PROFILO

16/11/2016 - 13:20

La crociata anti-Croce

Carlo Croce, ex presidente FIV e World Sailing


La mancata rielezione di Carlo Croce alla presidenza della federazione velica mondiale per un secondo mandato quadriennale è il risultato di numerosi errori, ma anche di atteggiamenti e modi di essere. Insieme a Croce è stata sconfitta l'Italia con i suoi soliti vizi e le solite abitudini (della vela e forse non solo). Tra questi, anche quello di salire e scendere dai carri: quando vinceva erano tutti con lui, adesso che frana, tutti ne scoprono i difetti 

 
LA STORIA DEI PRESIDENTI DELLA FEDERAZIONE VELA MONDIALE
Dal 1906 al 1946 un chairman era eletto volta per volta per gestire le riunioni annuali dell'ente. Poi si è passati al processo elettivo con carica quadriennale. Questi i presidenti mondiali della vela che si sono succeduti.
 
•   1946–1955: Sir Ralph Gore(GBR) primo presidente eletto
•   1955–1969: Sir Peter Scott(GBR)
•   1969–1986: Beppe Croce(ITA)
•   1986–1994: Peter Tallberg(FIN)
•   1994–2004: Paul Henderson(CAN)
•   2004–2012: Göran Petersson(SWE)
•   2012–2016: Carlo Croce(ITA)
•   2017-...: Kim Andersen (DEN)
 
Carlo Croce è il primo presidente della Federvela mondiale (IYRU, ISAF e World Sailing nelle varie denominazioni) dal 1946 a oggi, a essere bocciato dopo il primo mandato. In predecessori erano stati sempre rieletti per altri quattro anni. Questo piccolo record negativo spiega bene il clima negativo che ha pervaso l'assemblea generale di World Sailing nel voto di Barcellona, e ancor prima tutto il mondo velico internazionale che ha espresso ben due candidati alternativi alla presidenza italiana.
 
Una vera e propria crociata anti-Croce. Una crociata-lampo, peraltro: solo tre o quattro mesi fa non c'erano canditati alternativi alla conferma dell'italiano. Kim Andersen prima e Paul Henderson dopo, sono usciti fuori all'ultimo momento. Un blitz, che a molti ha ricordato proprio la salita di Carlo Croce al vertice della Federvela italiana: tutto preparato in silenzio, quindi l'uscita pubblica a ottobre, il trionfo alle primarie zonali, e la decisione di Sergio Gaibisso di ritirarsi dalla corsa (peraltro dopo due medaglie olimpiche vinte a Qingdao, e un bottino totale di sei medaglie nella sua presidenza).
 
La differenza è che stavolta Croce, pur sapendosi accerchiato, non ha ritenuto di ritirarsi. Forse sperava che il suo apparato elettorale, supportato dalla consulenza della potente agenzia di lobby inglese Vero (quella che ha fatto eleggere Infantino alla presidenza FIFA e Sebastian Coe all'IAAF, che sta gestendo la campagna olimpica di Parigi 2024 (ah, le città serie...) come aveva fatto per Rio 2016, la World Cup di Rugby, e così via...) riuscisse nel miracolo. E numeri alla mano, considerando il vento dello scontento che soffiava contro di lui, il miracolo l'ha sfiorato: al primo turno ha preso gli stessi voti di Andersen, al secondo è finita 52-46, una manciata di nazioni.
 
Resta il fatto che ci ritroviamo un presidente danese, e che l'Italia perde il prestigio di esprimere la guida della vela mondiale. Non possiamo non sentirla come una sconfitta italiana. Senza accollarci le colpe per gli errori di Carlo, di sicuro ha perso anche l'Italia dei vizi, delle divisioni e delle furbizie. Otto anni fa, salendo alla presidenza FIV, Croce era osannato da tutti. Quattro anni fa, diventando capo mondiale, gli osanna si moltiplicarono. E oggi? Scaduti i due quadrienni FIV, trombato da World Sailing, tutti ne scoprono i difetti e si lanciano in filippiche. Troppa grazia prima, quando era facile inchinarsi al principe, e troppa fretta dopo, in questa voglia di scendere dal carro.
 
In Italia abbiamo eletto Croce nel 2008 e lo abbiamo confermato nel 2012. Nel mondo dopo un quadriennio è stato sfidato, e battuto. In Italia mugugniamo in silenzio e chiniamo la testa, nel mondo funziona diversamente. Più che infilzare adesso lo sconfitto (che per inciso tra qualche settimana avrà un altro appuntamento elettorale, per l'ultima carica rimasta, la presidenza dello Yacht Club Italiano, e non si annunciano rose e fiori), serviva indipendenza prima, libertà di giudizio, circolazione di idee, disponibilità a scendere in campo. Altrimenti resta solo l'esercizio verbale, altra specialità italianissima. Ma a cosa serve, se poi perdiamo?
 
Del resto Croce avrà tempo per riflettere sui propri errori internazionali. Quelli che hanno lasciato il segno, sono arrivati negli ultimi due anni: prima la vicenda del Mondiale Youth in Malaysia, il caso della discriminazione verso gli atleti israeliani che ha fatto emergere un problema irrisolto di rapporti diplomatici e di sudditanza dello sport alla politica (termine in questo caso fin troppo elegante). Poi la difficoltà nel trovare, nominare e gestire un Chief Executive Officer (CEO) di World Sailing, con il ritiro-lampo dopo soli cinque mesi del polemico Peter Sowrey, sostituito successivamente dall'attuale CEO Andy Hunt. Ancora, la crisi della World Cup, culminata col gran rifiuto di Abu Dhabi di onorare gli accordi per ospitare la Finale per due anni di seguito. Quindi le difficoltà organizzative ed economiche dell'Olimpiade brasiliana e il problema delle acque inquinate dei campi di regata di Rio 2016.

E infine gli equivoci nei rapporti con il CIO, le vere o presunte o comunque non ben comprese "richieste" del Comitato Olimpico alla Vela per restare ai Giochi, che hanno portato al clamoroso ribaltone di uno dei capisaldi della linea Croce (il blocco delle classi olimpiche almeno fino a Tokyo 2020), con il celebre e famigerato "Unlock" deciso a maggioranza dal Council in un voto elettronico. Quello sblocco che lasciava liberi di cambiare le classi olimpiche, che conteneva una vaga apertura al Kiteboarding, e che ha dato il via a un periodo di autentico caos, di tutti contro tutti, di idee in libertà, difese strenue con tutti i mezzi delle classi a rischio, di voci incontrollate. Una confusione che ha aumentato il malessere e lo scontento nei confronti della presidenza Croce, colpevole di non riuscire a garantire certezze a un settore chiave come quello della vela olimpica. Alla fine, il tentativo in extremis di rimettersi in carreggiata, con l'annuncio del ritorno al blocco delle classi, e con l'aggiunta della ventilata undicesima medaglia per il Kite, non è bastato, anzi ha alimentato l'idea di una presidenza ondivaga nelle decisioni.
 
Ma a Croce è stato imputato uno stile di gestione poco trasparente e condivisa. Un'accusa forse più grave degli errori stessi. E che fa riferimento al carattere del personaggio, il quale in fondo non ha mai nascosto - sia nella presidenza della federazione italiana che di quella internazionale - una certa insofferenza alla "burocrazia", alle regole del confronto e del percorso decisionale di organismi che sono espressione di territori e interessi vasti e diffusi, e che pertanto hanno un andamento fisiologicamente pachidermico. Una realtà da conoscere, con la quale fare i conti, scendere a patti. Le soluzioni di Carlo Croce, spesso delle scorciatoie seppure a fin di bene, non sono piaciute a molti, non hanno creato inclusione ma piuttosto esclusione dal processo decisionale. La distanza, il distacco, del "capo" dalla base trattata sempre con sussiego, è uno dei modi di essere dell'uomo, ben notata anche a livello nazionale.
 
Croce è diventato presidente mondiale con una campagna-lampo quattro anni fa, togliendo le castagne dal fuoco come terzo perfetto litigante, tra due impresentabili per varie ragioni. Il suo nome ha pesato (la lunga presidenza di Beppe Croce è rimasta ancora ben radicata nella storia dell'ente), la sua immagine ha dato tranquillità e fiducia. Quattro anni dopo, cosa resta di quella immagine? Si è detto spesso, e a ragione, che l'organismo mondiale dello sport velico ha un dna "anglosassone" e nordeuropeo. La storia dei past-president lo conferma: due inglesi, un finlandese, un canadese, uno svedese. In mezzo 17 anni di Beppe Croce. Un lungo periodo nel quale con abilità e grande inclusività Beppe Croce ha governato la vela e per diretta conseguenza fatto guadagnare all'Italia prestigio internazionale.

Il flop di Carlo annulla quel credito, e ci riporta indietro. Adesso non solo la vela è nuovamente in mani scandinave, ma l'Italia dovrà sudare per recuperare credibilità. Le individualità non ci mancano, sia nel Council che in alcuni Committee, e la stessa presenza per l'intera settimana a Barcellona del neo presidente FIV Francesco Ettorre, che ha incontrato e conosciuto tutti, da kim Andersen in giù, va in questa direzione. Ma le individualità non bastano, adesso è il momento del gioco di squadra.

Anche perchè non basta cambiare timoniere per mandare dritta la barca se questa non è centrata. I problemi di World Sailing sono ancora tutti lì, Croce o non Croce. Su classi olimpiche e rapporti con il CIO il danese non offre più certezze, al momento, anzi è molto tentato dalle sirene foil (Nacra 17) e carbon rig (470). Sull'undicesima medaglia deve conquistarsi credibilità agli occhi del CIO. E una volta avuta, dovrà mostrarsi lucido e indipendente nella scelta, perchè si confronteranno il futuro (Kite) e il passato (chiglia). La World Cup, appena messa in pista con un nuovo calendario, sarà nuovamente cambiata, o addirittura stoppata? La comunicazione della vela mondiale, in quale direzione andrà? E infine il problema quasi "antropologico": come armonizzare il rapporto con le associazioni di classe, che per quant visto a Barcellona hanno acquisito il rango di vere potenze nello sport della vela.
 
Credibilità e prestigio internazionali vengono dai risultati, dalle organizzazioni, dalla crescita del movimento, e dai rapporti in seno a World Sailing. Significa poter presentare candidature per eventi e regate, proposte o submission costruttive, Ufficiali di Regata o altri Tecnici in posti chiave. Avremo ancora, si spera, Massimo Dighe a Capo della vela paralimpica di World Sailing, che ha tanto lavoro da fare. Abbiamo un presidente italiano del Kite, Mirco Babini, che ora ha un compito delicato. Abbiamo Riccardo Simoneschi che di fatto è il chairman dell'Events Committee, il più importante organo consultivo del Council WS. Council dove siede Walter Cavalucci, che ormai svincolato dal compito di scudiero del presidente può ritagliarsi un altro ruolo. L'Italia della vela, come accade anche in altri settori, è andata in ordine sparso, incapace di fare sistema. E chi quel sistema avrebbe potuto valorizzarlo nella posizione migliore, ovvero il presidente italiano, è stato il primo a non curarsene. Ora si dovrà cambiare passo. Dimostrare che la vela italiana non è solo eleganza senza contenuti. A cominciare dall'affrontare e risolvere la vicenda incresciosa chiamata Assolaser, che non a caso riguarda sia FIV che World Sailing.

Quanto all'ex "Tresidente", lasciamolo in pace. Dargli addosso a che serve? Ve lo dice uno che nel 2008-2010, lo ha marcato stretto come uno stopper vecchio stampo (con il glorioso blog "La Mia Federvela"), al punto da riceverne una sorta di "anatema", che invitava i consiglieri federali a non curarsi di me, a non leggermi, a non parlarmi... Non è servito allora, quell'atteggiamento. Non serve oggi annichilire un pezzo di passato.

Commenti

Ettore Thermes (non verificato)

E' del tutto gratuita la tua interpretazione che Croce sia associabile all'italia ed anzi presuppone un modo di pensare censurabile. Se un presidente di un'organizzazione internazionale e' di una nazione non è che la deve favorire o in qualche modo avvantaggiare. Croce e' un signore che ha gestito come ha meglio creduto con le sue capacità bravura visione e' limiti. Il resto sono discorsi Fabio. Perdonami se ti bacchetto ma non e' utile fare di tutta l'erba un fascio.