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23/01/2017 - 18:44

Avventura di mare a lieto fine con tante lezioni da imparare

La mia vita appesa al Laser

INTERVISTA ESCLUSIVA - Lorenzo Garosi racconta le 24 ore da naufrago su un Laser nel Tirreno in burrasca. In una sola scuffia perso il timone e rotta la deriva! La barca senza governo spinta al largo dalla Tramontana a 30 nodi. Le strategie di sopravvivenza: "Inutile avere paura: tanto sono morto". "Salvo perchè avvolto nella randa". "Nella notte tante scuffie, ma ho anche dormito!". La scelta della zone delle ricerche. "La gioia del salvataggio. Le lezioni che ho imparato". Una storia da conoscere

 

di Fabio Colivicchi

 

"Ho scoperto il mare grazie a mio nonno, Pierpapaolo Giua, che ha un cantiere navale a Fiumicino (la Tecnomar, uno dei luoghi storici della nautica a Fiumara, ndr). Da bambino mi portava con lui in vacanza sul Pietro Micca (storico rimorchiatore, l'ultima nave a vapore ancora navigante, costruita in Inghilterra nel 1895, ndr) dal 1996 al 2006, quando la nave faceva la "Goletta Verde" lungo le coste italiane. Quell'esperienza mi ha fatto avvicinare al mare, e quando il Pietro Micca ha smesso di navigare la passione si è spostata alle barche a vela e al mondo delle regate."

Incontriamo Lorenzo alla Tecnomar, dove vive in una casetta in riva al fiume. E' un velista che sta bruciando le tappe. Due Swan Cup e un Europeo vinto con lo Swan 42 Natalia, la Middle Sea Race con Cippa Lippa. Due traversate atlantiche, tante vele d'epoca.

Con tutte queste attività, come ti è venuta voglia di esercitarti anche con un Laser?

Perchè in questa mia educazione velica ho sempre sentito l'assenza delle derive, la reputavo una mancanza, e per migliorare il mio background ho deciso di ripartire dalle basi. Prima di mercoledi scorso, ero uscito per sei mesi almeno 3-4 volte a settimana, sempre da Fiumara. Cominciavo a conoscere la barca...

A che ora sei uscito quel mercoledi 18 gennaio, e qual era il tuo programma?

Alle 15 ho iniziato a prepararmi, e alle 15,30 ero pronto per uscire, volevo fare due bordi sul fiume, arrivato alla foce ho visto che c'era un bel vento e ho pensato fosse una buona occasione per fare qualche bella planata. Troppo pieno di me stesso, senza pensare che quella decisione non era il massimo della sicurezza, ho deciso di andare a planare...

A terra comunque sapevano che tu eri uscito, ti aspettavano perchè c'era una cena per il compleanno di tua sorella, alla Tecnomar comunque c'è un ambiente tecnicamente pronto...

Mio cognato mi aveva dato una mano ad armare la barca, a indossare la muta, sapeva che ero fuori e quindi lo sapevano tutti.

E cosa è successo? Perchè non sei rientrato?

Dopo qualche bella planata ho deciso che era il momento di rientrare, iniziava a esserci un po' di onda più fuori, ho fatto una strambata, evidentemente non l'ho chiusa bene, e ho scuffiato. Nel raddrizzare la barca mi sono accorto che non c'era più il timone. La barca scuffia una seconda volta, io vedo in acqua lo stick del timone (la prolunga della barra, ndr), lo afferro, ma di pala e barra non c'è più traccia. Ho guardato in giro ma non ho visto nulla.

A quel punto ho deciso di raddrizzare la barca e provare a vedere cosa si riusciva a fare senza timone. Nel frattempo, mentre cercavo il timone, con il Laser scuffiato a 180°, l'albero si è riempito d'acqua. Quando ho fatto forza sulla deriva per raddrizzare la barca, la deriva si è spezzata! Uno spacco netto, all'altezza della fessura sotto lo scafo.

In due minuti ti sei ritrovato senza timone e senza deriva... Che ora era?

A quel punto erano le 16,30, quasi le 17. Mi sono sentito in balia del mare e degli eventi. Ma c'era ancora un po' di luce, ho deciso di aspettare sulla barca rovesciata, che mio cognato mi venisse a recuperare, non vedendomi rientrare...

Pensavi che avrebbe potuto vederti qualcuno da terra, capire che eri in difficoltà, o eri già lontano?

Nel momento in cui ho perso il timone e rotto la deriva, ho avuto paura, ho iniziato a pensare di essere fregato, che se mio cognato non fosse arrivato con la luce avrei rischiato la vita, mi vedevo già una o due notti in mare.

Cosa hai pensato e cosa è cambiato quando è arrivato il buio?

All'arrivo del primo buio iniziava a esserci un mare formato, con vento sui 25-30 nodi, non era più possibile restare sulla barca scuffiata. Avevo incastrato lo stick nella scassa della deriva per tenermi, ma non bastava più. A quel punto ho deciso di immergermi sott'acqua, ho liberato le cime del cunningham e della base, smontato l'albero, assicurandolo a una cima e quindi ho raddrizzato il Laser senza albero. Sono salito sulla barca, ho tolto la vela dall'albero e l'ho assicurato con delle cime sui golfari di prua e di poppa.

Raddrizzato il Laser senza albero, al buio, da solo, con una notte in arrivo e tutti a terra preoccupati per te. Vedevi ancora le luci di terra?

Vedevo ancora qualche luce a terra, ma ero già almeno a 3 miglia dalla costa, quasi al traverso delle piattaforme petrolifere davanti a Fiumara e al largo dell'abitato di Ostia.

Le tue sensazioni. La paura da gestire, come ti sei organizzato?

Il mio primo pensiero è stato eliminare le paure. Mi sono detto: ok, sei morto, tutte le paure sono inutili. L'altro pensiero è stato cercare di sopravvivere più a lungo possibile, provare ad arrivare almeno alla mattina, perchè la notte sicuramente non mi avrebbero trovato. A quel punto mi sono creato una copertura con la vela e il resto del materiale che avevo, per cercare di stare più asciutto e caldo possibile.

La tua modalità di sopravvivenza con la quale hai affontato una notte intera da solo, al freddo, su un Laser alla deriva?

Coprirmi con la randa dal vento freddo e dagli schizzi, cercare di bilanciare la barca rispetto alle onde, perchè il mare all'inizio della notte era molto grosso e in alcuni frangenti la barca senza governo veniva rovesciata. E' successo parecchie volte, la barca ha scuffiato in genere due, tre volte ogni ora, dipendeva dal frangente e da come si poneva la barca rispetto all'onda, spinta dalle raffiche che la spostavano, tutto dipendeva dal caso, ma mediamente ogni venti minuti venivo ribaltato.

Durante la notte hai visto luci, barche o navi?

Ho visto solo una nave, durante una delle scuffie. Ma non ho nemmeno tentato di chiamarla o avvicinarla, era improponibile, senza governo della barca e con 30 nodi di vento e 4 metri di onda non mi avrebbero visto nè sentito, la voce si sarebbe persa nel vento. Sarebbe stato solo uno spreco di energia.

Dunque una notte nella quale avrai scuffiato una ventina di volte. E ogni volta cosa succedeva? Albero e boa erano fissati bene?

Il boma l'avevo messo nel buco al posto dell'albero, per fare da riflettore radar e garantire una migliore visibilità: anche se spariva nel cavo dell'onda, ma confidavo che un radar potesse percepire il segnale del boma. Gli alberi non davano impiccio perchè erano fissati bene a bordo e anche nelle scuffie non si muovevano. Quello che mi preoccupava ogni volta era rimanere incastrato dentro alla vela che mi avvolgeva, o in una delle manovre rimaste a bordo. Fortuna e sangue freddo mi hanno aiutato in quei frangenti.

Sei riuscito a dormire durante una notte del genere?

Nei momenti di pausa tra una scuffia e un'altra cercavo di dormire. Non un sonno profondo, ma un chiudere gli occhi, stare rannicchiato, respirarmi addosso per fare un po' di calore con il fiato e conservare le energie. Era quasi uno stato di trance, diciamo. Quello che consuma più energia e ossigeno è la mente. Riuscire a non pensare, aiuta. Non a caso nei corsi di apnea si usa molto lo yoga per liberare la mente.

Hai pensato che sarebbe stato stato il freddo l'avversario più ostico da battere?

Principalmente si, soprattutto nelle prime ore. Poi sdraiato nel pozzetto ricoperto con la vela, miracolosamente credo si riuscisse a ottenere un microclima, con una temperatura di 15-16 gradi. In una ventina di minuti si asciugava anche il collare di pile che avevo al collo, proprio per la temperatura creata all'interno del pozzetto.

Quindi non hai cercato di mantenere il calore muovendoti, battendo le mani, o altro. E la vela ha fatto da tuga...

La vela mi ha salvato la vita. Però ero tesissimo. La testa e il collo rigidi. Per farti immaginare, avevo la mascella storta, i denti non si sovrapponevano più, si incastravano e non riuscivo a chiudere la bocca. Una tensione inconscia che mantiene il corpo caldo. Il resto l'ha fatto la nuova muta da 3,2 mm con scaldamuscolo della Hurley, messa per la prima volta. Insieme alla vela mi ha salvato la vita.

Sempre di notte hai sentito rumori o visto velivoli che potessero far pensare ai tuoi soccorsi?

Nella notte non è passato nessuno. E anche durante il giorno successivo. Ho avuto la sensazione che avessero abbandonato le ricerche.

Hai parlato del giorno, quindi l'alba, l'arrivo della luce ti ha dato forza perchè avevi superato la notte e sai di avere maggiori possibilità di salvezza. Nel frattempo com'erano le condizioni meteo?

Verso le 4 o le 5 del mattino il vento ha iniziato ad attenuarsi, e anche il mare si è placato. La barca non scuffiava più, e nel corso della mattinata è uscito un bel sole e poi una brezza leggera, che sono anche riuscito a sfruttare, montando la randa al contrario, la base sul boma che era nella posizione dell'albero, e il resto della randa arrotolata in coperta. In quel modo avevo una randina di un metro quadrato, che mi serviva per dare stabilità alla barca e prendere una specie di rotta, non perfettamente in fil di ruota, ma leggermente orzato, un giardinetto. Pensavo di poter puntare Ponza, o un'isola più giù.

Come cambia il tuo scenario psicologico con l'arrivo del giorno?

La mattina ero molto positivo. Pensavo che alle prime ore di luce sarebbero arrivati i soccorsi. Poi nel corso delle ore... pranzo, dopo pranzo, pomeriggio, inizio del tramonto... Mentre il sole iniziava a svanire mi sono detto nuovamente "è finita". Una seconda notte non l'avrei forse superata. Ma poi fortunatamente ho sentito il rumore, quel rumore, che si avvicinava, mi sono affacciato e ho visto che era un aereo della Guardia Costiera!

Hai capito subito che l'aereo era lì per te, e che ti aveva visto?

Prima l'ho visto, mi è passato sopra ma si è allontanato. Generalmente danno un piccolo colpo con le ali, che è una segnalazione. Vuol dire "ti abbiamo visto".

Come sai di questo particolare?

Perchè sono un marinaio e certe piccole cose le impari vivendo in mare.

Quindi hai pensato che non t'avesse visto?

Ha proseguito dritto, per i primi tre minuti ho avuto il timore che il pilota non m'avesse avvistato. Invece, per fortuna è tornato indietro, e poi ha iniziato a girarmi sopra, e non mi ha più mollato finchè non è arrivata la motovedetta della Guardia Costiera.

Cosa hai provato quando hai capito che ti avrebbero salvato?

Una grande, grandissima gioia. E soprattutto ho pensato al sollievo di tutti i miei famigliari. La sera era il compleanno di mia sorella e il pensiero di rovinarle quel giorno per tutta la vita con la perdita del fratello era odioso. Non sarei morto felice!

Cosa hai fatto a quel punto: ti sei preparato, è cambiato qualcosa nella tua modalità a bordo?

Da quel momento il mio timore più grande è stato abbandonare la barca. Allora ho iniziato a disarmare tutto e smontare le attrezzature da salvare, gli strozzatori, le viti, i passascotte...

Ma come le hai smontate senza cacciavite?

Ho smontato un grillo della base, l'ho piegato ed era perfetto come cacciavite a taglio per smontare tutto e salvare il salvabile, il vang, ho riposto tutto sotto al giubotto salvagente e qualcosa nei calzari della muta...

E poi finalmente hai visto arrivare la motovedetta. Cosa hai fatto?

Un gran sorriso alla vita, e un grande abbraccio a tutti i ragazzi della Guardia Costiera, anche se non li conoscevo.

Come si sono comportati, professionalmente e umanamente?

Sono stati adorabili, carinissimi, mi hanno viziato. Hanno subito fatto la manovra adeguata per avvicinarsi, affiancarsi. Tutti molto professionali, bravissimi, sono senza parole per la loro gentilezza e disponibilità. Avevano persino pensato di caricare il Laser a bordo, ma il regolamento prescrive che debbano salvare le persone. Così, gentilmente hanno fornito le coordinate della barca ai miei genitori, che a loro volta erano impegnati nelle mie ricerche e stavano sopraggiungendo in zona, e che hanno potuto recuperarlo.

Una delle chiavi del successo dell'operazione di soccorso è stata l'individuazione dell'area nella quale concentrare le ricerche, un problema di non facile soluzione, risolto con una collaborazione tra la sala operativa della Guardia Costiera di Civitavecchia che coordinava, e anche qualche velista.

Sono stato fortunato ad avere tanti amici velisti, o marinai, che hanno collaborato con la Guardia Costiera, a stabilire quale poteva essere stata la mia rotta e quindi la posizione. Gli enti pubblici tendevano a cercarmi nelle 20 miglia, poi grazie a mia zia Valentina Giua, a Francesco Cruciani (velaio e velista, ndr), e ad altri amici, si è ragionato sulla possibile velocità della mia deriva, sui 2,5-3 nodi, rivelatasi giusta, come il calcolo dello scarroccio. In base all'orario, sono così riusciti a determinare un'area per la mia posizione, che alla fine si è rivelata approssimata per sole 3 miglia. Determinante l'insistenza di parenti e amici e la disponibilità dei mezzi di soccorso: quando l'aereo si è diretto sull'area individuata, in mezzora mi ha avvistato! Devo la vita anche a tutti loro.

Poi ho anche saputo che alla Tecnomar c'erano tantissime persone, tutti a disposizione, c'è stato chi ha percorso la costa fino ad Anzio, chi ha messo barche a disposizione, due aerei privati di amici del mio armatore, il comandante della Capitaneria di Porto di Fiumicino, Fabrizio Ratto Vaquer, è stato fino a notte al Circolo. Ma tutta la comunità velica romana si è mobilitata in vari modi. Dico grazie a tutti.

La motovedetta ti ha portato al Porto di Ostia. La sensazione di rimettere il piede sulla terraferma dopo una avventura così estrema...

E' quasi una sensazione indescrivibile... un sogno, un miraggio, non si può raccontare.

Ti hanno portato al Pronto Soccorso per accertamenti?

I medici mi hanno portato in ambulanza, anche se non volevo, perchè stavo bene sia psicologicamente che fisicamente. Il dottore che mi ha visitato, quando ha sentito che ero rimasto in mare per 25 ore, non voleva crederci, ha insistito perchè facessi qualche test. Mi hanno misurato la pressione e la temperatura corporea, fatto un elettrocardiogramma, era tutto a posto, così li ho convinti a lasciarmi andare a casa. Evidentemente mio padre e mia madre mi hanno fatto bene, perchè nonostante il freddo e le condizioni non ho avuto problemi di ipotermia, miracolosamente, considerando che le stime di sopravvivenza che qualcuno ha fatto per la mia condizione erano di 10-12 ore.

Una volta finito tutto, da solo a casa, cosa ti ha lasciato questa esperienza?

La mia passione per il mare e la vela è sfrenata, non ho avuto alcuna crisi di rigetto o pensieri di smettere per un po', questa esperienza non mi intimorisce, anzi è uno stimolo per migliorare, per non fare altre cazzate. E ancora meglio se questa storia può aiutare qualcuno a non fare i miei stessi errori.

Quali sono questi errori, quali le lezioni che hai imparato da questa vicenda? Spieghiamoli a tutti.

Quando si esce, anche e soprattutto con una deriva, bisogna controllare sempre che barca e attrezzatura siano perfettamente a punto, senza problemi di qualsiasi tipo. E prima ancora: non uscire con vento forte da terra, quella è stata una grande cavolata, ho avuto troppa fiducia in me stesso, non pensavo di avere dei problemi, non si pensa mai di poterne avere di insormontabili. Errore.

Quindi il marinaio Lorenzo Garosi può dire di aver acquisito da questa esperienza più rispetto per il mare, più umiltà e consapevolezza...

Sicuramente, più umiltà. Rispetto per il mare significa non uscire armando la barca in cinque minuti, con delle dimenticanze che mi hanno quasi tolto la vita.

Con il senno di poi hai pensato a qualcosa che avresti voluto avere o fare durante il tuo "naufragio"? Un telefono, un orologio gps col quale ti avrebbero trovato anche di notte...

Il primo pensiero è il telefono, ma in barca è anche una preocupazione, pensi sempre al rischio di perderlo o di danneggiarlo. Non credo sia il mezzo idoneo su un Laser. I razzi neanche a parlarne su una deriva. Forse un vhf portatile, o un braccialetto AIS... Ma alla fine la cosa migliore è uscire sempre con un gommone appoggio. Il rischio però è perdere tante occasioni di uscire in mare, perchè non sempre c'è un gommone con un driver a disposizione, io stesso non uscirei mai in Laser...

A volte, se non c'è il gommone può bastare almeno uscire con un'altra barca, un compagno. Nel tuo caso se ci fosse stato un altro Laser tutto questo avrebbe avuto uno svolgimento diverso. Di sicuro no alla solitudine totale, tanto più con aria da terra, tanto più in un giorno freddo d'inverno...

Infatti, questo è sbagliatissimo, uscire da soli con una barca non adeguata, pur avendo a terra un supporto almeno potenzialmente più che adeguato. Vedendoti in prima persona nel momento in cui ti accade l'incidente o l'errore, il tempo per agire è pochissimo, perchè in un'ora hai già fatto 3 miglia e sei fuori dalla portata dei primi soccorsi. Se sei solo non hai margine di errore.

Cosa era e cosa è diventata la vela per Lorenzo Garosi dopo queste 24 ore tra il 18 e il 19 gennaio 2017?

La vela è grande libertà, motivo per sognare, opportunità di fare cose pratiche, che ti danno soddisfazione, puoi costruire, puoi migliorare.

Cosa dici a quei giovani che stanno avvicinandosi alla vela, per trarre insegnamenti e stimoli, e non paure, dalla tua storia.

Gli errori bisogna farli, è normale farne perchè servono a crescere. E' obbligatorio: senza errori non si impara. Cercate però di non farli troppo grossi, come quello che ho fatto io!

Qual è il tuo futuro prossimo e il tuo sogno (velico) nel cassetto?

A breve prenderò il comando e la gestione di un nuovo ClubSwan 50 per fare tutta la stagione. Il sogno nel cassetto... fare almeno una volta una Volvo Ocean Race, o qualcosa in solitario, Minin650, una Vendée Globe anche se oggi mi appare una cosa irraggiungibile.

Fin qui la nostra chiacchierata con il giovane velista "revenant" Lorenzo Garosi, salvo per un pelo. Un ragazzo di 27 anni con già due traversate atlantiche e tante esperienze alle spalle, da oggi anche con una notte da tregenda alla quale è sopravvissuto. Azzardo, e spero, che di Lorenzo Garosi sentiremo ancora parlare. E per capirne il perchè, aiuta considerare un altro pezzetto della sua infanzia, anzi del suo dna. Mamma Emanuela Giua, infatti, ha una piccola grande storia da raccontare.

A Fiumara, negli anni settanta, si vedeva spesso un certo Agostino Straulino, che si allenava e regatava con l'Ydra. La giovane Emanuela, a sua volta, bordeggiava sul fiume con una piccola deriva. Il grande Straulino la notò, e la aiutò a migliorare la sua tecnica di ormeggio con la corrente. Da quel giorno la futura mamma di Lorenzo sale sulla barca del più grande velista italiano, anzi ne diventa una beniamina. Perchè nelle lunghe, quando tutto l'equipaggio finisce KO per il mal di mare, lei è l'unica a restare al fianco dell'Ammiraglio, la sola che può andare a prua a lavorare sulle vele in tutte le condizioni... Lorenzo viene (anche) da lì.

 

QUI il comunicato sul salvataggio e il lieto fine del naufragio del 27enne Lorenzo Garosi tra mercoledi 18 e giovedi 19 gennaio scorso

 

QUI IL VIDEO DEL SALVATAGGIO SU SAILY TV

Commenti

Matteo (non verificato)

Bellissima intervista. Bravo Fabio. E bravo anche Lorenzo, che approfondendo un po' non è forse quell'imbecille che in tanti sui social avevano deciso dovesse essere...

Alberto (non verificato)

Bella e utile intervista sulla passione per il mare e i rischi potenziali di questo fantastico sport. Capisco bene Lorenzo quando parla di planate e senso di libertà vissuti con la propria deriva. Nel caso in cui ci si assuma il rischio di uscire da soli, credo sia assolutamente necessario avere dietro il cellulare dentro una ottima sacca stagna. Un forte abbraccio a Lorenzo.

Ettore Thermes (non verificato)

Non si tratta di imbecille, ma di un ragazzo pieno di passione inesperto o meglio esperto ma non al punto di capire quando supera il limite. Aveva un laser acciaccato e non si è reso conto. Io ho visto negli anni 80 un padre di borgo hermada cercare il figlio tra i ristoranti del circeo alle 5 di un mese di aprile con trenta nodi di maestrale mentre noi facevamo merenda dopo l'allenamento. Era un contadino, ci guardammo e pensammo che quel signore non aveva chiara la situazione. Purtroppo il giorno dopo lessi sul giornale quello che avevo temuto, trovata la tavola ma non lui. Se non hai avuto chi ti ha insegnato lasci la tavola e pensi di tornare a nuoto ma dopo poco sei morto. La tavola vola via e tu nuoti sul posto finché anneghi. Mi ha sorpreso la filosofia di sopravvivenza di Lorenzo, è di un vero marinaio. Anche il fisico eccellente. Ora è pronto per altre avventure sponsorizzatelo che queste esperienze forgiano

davide (non verificato)

Lorenzo, secondo me sei stato bravissimo! complimenti! davide. p.s. sei il nipote di Giorgio?

mario (non verificato)

E bravo Lorenzo!Mi permetto un suggerimento:portarsi dietro uno smartphone ben carico,custodia stagna non sgonfiata con laccetto al collo,infilato nella muta dietro le spalle.

Sasuke (non verificato)

Telefono vecchio con batteria bella carica e custodia stagna. Non rovini il nuovo iPhone e stai un po' più sereno. Tutto è bene quel che finisce bene (cit.)

Tommaso (non verificato)

Senza sminuire il coraggio naturale del marinaio che riconosco, fedele alla propria imbarcazione e mai vinto completamente dagli elementi finchè di essa resti un albero e una vela. Sei stato fortunato a tornare con tutti gli arti a terra, e a poterti affidare alla muta, immagino fosse difficile anche respirare in quelle condizioni, contratto fino all'attaccatura del cranio dal freddo. mi incuriosisce il racconto della notte, lo immagino come navigare dentro una botte alla deriva, dopo questa esperienza trovandoti nella stessa situazione cosa faresti di più? Avresti qualche chanche in più di tornare a terra in qualche modo oppure rifaresti la notte all'interno dell'imbarcazione?

Christian (non verificato)

Un PLB grande come un pacchetto di sigarette può salvare la vita proprio in queste evenienze; trasmette con le stesse frequenze degli EPIRB ma è legato ad una persona e registrato. Bella e istruttiva storia...felicissimo che si sia conclusa bene!

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