Storia | Regata > Coppa America
14/05/2013 - 18:09
Inchiesta sul futuro dell'America's Cup
Coppa Tragica:
e ora che succede?
ULTIM'ORA
L'America's Cup prosegue. Questa la decisione degli organizzatori, che hanno nominato un commissione di esperti per rivedere le procedure di allenamento e regata degli AC72. Il lavoro della Commissione si baserà sulle circostanze che hanno portato alla recentissima traciga scomparsa del plurimedagliato olimpico inglese Andrew "Bart" Simpson.
I membri della Commissione vantano grande esperienza nella revisione e controllo degli eventi sportivi che possono mettere a rischio la vita dei partecipanti. Iain Murray, Direttore della regata, presiederà la Commissione e sarà affiancato da Sally Lindsay Honey (USA), John Craig (USA), Chuck Hawley (USA), Vincent Lauriot-Prévost (FRA), Jim Farmer QC (NZL), nonchè dalla Guardia Costiera statunitense.
"L'America's Cup andrà avanti", comunica Tom Ehman, Vice Commodoro del Golden Gate Yacht Club, "Vedremo i migliori velisti al mondo regatare ad altissimo livello in quella che è la competizione icona dello sport della vela. La Commissione lavorerà alacremente e in tempi stretti per assicurare che la vita dei partecipanti non corra alcun rischio."
(Fabio Colivicchi) L'uomo nella nostra copertina è Iain Murray, ex velista olimpico e di America's Cup, oggi direttore di regata per la prossima Coppa America. Ha in mano un mazzo di carte che scottano. Sta conducendo una inchiesta, sta riunendo i team, sta decidendo cosa fare dopo il tragico incidente costato la vota a un velista. Tutto il mondo lo guarda. Noi proviamo a guardare gli elementi che ha in mano.
La rete, ma non solo. Internet pullula di commenti, messaggi, opinioni, per lo più critiche e polemiche sulla morte del povero ‘Bart’ Simpson e sulla pericolosità della vela estrema della nuova Coppa America. Ma il tumultuoso popolo della rete non è l’unico protagonista dei lunghi day after della tragedia di Artemis. L’autorità organizzatrice (ACEA) ha avviato una inchiesta ufficiale, che si affianca a quella della Polizia di San Francisco, affidandola direttamente al suo Direttore Iain Murray. A due mesi dalla prima regata della Louis Vuitton Cup, il direttore della regata abbandona ogni aspetto organizzativo, tecnico, sportivo, per trasformarsi in una sorta di Sherlock Holmes, e cercare di capire cosa è successo. E ponendosi una domanda anche più delicata: cosa può ancora succedere. Con il corollario della dichiarazione di Stephen Barklay (CEO di ACEA) secondo il quale “tutte le opzioni sono sul tavolo”.
Poi c’è Artemis. Il silenzio dalla sfida svedese, Challenger of Record acquisito dopo il ritiro di Mascalzone Latino, è assordante. Comprensibile forse: quando accade un fatto simile, e perde la vita un tuo compagno, un personaggio famoso, un amico, un fuoriclasse, come si può muovere un team? Cosa è lecito attendersi da suo CEO, Paul Cayard? Qualcuno (sailinganarchy.com) critica Paul affermando che non starebbe dimostrandosi un vero leader. In silenzio dopo i 30 secondi della dichiarazione ufficiale poche ore dopo la tragedia. Reclamano notizie, parole, compassione, commozione. Da gettare in pasto a un ambiente già fin troppo surriscaldato.
Personalmente credo che in questa epoca di urla furiose e di sovraccarico di informazioni, specialmente davanti a una vita umana e al dolore di chi resta, sia molto più giusto dare spazio, dignità, voce al silenzio. Dobbiamo rivalutare il silenzio: non sentirci sempre in dovere di intervenire, spiegare, commentare. Il silenzio di Paul Cayard (proprio uno che non si è mai tirato indietro) è la scelta di un leader, e come tale va rispettata. Questi sono giorni nei quali il silenzio è come una preghiera, può unire, può dare a tutti lo spazio per riflettere e meditare. E aiutare - persino più di tante parole al vento - a trovare le soluzioni.
Perchè (al di là della stucchevole questione della leadership di Cayard) questo è il punto: l’America’s Cup messa “sotto attacco” da questa tragedia, e con essa la vela, deve trovare risposte, uscire dall’assedio, ridefinire valori, regole, sicurezze.
Che questo processo non sia facile, e tantomeno rapido, lo dimostrano altri fatti che stanno avvenendo in questi giorni. Intanto il ritiro annunciato da Sailing Team Germany, qualificato per la fase finale della Red Bull Youth America’s Cup (1-4 settembre a San Francisco, subito prima del match della XXXIV Coppa). Il capo del team tedesco, Oliver Schwall, ha dichiarato: “Non possiamo e non vogliamo avere la responsabilità di spedire il nostro equipaggio: la morte di un velista è una ragione più che sufficiente per ritirarci. E sento che la nostra decisione possa dare un segnale: è tempo di iniziare a pensare.”
Lo skipper del team tedesco, il laserista Philipp Buhl, ha rincarato la dose: “la perdita di una vita è un disastro enorme, siamo tutti scioccati. Gli AC45 della Youth America’s Cup sono meno pericolosi dei 72, ma resta troppo scarsa la nostra preparazione, rispettiamo questa decisione di ritirarsi.” Buhl abbandona il sogno della Coppa baby, e si prepara a difendere il proprio titolo europeo Laser.
Insomma, mentre la rete di divide tra colpevolisti (quelli che “c’era da aspettarselo, alla fine c’è scappato il morto. E’ una vela troppo estrema”) e innocentisti (quelli che “i velisti sanno a cosa vanno incontro, e il progresso va avanti, la vela adrenalinica è la strada del futuro e non si può fermare”), ci sono fatti concreti da raccontare. E sono i fatti a fare la storia. Se il ritiro di Team Germany dovesse essere imitato da altre squadre selezionate per le finali, la Red Bull Youth America’s Cup potrebbe saltare. Ci sarà l’effetto domino? Potrebbe cadere un primo pezzo di Coppa? Lo diranno i prossimi giorni.
Scuriscono i nuvoloni sul futuro della Coppa America anche le voci e le dichiarazioni che arrivano da Luna Rossa Challenge 2013, in particolare da Patrizio Bertelli che, nel lasciare liberi i membri del suo team se continuare o meno la sfida, lascia intendere: “E’ diventato uno sport estremo, senza adeguate garanzie potremmo ritirarci”.
Significativo, benchè telegrafico, anche l’intervento del presidente del CIO (nonchè ex velista olimpico) Jacques Rogge: "Simpson era un marinaio molto esperto, morto mentre viveva la sua passione per lo sport".
Martedi Iain Murray ha convocato una riunione di tutti i team, e questo sarà un momento importante di confronto e conoscenza delle posizioni singole e di gruppo. “La riunione di gruppo sarà un passo cruciale - ha detto Murray - perchè ci consentirà di fare chiarezza sui fatti e metterci in condizione di decidere eventuali cambiamenti se necessario. Metteremo insieme tutti i dati sensibili e ricostruire la catena degli eventi, per individuare perchè l’incidente ha provocato la tragica perdita di una vita”. La riunione si svolgerà a San Francisco tra tutti i team: il defender Oracle USA, il challenger of record Artemis e gli sfidanti Emirates Team New Zealand e Luna Rossa Challenge.
Un colosso dell’informazione, la Reuters, ha condotto un’approfondita inchiesta (http://www.reuters.com/article/2013/05/11/sailing-americascup-idUSL2N0DR...) giornalistica sui rischi reali della prossima America’s Cup, provocati dalla ricerca spasmodica di frazioni di nodo di velocità dalle macchine degli AC72. Un bel pezzo che ricorda la storia di questa Coppa numero 34, il suo sostanziale flop con sole 3 sfide delle 14 annunciate, la polemica sui costi e sui vantaggi del defender, fino alla tragedia.
Scott MacLeod, managing director di WSM Communications che si occupa di marketing degli eventi velici e ha collaborato con la Coppa America e il circuito Match Racing, afferma: “Quando la tecnologia viene spinta oltre i livelli di sicurezza, non sono certo che si faccia il bene di qualunque sport.”
E adesso? Nel silenzio restano Larry Ellison, l’ispiratore di questa escalation di Coppamerica, il suo CEO Russell Coutts (che ha condiviso la visione persino prima, con Paul Cayard - ricordate il progetto di supercat di 70 piedi per circuiti-spettacolo sotto costa?), e gli sponsor. Immaginate cosa può passare per la testa a Louis Vuitton (Bruno Troublé), a Red Bull, ad altri coinvolti per mezzo degli sfidanti, come Emirates, Prada, Nespresso... La stessa Reuters si interroga sul prossimo futuro. Se davvero come dice Barclay “Nothing is off the table”, possiamo aspettarci una cancellazione dell’evento? O una scelta diversa sulle barche con cui disputare il trofeo?
Altri fatti: le conseguenze dell’incidente sulla ricerca di fondi da parte della città. Un incontro di “fundraising” e ricerca sponsor della città di San Francisco guidata dal capo del comitato organizzatore cittadino della Coppa, Mark Buell, in programma giovedi, è stato cancellato a seguito della tragedia. E molti sono convinti che le stime sui ritorni economici della città dall’evento siano decisamente sovra-stimati, e vadano rivisti al ribasso. La Coppa rischia di essere anche un cattivo affare per Frisco.
Spingere la ricerca per la velocità a vela, del resto, è la storia stessa dell’America’s Cup, e difficilmente questo spirito può fermarsi. Si tratta evidentemente di trovare un punto di incontro realistico e serio. La domanda da porsi, anche con i risultati speriamo rapidi delle inchieste, è la seguente: la tragica morte di Simpson è una fatalità, un evento sfortunato, oppure la formula e le barche della Coppa sono intrinsecamente pericolose e un altro incidente può capitare? La Coppa America non può trasformarsi in una roulette russa, una competizione per la vita.
Una domanda che, a pensarci bene, può essere appropriata anche per il giro del mondo in solitario, per la MiniTransat con i 650 (in questa storica regata ci sono state più d’una morte, eppure è considerata un incubatore di grandi navigatori), per le regate d’altomare (l’ISAF ha introdotto l’obbligo di corsi di sopravvivenza per i partecipanti alle regate “lunghe”), persino per la crociera: come mai la cintura di sicurezza è altamente raccomandata e la manovra di recupero dell’uomo a mare è la prova più importante per l’esame della patente nautica?). Il mondo non si può fermare, ma si può e si deve renderlo un posto più sicuro.
Tra i pochi commenti dei protagonisti, la dichiarazione di Nathan Outteridge, che era al timone di Artemis, ma è stata una risposta per contestare un articolo del Newcastle Herald, australiano, che riportava alcune dichiarazioni di suo padre. “Nathan, mi ha raccontato di essere distrutto, è il peggiore giorno della sua vita”, ma il racconto prosegue con note tecniche contestate dal giovane velista medaglia d’oro del 49er a Londra 2012: “Nathan mi ha detto che la giornata era uguale a tante altre, il vento stava salendo e hanno deciso di rientrare, hanno poggiato e la barca ha preso velocità, infilando un po’ la prua nell’acqua. Ma anche questo, secondo Nathan, era nella normalità. Poi mi ha detto di aver sentito un crack, e prima di scuffiare la barca si è spezzata a metà.” Infine l’ultima parte: “Non sono sicuro che Nathan vorrà fare la Coppa a San Francisco. Spero di si, perchè credo che il suo amico Bart per primo desiderasse continuare ciò che stavano facendo”.
Nathan Outteridge ha scritto una dichiarazione nella quale afferma “la descrizione dell’incidente riportata nell’articolo non è corretta, stiamo tutti ancora cercando di capire cosa sia realmente accaduto, e chiediamo rispetto per questi sforzi.”
La stessa Artemis è intervenuta per porre un freno ai “rumors”: “Artemis Racing sta conducendo approfondite analisi sull’accaduto. Stiamo condividendo e scambiando i dati con gli altri concorrenti e con le parti in causa. Finchè questo lavoro non sarà concluso, ogni ipotesi sui motivi dell’incidente e sulla sua tragica conseguenza è da considerarsi semplice speculazione. Chiediamo rispetto per la famiglia di Bart e invitiamo tutta la comunità del mondo della vela e chiunque altro ad astenersi dal giudicare prima che i fatti siano conosciuti. Grazie a tutti per il supporto che offrite al team in questo momento difficile”.
andrea (non verificato)
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