blog | Di Fabio Colivicchi
09/11/2012 - 15:25
E Dopo Weymouth? - 4
Da destra: Gianni Storti, Antonio Micillo e Mauro Tirinnanzi: gli ultimi tre segretari generali della FIV

Visto che nessuno ne parla (come previsto), continuiamo a sporcarci le mani e ad analizzare cosa è mancato alla vela olimpica azzurra a Londra 2012. E cosa servirebbe per Rio 2016...
Come ampiamente previsto, di debriefing o commenti post-olimpici ufficiali, all’aperto, trasparenti e condivisi come sarebbe stato più che giusto e richiesto da 100mila tesserati paganti, neanche l’ombra (piccola eccezione da sottolineare con piacere: il tecnico Chicco Caricato, a quanto ci risulta, ha fatto una disamina pubblica nell’VIII Zona sul dopo Olimpiade, complimenti). La Nuova FIV, ormai vecchia di quattro anni, ha messo la firma sull’ultima delusione. Provate a chiedervi (e ditemi qual è la vostra risposta): cosa avrebbe detto e fatto la FIV se a Weymouth i nostri velisti avessero vinto una o un paio di medaglie? Immaginate un assordante silenzio come quello che regna sul tema da Ferragosto a tutt’oggi? O qualcuno avrebbe parlato, in quel caso?
Rilevato con delusione quanto ahimè ci aspettavamo, passiamo a commentare noi. Nel nostro piccolo, anzi piccolissimo.
Nel capitolo 3 della serie E Dopo Weymouth? abbiamo fatto la nostra cronaca e evidenziato alcuni elementi della preparazione olimpica, e della partecipazione ai Giochi. Poi vi abbiamo proposto la rassegna stampa dei giornali di settore, assai scarna e deludente, forse figlia della sconfitta, forse del black-out della comunicazione (e pensare che l’ufficio stampa federale iniziò il quadriennio annunciando agli atleti: “faremo di voi dei personaggi”...), forse di tutte e due le cose.
Nonostante la pochezza, però, sconfitta sul campo (zero-medaglie) e rassegna stampa qualcosa hanno messo in luce. Andiamo a vedere più da vicino. Con l’avvertenza che, a questo punto, i commenti sul Dopo-Weymouth scivoleranno inevitabilmente in una sorta di catalogo preventivo sul Pre-Rio 2016.
Tre sono gli aspetti che vale la pena mettere sotto la lente d’ingrandimento:
1) La direzione tecnica (che comprende cose come il Piano Strategico Generale, le Selezioni e la scelta dello Staff Tecnico);
2) La valorizzazione degli atleti (che comprende la gestione della preparazione e del timing, il rapporto con il tecnico e il programma della squadra, il lavoro di preparazione mentale);
3) La gestione della squadra immediatamente prima e durante l’evento olimpico.
Sul primo punto (a parte a quanto ho già detto e scritto a cominciare dal 2009), ci sono alcune riflessioni che ritengo obbligatorie per chi ha avuto la responsabilità. All’inizio del quadriennio Carlo Croce ha individuato in due validi tecnici della “Vecchia FIV” le migliori caratteristiche per una direzione tecnica che si voleva innovativa. Di innovativo c’è stata subito la doppia direzione tecnica, scelta che ha sollevato qualche perplessità e che si è confermata non brillantissima, e forse basata più su un momento di “indecisione politica”. I due DT sono peraltro amici intimi e solidali, ma con idee e atteggiamenti assai diversi. Insomma il duumvirato non ha funzionato al massimo. Chi fa il braccio e chi la mente? Chi scrive il Piano Strategico Generale, e chi lo attua o lo fa rispettare? Chi sceglie (o licenzia) i tecnici e chi tratta i contratti? Il gioco ha logorato i giocatori e si sono moltiplicate occasioni di piccole o grandi frizioni, fughe in avanti, frenate, ripensamenti (va ricordato qui che le responsabilità dei due DT sono state separate più nettamente dal giugno 2011: Luca De Pedrini ha continuato con la squadra olimpica, Paolo Ghione ha seguito i giovani e non è più entrato nel processo decisionale da quella data in poi), difficoltà nei singoli rapporti all’interno dello staff tecnico. Quest’ultimo, anzichè essere al centro di un vero progetto innovativo, come una squadra compatta che segue un’idea, ha finito per somigliare tantissimo (anche nei tratti somatici...) a quelli del passato. Anche nel turnover, allegro e spesso ispirato dagli atleti anzichè dalla dirigenza. Quest’ultima, va detto, nel corso del quadriennio si è azzoppata, con le dimissioni silenziose di Pino Barbieri (era il consigliere di presidenza chiamato a seguire la preparazione olimpica, ma se n’è andato perchè non si è sentito abbastanza considerato), e la ricaduta dell’intero fardello sulle spalle del presidente Croce.
La definizione dello staff tecnico è da sempre un punto chiave, delicato, fonte di possibili tensioni, ma soprattutto determinante per l’impatto del lavoro dei singoli tecnici sugli atleti. Una direzione forte di autorevolezza ed equilibrio e uno staff tecnico affiatato sono la base senza la quale non si costruiscono i successi, vale in assoluto per tutti gli sport. Per i motivi brevemente riassunti, questa condizione nella nostra vela nel quadriennio concluso si è verificata solo parzialmente, come dimostrano i numerosi cambiamenti nello staff e nei collaboratori esterni importanti come per il settore meteo. Spesso si sono dispersi tempo, denaro e capacità.
La macchina di un quadriennio di preparazione olimpica nella vela è assai complessa, servono esperienza e conoscenza, invece c’è stata troppa fretta di introdurre novità (più annunciate che reali) per dare un segnale di discontinuità col passato (superficialmente analizzato, indebitamente criticato e maldestramente archiviato), senza prima progettare e costruire le fondamenta e le strutture portanti di un nuovo progetto.
Il secondo punto (valorizzazione degli atleti) ne è conseguenza diretta e anche la prova finale del funzionamento dell’intera macchina. Quando hai un atleta in una squadra olimpica, uno (o una) in grado di selezionarsi e qualificare la nazione all’Olimpiade, hai materia scottante per le mani. Pietre preziose. Che devi solo lucidare per farle brillare sempre di più, fino all’esplosione della gara olimpica. Questo è avvenuto a fasi alterne nel quadriennio. Pensiamo a Zandonà, quanta strada prima di far brillare lui e Zucchetti anche solo con pochi mesi di lavoro assiduo e mirato. Pensiamo alla squadra dei finnisti e a Baldassari il vincitore delle selezioni, i suoi alti e bassi sono gli alti e bassi di Devoti... Pensiamo alla dispersione di un Heidegger. Pensiamo anche ai detriti lasciati dalle selezioni in Alessandra Sensini e della stessa Laura Linares. Pensiamo alle tante cose successe intorno a Diego Negri. Pensiamo soprattutto a G&G... In altra sede e in altro momento potremo discutere su questi atleti-gioiello, come di porcellana, così delicati. Forse sono tratti genetici del nostro paese. Forse si possono introdurre correttivi e per il futuro avere atleti più solidi nel complesso psico-fisico (ma non facciamoci troppe illusioni: anche un mostro come Ben Ainslie è scoppiato, a Perth...). Resta il fatto che a Weymouth (o prima, nel caso della Star) non siamo arrivati con tutti gli atleti al massimo.
Poichè non si può assolutamente disconoscere l’impegno di tutti nè la bravura e la qualità dei singoli (sia atleti che tecnici), è evidente che il mancato risultato è la somma di una serie di piccoli-grandi errori o manchevolezze nella gestione generale che hanno precluso quella brillantezza finale, quella chimica miracolosa senza la quale non arrivano le medaglie. Come dire che il materiale c’è ma va plasmato meglio. Per qualcuno (parecchi) può risultare decisivo un lavoro scientifico sull’aspetto mentale. Per altri la continuità di preparazione. Per altri ancora un aiuto dall’alto sulla gestione oculata dei calendari agonistici (aspetto dimostratosi decisivo per Z&Z nell’ultimo anno). Per tutti, ovviamente, le certezze economico-finanziarie... Se moltiplicate per 10 classi olimpiche e una trentina tra atleti e tecnici, capite bene quanto il puzzle sia complicato. Mettere insieme tutti i pezzi non è alla portata di una sola persona. Ci vuole una struttura piramidale in cui ciascuno fa il proprio piccolo pezzo di puzzle e alla fine il vertice assembla il disegno globale.
Il terzo punto è ancor più chirurgico e selettivo: si tratta di prendere in esame gli ultimi 2-3 mesi prima della gara olimpica, e i giorni della gara stessa. Una fase nella quale dovrebbero entrare in gioco meccanismi completamente diversi da quelli della “preparazione”. Quando sei in campo, non pensi al muscolo che hai sviluppato in tre anni, ma all’avversario che devi stroncare, alla natura che devi domare. E per consentire all’atleta di concentrarsi su questo, c’è un team intero, con ruoli e competenze, al lavoro. Il team azzurro che gioca, entra in campo nei 15 giorni di regate della vela olimpica, è composto dagli atleti, dai tecnici, dagli attrezzisti, dai medici e terapisti, dagli accompagnatori, dai dirigenti e dal presidente federale se c’è e nel caso della vela c’è sempre stato. Questo team gioca compatto e deve avere un’idea di gioco, deve essere proprio come una squadra di calcio. Gli atleti in regata sono gli attaccanti che fanno gol, o il portiere che para un rigore. Per arrivare a quella fase di gioco ci sono i difensori, i centrocampisti, i terzini che spingono sulle fasce, il regista, il mastino, le ali che dribblano e crossano. Più è chiara e condivisa l’idea di gioco, il modulo, più facile sarà arrivare a fare gol e vincere (il podio). Obiettivo che quando sei in campo devi perseguire con ogni mezzo e con tutte le forze, senza alternative o distrazioni.
E DOPO WEYMOUTH, RIO
Come possono essere utilizzate queste riflessioni ai fini della nuova preparazione olimpica verso Rio 2016?
Una “direzione”, per quanto tecnica, della preparazione olimpica nella vela deve ormai essere riqualificata e riconsiderata: questa figura deve possedere qualità di tipo manageriale, comunicative, organizzative, economiche, motivazionali, ben prima che tecniche. Un manager alla guida, dunque, che risponda al Consiglio Federale e che abbia la stima di tutti (anche del CONI). Con uno staff tecnico ridisegnato, magari allargato alle collaborazioni che (giustamente) si vogliono stimolare con gli allenatori di forze armate, club o singoli equipaggi. Diviso organicamente tra singoli e doppi, per una catena di comando che produca risposte più veloci. L’elasticità, ben al di sopra dei dogmatismi che più volte ho criticato, è una qualità sempre utile a una organizzazione complessa.
Non è un discorso “contro” Luca De Pedrini. O contro Paolo Ghione. Intanto se ci fosse (e spero che ci sarà nel prossimo quadriennio) migliore comunicazione sugli immensi valori della nostra vela agonistica, questo produrrebbe anche più qualità e profondità nelle discussioni e nelle valutazioni. La carriera di uno sportivo è influenzata in modo “naturale” dai risultati. Luca e Paolo sono tecnici vincenti e hanno fatto carriera. Non riesco però a togliermi dalla testa questa sensazione: che Luca sia un allenatore strepitoso nel lavoro sugli atleti. Quanto fatto con Z&Z è l’ultima prova provata ma non ne avevamo bisogno. Avremmo semmai bisogno che uno così, un vero “mago”, lavori su progetti e atleti specifici. Una cosa che non si concilia con il lavoro del DT, soprattutto del profilo appena descritto. Entrambe le cose non si possono fare. Quindi separare DT da ogni ruolo tecnico. Luca dovrebbe scegliere: io lo vorrei tutta la vita come tecnico. E come me la pensano almeno una decina di velisti che vorrebbero essere preparati da lui!
Parlo di Luca perchè Paolo, a quanto ne so, è ormai orientato a una scelta di vita diversa, lontano dalla squadra olimpica: sta studiando sodo per fare il Direttore Tecnico Giovanile, un settore che lo appassiona. Ma il discorso vale anche per lui: DT o tecnico, le due cose insieme sono escluse.
Questo sarebbe già un cambiamento vero. Certo implica una ricerca e una scelta per il ruolo di Manager. Qual è il profilo adatto? Quali abilità e conoscenze? Se è bravo a gestire un progetto e il materiale umano, serve che sappia di vela, e di Olimpiadi? Certo, aiuterebbe. Ma tutto non si può avere... Questo esercizio di profiling, alla caccia dell’identikit del DT azzurro ideale, sto provando a farlo da qualche tempo. Il fatto che sia molto difficile mettere a fuoco un volto, in fondo è una conferma della sua importanza.
Guardando la foto ancora più da lontano, la figura si avvicina a quella del segretario generale di una federazione. L’attuale Coordinatore Federale FIV Gianni Storti è uno straordinario manager sportivo con esperienze olimpiche di eccellenza. Servirebbe uno così, per intenderci. Certo Storti oggi ha l’intera FIV sulle spalle e davanti a sè un quadriennio delicato di nuovi equilibri disegnati dallo Statuto, con un piccolo Consiglio, maggior carico sugli uffici federali, un budget tutto da inventare: lui serve come il pane al sedicesimo piano, anche come riferimento del DT che verrà. Però parlare di segretari generali mi ha fatto venire in mente un altro nome: Mauro Tirinnanzi. Uno che da DT di un altro sport ha vinto medaglie olimpiche pesanti, e poi è divenuto SG proprio della vela. Unisce conoscenze olimpiche e veliche a capacità manageriali. Non sarà lui il prossimo manager che sta cercando la vela azzurra per Rio 2016, ma il suo profilo gli somiglia molto...
Come ampiamente previsto, di debriefing o commenti post-olimpici ufficiali, all’aperto, trasparenti e condivisi come sarebbe stato più che giusto e richiesto da 100mila tesserati paganti, neanche l’ombra (piccola eccezione da sottolineare con piacere: il tecnico Chicco Caricato, a quanto ci risulta, ha fatto una disamina pubblica nell’VIII Zona sul dopo Olimpiade, complimenti). La Nuova FIV, ormai vecchia di quattro anni, ha messo la firma sull’ultima delusione. Provate a chiedervi (e ditemi qual è la vostra risposta): cosa avrebbe detto e fatto la FIV se a Weymouth i nostri velisti avessero vinto una o un paio di medaglie? Immaginate un assordante silenzio come quello che regna sul tema da Ferragosto a tutt’oggi? O qualcuno avrebbe parlato, in quel caso?
Rilevato con delusione quanto ahimè ci aspettavamo, passiamo a commentare noi. Nel nostro piccolo, anzi piccolissimo.
Nel capitolo 3 della serie E Dopo Weymouth? abbiamo fatto la nostra cronaca e evidenziato alcuni elementi della preparazione olimpica, e della partecipazione ai Giochi. Poi vi abbiamo proposto la rassegna stampa dei giornali di settore, assai scarna e deludente, forse figlia della sconfitta, forse del black-out della comunicazione (e pensare che l’ufficio stampa federale iniziò il quadriennio annunciando agli atleti: “faremo di voi dei personaggi”...), forse di tutte e due le cose.
Nonostante la pochezza, però, sconfitta sul campo (zero-medaglie) e rassegna stampa qualcosa hanno messo in luce. Andiamo a vedere più da vicino. Con l’avvertenza che, a questo punto, i commenti sul Dopo-Weymouth scivoleranno inevitabilmente in una sorta di catalogo preventivo sul Pre-Rio 2016.
Tre sono gli aspetti che vale la pena mettere sotto la lente d’ingrandimento:
1) La direzione tecnica (che comprende cose come il Piano Strategico Generale, le Selezioni e la scelta dello Staff Tecnico);
2) La valorizzazione degli atleti (che comprende la gestione della preparazione e del timing, il rapporto con il tecnico e il programma della squadra, il lavoro di preparazione mentale);
3) La gestione della squadra immediatamente prima e durante l’evento olimpico.
Sul primo punto (a parte a quanto ho già detto e scritto a cominciare dal 2009), ci sono alcune riflessioni che ritengo obbligatorie per chi ha avuto la responsabilità. All’inizio del quadriennio Carlo Croce ha individuato in due validi tecnici della “Vecchia FIV” le migliori caratteristiche per una direzione tecnica che si voleva innovativa. Di innovativo c’è stata subito la doppia direzione tecnica, scelta che ha sollevato qualche perplessità e che si è confermata non brillantissima, e forse basata più su un momento di “indecisione politica”. I due DT sono peraltro amici intimi e solidali, ma con idee e atteggiamenti assai diversi. Insomma il duumvirato non ha funzionato al massimo. Chi fa il braccio e chi la mente? Chi scrive il Piano Strategico Generale, e chi lo attua o lo fa rispettare? Chi sceglie (o licenzia) i tecnici e chi tratta i contratti? Il gioco ha logorato i giocatori e si sono moltiplicate occasioni di piccole o grandi frizioni, fughe in avanti, frenate, ripensamenti (va ricordato qui che le responsabilità dei due DT sono state separate più nettamente dal giugno 2011: Luca De Pedrini ha continuato con la squadra olimpica, Paolo Ghione ha seguito i giovani e non è più entrato nel processo decisionale da quella data in poi), difficoltà nei singoli rapporti all’interno dello staff tecnico. Quest’ultimo, anzichè essere al centro di un vero progetto innovativo, come una squadra compatta che segue un’idea, ha finito per somigliare tantissimo (anche nei tratti somatici...) a quelli del passato. Anche nel turnover, allegro e spesso ispirato dagli atleti anzichè dalla dirigenza. Quest’ultima, va detto, nel corso del quadriennio si è azzoppata, con le dimissioni silenziose di Pino Barbieri (era il consigliere di presidenza chiamato a seguire la preparazione olimpica, ma se n’è andato perchè non si è sentito abbastanza considerato), e la ricaduta dell’intero fardello sulle spalle del presidente Croce.
La definizione dello staff tecnico è da sempre un punto chiave, delicato, fonte di possibili tensioni, ma soprattutto determinante per l’impatto del lavoro dei singoli tecnici sugli atleti. Una direzione forte di autorevolezza ed equilibrio e uno staff tecnico affiatato sono la base senza la quale non si costruiscono i successi, vale in assoluto per tutti gli sport. Per i motivi brevemente riassunti, questa condizione nella nostra vela nel quadriennio concluso si è verificata solo parzialmente, come dimostrano i numerosi cambiamenti nello staff e nei collaboratori esterni importanti come per il settore meteo. Spesso si sono dispersi tempo, denaro e capacità.
La macchina di un quadriennio di preparazione olimpica nella vela è assai complessa, servono esperienza e conoscenza, invece c’è stata troppa fretta di introdurre novità (più annunciate che reali) per dare un segnale di discontinuità col passato (superficialmente analizzato, indebitamente criticato e maldestramente archiviato), senza prima progettare e costruire le fondamenta e le strutture portanti di un nuovo progetto.
Il secondo punto (valorizzazione degli atleti) ne è conseguenza diretta e anche la prova finale del funzionamento dell’intera macchina. Quando hai un atleta in una squadra olimpica, uno (o una) in grado di selezionarsi e qualificare la nazione all’Olimpiade, hai materia scottante per le mani. Pietre preziose. Che devi solo lucidare per farle brillare sempre di più, fino all’esplosione della gara olimpica. Questo è avvenuto a fasi alterne nel quadriennio. Pensiamo a Zandonà, quanta strada prima di far brillare lui e Zucchetti anche solo con pochi mesi di lavoro assiduo e mirato. Pensiamo alla squadra dei finnisti e a Baldassari il vincitore delle selezioni, i suoi alti e bassi sono gli alti e bassi di Devoti... Pensiamo alla dispersione di un Heidegger. Pensiamo anche ai detriti lasciati dalle selezioni in Alessandra Sensini e della stessa Laura Linares. Pensiamo alle tante cose successe intorno a Diego Negri. Pensiamo soprattutto a G&G... In altra sede e in altro momento potremo discutere su questi atleti-gioiello, come di porcellana, così delicati. Forse sono tratti genetici del nostro paese. Forse si possono introdurre correttivi e per il futuro avere atleti più solidi nel complesso psico-fisico (ma non facciamoci troppe illusioni: anche un mostro come Ben Ainslie è scoppiato, a Perth...). Resta il fatto che a Weymouth (o prima, nel caso della Star) non siamo arrivati con tutti gli atleti al massimo.
Poichè non si può assolutamente disconoscere l’impegno di tutti nè la bravura e la qualità dei singoli (sia atleti che tecnici), è evidente che il mancato risultato è la somma di una serie di piccoli-grandi errori o manchevolezze nella gestione generale che hanno precluso quella brillantezza finale, quella chimica miracolosa senza la quale non arrivano le medaglie. Come dire che il materiale c’è ma va plasmato meglio. Per qualcuno (parecchi) può risultare decisivo un lavoro scientifico sull’aspetto mentale. Per altri la continuità di preparazione. Per altri ancora un aiuto dall’alto sulla gestione oculata dei calendari agonistici (aspetto dimostratosi decisivo per Z&Z nell’ultimo anno). Per tutti, ovviamente, le certezze economico-finanziarie... Se moltiplicate per 10 classi olimpiche e una trentina tra atleti e tecnici, capite bene quanto il puzzle sia complicato. Mettere insieme tutti i pezzi non è alla portata di una sola persona. Ci vuole una struttura piramidale in cui ciascuno fa il proprio piccolo pezzo di puzzle e alla fine il vertice assembla il disegno globale.
Il terzo punto è ancor più chirurgico e selettivo: si tratta di prendere in esame gli ultimi 2-3 mesi prima della gara olimpica, e i giorni della gara stessa. Una fase nella quale dovrebbero entrare in gioco meccanismi completamente diversi da quelli della “preparazione”. Quando sei in campo, non pensi al muscolo che hai sviluppato in tre anni, ma all’avversario che devi stroncare, alla natura che devi domare. E per consentire all’atleta di concentrarsi su questo, c’è un team intero, con ruoli e competenze, al lavoro. Il team azzurro che gioca, entra in campo nei 15 giorni di regate della vela olimpica, è composto dagli atleti, dai tecnici, dagli attrezzisti, dai medici e terapisti, dagli accompagnatori, dai dirigenti e dal presidente federale se c’è e nel caso della vela c’è sempre stato. Questo team gioca compatto e deve avere un’idea di gioco, deve essere proprio come una squadra di calcio. Gli atleti in regata sono gli attaccanti che fanno gol, o il portiere che para un rigore. Per arrivare a quella fase di gioco ci sono i difensori, i centrocampisti, i terzini che spingono sulle fasce, il regista, il mastino, le ali che dribblano e crossano. Più è chiara e condivisa l’idea di gioco, il modulo, più facile sarà arrivare a fare gol e vincere (il podio). Obiettivo che quando sei in campo devi perseguire con ogni mezzo e con tutte le forze, senza alternative o distrazioni.
E DOPO WEYMOUTH, RIO
Come possono essere utilizzate queste riflessioni ai fini della nuova preparazione olimpica verso Rio 2016?
Una “direzione”, per quanto tecnica, della preparazione olimpica nella vela deve ormai essere riqualificata e riconsiderata: questa figura deve possedere qualità di tipo manageriale, comunicative, organizzative, economiche, motivazionali, ben prima che tecniche. Un manager alla guida, dunque, che risponda al Consiglio Federale e che abbia la stima di tutti (anche del CONI). Con uno staff tecnico ridisegnato, magari allargato alle collaborazioni che (giustamente) si vogliono stimolare con gli allenatori di forze armate, club o singoli equipaggi. Diviso organicamente tra singoli e doppi, per una catena di comando che produca risposte più veloci. L’elasticità, ben al di sopra dei dogmatismi che più volte ho criticato, è una qualità sempre utile a una organizzazione complessa.
Non è un discorso “contro” Luca De Pedrini. O contro Paolo Ghione. Intanto se ci fosse (e spero che ci sarà nel prossimo quadriennio) migliore comunicazione sugli immensi valori della nostra vela agonistica, questo produrrebbe anche più qualità e profondità nelle discussioni e nelle valutazioni. La carriera di uno sportivo è influenzata in modo “naturale” dai risultati. Luca e Paolo sono tecnici vincenti e hanno fatto carriera. Non riesco però a togliermi dalla testa questa sensazione: che Luca sia un allenatore strepitoso nel lavoro sugli atleti. Quanto fatto con Z&Z è l’ultima prova provata ma non ne avevamo bisogno. Avremmo semmai bisogno che uno così, un vero “mago”, lavori su progetti e atleti specifici. Una cosa che non si concilia con il lavoro del DT, soprattutto del profilo appena descritto. Entrambe le cose non si possono fare. Quindi separare DT da ogni ruolo tecnico. Luca dovrebbe scegliere: io lo vorrei tutta la vita come tecnico. E come me la pensano almeno una decina di velisti che vorrebbero essere preparati da lui!
Parlo di Luca perchè Paolo, a quanto ne so, è ormai orientato a una scelta di vita diversa, lontano dalla squadra olimpica: sta studiando sodo per fare il Direttore Tecnico Giovanile, un settore che lo appassiona. Ma il discorso vale anche per lui: DT o tecnico, le due cose insieme sono escluse.
Questo sarebbe già un cambiamento vero. Certo implica una ricerca e una scelta per il ruolo di Manager. Qual è il profilo adatto? Quali abilità e conoscenze? Se è bravo a gestire un progetto e il materiale umano, serve che sappia di vela, e di Olimpiadi? Certo, aiuterebbe. Ma tutto non si può avere... Questo esercizio di profiling, alla caccia dell’identikit del DT azzurro ideale, sto provando a farlo da qualche tempo. Il fatto che sia molto difficile mettere a fuoco un volto, in fondo è una conferma della sua importanza.
Guardando la foto ancora più da lontano, la figura si avvicina a quella del segretario generale di una federazione. L’attuale Coordinatore Federale FIV Gianni Storti è uno straordinario manager sportivo con esperienze olimpiche di eccellenza. Servirebbe uno così, per intenderci. Certo Storti oggi ha l’intera FIV sulle spalle e davanti a sè un quadriennio delicato di nuovi equilibri disegnati dallo Statuto, con un piccolo Consiglio, maggior carico sugli uffici federali, un budget tutto da inventare: lui serve come il pane al sedicesimo piano, anche come riferimento del DT che verrà. Però parlare di segretari generali mi ha fatto venire in mente un altro nome: Mauro Tirinnanzi. Uno che da DT di un altro sport ha vinto medaglie olimpiche pesanti, e poi è divenuto SG proprio della vela. Unisce conoscenze olimpiche e veliche a capacità manageriali. Non sarà lui il prossimo manager che sta cercando la vela azzurra per Rio 2016, ma il suo profilo gli somiglia molto...
ciccio (non verificato)
fcolivicchi