Bastava raddrizzarla e con un armo di fortuna arrivare anche senza un record e soprattutto senza disturbare nessuno. Peccato, abbiamo fatto veramente di tutto, siamo riusciti a legare questo tronco d’albero in obliquo sullo scafo sotto vento e con il nostro peso in cima non ci siamo riusciti a metterla dritta. Le terrazze inverse ci hanno impedito il raddrizzamento e da li abbiamo pensato al soccorso che, per come navigo, è veramente l’ultima ipotesi. Tra l’altro eravamo anche sicuri che con il nostro recupero avremmo dovuto abbandonare quel catamarano che in tutti questi anni mi ha riempito la vita d’impegno, sacrificio, ma anche di tante soddisfazioni…e vostre pene. Il recupero della nave è stato veramente difficile, una nave di duecento metri non si ferma e non manovra facilmente figuratevi quando ci sono trenta nodi e cinque metri d’onda. Però il comandante e il suo equipaggio che sono addestrati a questo, hanno fatto un ottimo lavoro. Hanno fatto un primo giro intorno a noi, il secondo giro sempre con noi in contatto radio sono stati un po’ veloci e abbiamo scarrocciato troppo veloci lungo la murata…che elica grande che ha!!!! Ma al terzo giro si sono riusciti a fermarsi con la loro prua vicino a noi e li è toccato a noi nuotare e arrampicarci su queste scalette di corda. Lì un po’ di panico, ti senti veramente piccolo davanti a un palazzo di venti metri che non riesci ad acchiappare, che fa su e giù e rolla come un’altalena …con un onda frangente come al mare al Venezia quando facevamo le scivolate… In più avevo un bel fagotto che mi trascinavo di tutta l’elettronica (che tra l’altro in parte anche prestata). Erano diversi giorni che stavamo cercando di scendere prima del loro sbarco in Islanda previsto a fine mese e solo questa mattina la buona notizia: il comandante devia la barca per Flores dove arriveremo sabato pomeriggio grazie al permesso dell’armatore che deve prendersi altri costi di carburante e tempi di ritardo per allungare la strada e scaricarci prima.Che strana storia! L’idea del catamarano nasce e sbarca qui alle Azzorre con Andrea Gancia dopo un trasferimento dalle bermuda di un 70 piedi e finisce qui con questo sbarco. Ora vado il lavoro mi chiama. Mi hanno messo a ramazzare il ponte e a Tullio a lavare le gamelle! Scherzi a parte qui ci trattato da signori e ogni sera il Comandante, che vieta alcool a bordo, ci invita a fare un brindisi per averci salvato la vita…figuratevi io che sono quasi astemio!!!!"
Diciamo deja-vù perchè l’avventura di Luca Tosi e Andrea Rossi somiglia per tanti versi a quella di Miceli e Picciolini. Storie di vela estrema, di tentativi al limite, nonostante le esperienze fatte, nonostante le preparazioni meticolose (Tosi e Rossi hanno impiegato quasi tre anni, costruito la barca, trovato sponsor, fatto allenamenti e trasferimenti, programmato tutto al millimetro...o quasi). Storie di confronti uomo-mare, dove alla fine ha vinto lui, il mare. Che gioca sempre in casa.
Ci saranno molti commenti sulla opportunità di queste sfide, sui rischi, sui costi, persino sulla preparazione dei navigatori, tutto quello che volete. Noi le ospiteremo, anzi le stimoliamo perchè crediamo che gli approfondimenti aiutino a crescere. Quanto a noi, francamente, non ce la sentiamo, adesso, di criticare il tentativo, i suoi protagonisti, lo spirito generale dell’impresa. Da sempre il rapporto tra l’uomo e il mare è costellato di impulsi, imprese al limite della follia e del possibile, scoperte. Il richiamo del mare è così forte che anche oggi - nel terzo millennio, con la tecnologia che fa le barche in carbonio e il tracciamento della rotta di un naufrago in mezzo all’oceano trasmesso in tempo reale sul computer di casa - i naviganti sognano e partono.
Fa un po’ dispiacere la sorte delle barche: abbandonate. Però nelle storie si trova a volte anche uno sviluppo inatteso, una virgola che prende la forma di un sorriso. E mesi dopo, Biondina Nera, il cat di Miceli e Picciolini, abbandonato rovesciato in Atlantico, è stato ritrovato sulle coste del Sudamerica. Può accadere anche a Jrata3.
Fino a metà il tentativo è andato alla grande, con tanto vantaggio sul record. La rottura di entrambi i timoni è un evento che i due skipper analizzeranno nel debriefing, per capire cosa può essere successo per mettere fuori uso il 100% del potere direzionale del loro mezzo. Perchè, come per Miceli e Picciolini, un debriefing si impone. Sul cargo, a casa, con calma, nei talk show, da soli. E, come per Miceli e Picciolini, una conclusione da mettere nel conto delle probabilità è che torni, prepotente, la voglia di riprovarci.
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