blog | Di Fabio Colivicchi
11/09/2012 - 13:14
E dopo Weymouth? - 1
Ben Ainslie intervistato alla Mixed Zone
Un mese dopo le Olimpiadi a Weymouth, a due mesi dall'annual conference elettiva dell'ISAF, e a cinque mesi dall'assemblea elettiva FIV (tutte scadenze strettamente legate tra loro), la vela italiana ha bisogno di riflessioni serie e profonde. Vogliamo cominciare?
E’ passato circa un mese dalla conclusione delle Olimpiadi della vela, e poche ore dalla conclusione delle Paralimpiadi. Può e deve essere il momento per una prima serie di riflessioni. Non si può negare che la spedizione azzurra, a secco di medaglie (non accadeva da Barcellona 1992) abbia lasciato una scia di delusione. Di più: in giro c’è un malcontento diffuso, una voglia di polemica, un vento di critiche spesso con motivazioni e rivendicazioni molto personali. Non ci sto: la riflessione post-olimpica e sulla debacle italiana deve essere seria e profonda. La vela è uno sport olimpico e chi se ne occupa deve (o dovrebbe) avere sempre uno spirito olimpico.
La delusione per la brutta Olimpiade della vela azzurra merita una analisi attenta, meglio se a mente fredda, evitando la polemica fine a se stessa. Perche' criticare e' facile e anche "popolare" in certi momenti. Ma se la critica non contiene un progetto, un'idea, un'alternativa, resta un esercizio inutile. Ecco, un mese dopo Weymouth, a due mesi dall'annual conference elettiva dell'ISAF, e a cinque mesi dall'assemblea elettiva FIV (tutte scadenze strettamente legate tra loro), la polemica sterile non servirebbe a nessuno, men che meno alla vela italiana che invece ha bisogno di riflessioni serie e profonde. Non vi sembra singolare il sostanziale "silenzio" dei vertici FIV sul dopo Olimpiadi, la sistematica minimizzazione della sconfitta, l'evitare i commenti approfonditi? Una polemicuccia banale, anche se colorita, servirebbe solo a questo scopo: insabbiare, perchè non porterebbe a nessuna conclusione. Invece, su Weymouth 2012, e su come ci si e' arrivati, si puo' e si deve fare luce.
Cerco di entrare dentro all’Olimpiade di Londra (Weymouth) 2012 come l’ho vissuta io.
In un giorno qualsiasi a metà del programma olimpico ho colto due “momenti”, due flash, che voglio riportarvi perchè rappresentano una premessa alle nostre analisi. Sono capitati nella stessa giornata, a distanza di pochi minuti, mentre mi trovato nella “mixed zone”, una sorta di recinto dal quale i giornalisti accreditati possono avvicinare gli atleti e gli officials. Il primo momento riguarda l’immenso Ben Ainslie. Il timoniere inglese del Finn è già uno dei più grandi velisti dell’intera storia olimpica, e quel giorno è la vigilia della Medal Race del Finn. Lui gioca in casa, è attesissimo, vincendo l’oro diventerebbe - statistiche alla mano - il migliore di sempre, superando miti e leggende compreso Paul Elvstrom, il danese sulle cui gesta siamo cresciuti noi cinquantenni. Eppure prima della Medal Race Super Ben è secondo: c’è (guarda come si diverte il caso) un danese che lo precede in testa, e un francese e un olandese che inseguono non tanto lontani. Ben è atteso da una ventina di giornalisti alla mixed zone: sono inglesi ma anche danesi, olandesi, francesi, italiani. Arriva ancora con la muta fradicia addosso. E’ tornato a terra dopo l’ultima giornata di qualifiche e sa che farà la Medal Race dovendo recuperare 2 punti a Christensen (DEN). Inizia a parlare, carismatico, magnetico, bianco com’è, mezzo storto (la colonna vertebrale non è il suo forte, e il Finn non aiuta), grandi mani piagate. Io lo traguardo in mezzo all’orda dei media con i taccuini. Lui inizia a rispondere, le parole fluiscono copiose, sicure. Ma non posso fare a meno di concentrarmi sulle sue labbra da velista, grandi, violacee, bagnate di sale e creme, chiazzate di herpes, e a un tratto, vedo. Vedo che per un interminabile minuto quelle labbra tremano. A 48 ore dalla Medal Race che può renderlo inarrivabile, la leggenda vivente della vela olimpica ha le labbra che tremano. Potreste dire, o pensare, che sia per il freddo, per la stanchezza. Io dico, e penso, che è per paura. Perchè anche se ti chiami Ben Ainslie, gli esami non finiscono mai, e l’idea di perdere l’oro in casa è un tormento.
Il secondo momento passa a grandi falcate a pochi metri da questa scena e si chiama Valentin Mankin, ha la divisa azzurra con la scritta Italia e il marchio Prada. Valentino lavora come tecnico al servizio della vela olimpica italiana dal 1993, con diversi ruoli, classi, responsabilità. Valentino è anche un’altra delle leggende viventi della vela olimpica, in virtù delle sue tre medaglie d’oro (Finn 1968, Tempest 1972, Star 1980) e una d’argento (Tempest 1976). Valentino ha compiuto 70 anni a Qingdao, in mare, il giorno in cui Diego Romero ha vinto la medaglia di bronzo nel Laser. Oggi, a 74 anni, questo omone dei sette mari, dai muscoli duri e dalla faccia sovietica che si illumina di sorrisi che ti trafiggono, e capace di frasi che trasudano amore primordiale per la vela, passa a pochi metri dalla mixed zone lanciando un’occhiata fugace a Ben Ainslie, e prosegue. Anzi allunga la falcata e lo vediamo affiancarci e allontanarsi di spalle, in stivaloni e cerata. E’ appena rientrato da una regata al seguito di qualche equipaggio azzurro. Farà due metri a ogni passo, ha sulle spalle due sacchi da vela pesantissimi, e accompagna lo sforzo con le spalle, con il movimento dei ciclisti in salita. Vela, Olimpiade e Mankin: le tre cose si intrecciano indissolubili in quell'incedere, insieme faticoso e mistico. Perchè anche se ti chiami Valentin Mankin le fatiche non finiscono mai, e l’idea di fare altro non ti sfiora nemmeno.
Chissà quante altre labbra hanno tremato di paura e quante altre spalle hanno ciondolato sotto il peso, a Weymouth o prima, e quante lo faranno a Rio o dopo. Ma ho voluto condividere questi due momenti come simboli: della forza che ci vuole per voler superare (prima) e per superare le tremende prove che dividono una persona o un atleta normali da una persona o un atleta olimpico, e tra questi, coloro che attraverso altre prove raggiungono quel luogo senza tempo nella storia chiamato "podio olimpico". Dopo 6 Olimpiadi e altrettanti quadrienni di preparazione, credo che capire e conferire rispetto al significato dei Giochi Olimpici sia la prima cosa da fare prima di parlarne, scriverne, commentarne. L'Olimpiade e' una cosa seria, e' l'agone, e' la vetta cui tendere. E' ragione di vita e di scelte che la riempiranno. Definire l'Olimpiade "un terno al lotto" e' mancare di rispetto alla sua storia. O, peggio, alla propria.
Concludo questo primo post sul dopo-Weymouth spiegandovi come procederemo alle nostre analisi. Guarderemo prima all'evento sportivo di agosto, con la cronaca dei fatti e un esame dei numeri di Londra 2012 confrontati con quelli delle altre olimpiadi della vela. Poi scenderemo nel dettaglio dei risultati classe per classe e dei nostri equipaggi. In questa fase cercheremo di ripercorrere le fasi del quadriennio che hanno portato 11 atleti a rappresentare la vela italiana ai Giochi. Criteri, scelte, uomini, altri fatti. Brevemente, ma cercando di non dimenticare niente. Spero naturalmente che si sviluppi un dibattito costruttivo, con rispetto per l'Olimpiade e chi l'ha fatta, e coraggio nel mettere in campo idee e perche' no, persone. Grazie in anticipo, vedrete che ci divertiremo.
Piccola nota finale: anche sulla stagione elettiva importante che ci attende a livello internazionale e nazionale, accenderemo i riflettori con una serie speciale di post, riuniti sotto nome e logo: ISAF2012+FIV2013.
E’ passato circa un mese dalla conclusione delle Olimpiadi della vela, e poche ore dalla conclusione delle Paralimpiadi. Può e deve essere il momento per una prima serie di riflessioni. Non si può negare che la spedizione azzurra, a secco di medaglie (non accadeva da Barcellona 1992) abbia lasciato una scia di delusione. Di più: in giro c’è un malcontento diffuso, una voglia di polemica, un vento di critiche spesso con motivazioni e rivendicazioni molto personali. Non ci sto: la riflessione post-olimpica e sulla debacle italiana deve essere seria e profonda. La vela è uno sport olimpico e chi se ne occupa deve (o dovrebbe) avere sempre uno spirito olimpico.
La delusione per la brutta Olimpiade della vela azzurra merita una analisi attenta, meglio se a mente fredda, evitando la polemica fine a se stessa. Perche' criticare e' facile e anche "popolare" in certi momenti. Ma se la critica non contiene un progetto, un'idea, un'alternativa, resta un esercizio inutile. Ecco, un mese dopo Weymouth, a due mesi dall'annual conference elettiva dell'ISAF, e a cinque mesi dall'assemblea elettiva FIV (tutte scadenze strettamente legate tra loro), la polemica sterile non servirebbe a nessuno, men che meno alla vela italiana che invece ha bisogno di riflessioni serie e profonde. Non vi sembra singolare il sostanziale "silenzio" dei vertici FIV sul dopo Olimpiadi, la sistematica minimizzazione della sconfitta, l'evitare i commenti approfonditi? Una polemicuccia banale, anche se colorita, servirebbe solo a questo scopo: insabbiare, perchè non porterebbe a nessuna conclusione. Invece, su Weymouth 2012, e su come ci si e' arrivati, si puo' e si deve fare luce.
Cerco di entrare dentro all’Olimpiade di Londra (Weymouth) 2012 come l’ho vissuta io.
In un giorno qualsiasi a metà del programma olimpico ho colto due “momenti”, due flash, che voglio riportarvi perchè rappresentano una premessa alle nostre analisi. Sono capitati nella stessa giornata, a distanza di pochi minuti, mentre mi trovato nella “mixed zone”, una sorta di recinto dal quale i giornalisti accreditati possono avvicinare gli atleti e gli officials. Il primo momento riguarda l’immenso Ben Ainslie. Il timoniere inglese del Finn è già uno dei più grandi velisti dell’intera storia olimpica, e quel giorno è la vigilia della Medal Race del Finn. Lui gioca in casa, è attesissimo, vincendo l’oro diventerebbe - statistiche alla mano - il migliore di sempre, superando miti e leggende compreso Paul Elvstrom, il danese sulle cui gesta siamo cresciuti noi cinquantenni. Eppure prima della Medal Race Super Ben è secondo: c’è (guarda come si diverte il caso) un danese che lo precede in testa, e un francese e un olandese che inseguono non tanto lontani. Ben è atteso da una ventina di giornalisti alla mixed zone: sono inglesi ma anche danesi, olandesi, francesi, italiani. Arriva ancora con la muta fradicia addosso. E’ tornato a terra dopo l’ultima giornata di qualifiche e sa che farà la Medal Race dovendo recuperare 2 punti a Christensen (DEN). Inizia a parlare, carismatico, magnetico, bianco com’è, mezzo storto (la colonna vertebrale non è il suo forte, e il Finn non aiuta), grandi mani piagate. Io lo traguardo in mezzo all’orda dei media con i taccuini. Lui inizia a rispondere, le parole fluiscono copiose, sicure. Ma non posso fare a meno di concentrarmi sulle sue labbra da velista, grandi, violacee, bagnate di sale e creme, chiazzate di herpes, e a un tratto, vedo. Vedo che per un interminabile minuto quelle labbra tremano. A 48 ore dalla Medal Race che può renderlo inarrivabile, la leggenda vivente della vela olimpica ha le labbra che tremano. Potreste dire, o pensare, che sia per il freddo, per la stanchezza. Io dico, e penso, che è per paura. Perchè anche se ti chiami Ben Ainslie, gli esami non finiscono mai, e l’idea di perdere l’oro in casa è un tormento.
Il secondo momento passa a grandi falcate a pochi metri da questa scena e si chiama Valentin Mankin, ha la divisa azzurra con la scritta Italia e il marchio Prada. Valentino lavora come tecnico al servizio della vela olimpica italiana dal 1993, con diversi ruoli, classi, responsabilità. Valentino è anche un’altra delle leggende viventi della vela olimpica, in virtù delle sue tre medaglie d’oro (Finn 1968, Tempest 1972, Star 1980) e una d’argento (Tempest 1976). Valentino ha compiuto 70 anni a Qingdao, in mare, il giorno in cui Diego Romero ha vinto la medaglia di bronzo nel Laser. Oggi, a 74 anni, questo omone dei sette mari, dai muscoli duri e dalla faccia sovietica che si illumina di sorrisi che ti trafiggono, e capace di frasi che trasudano amore primordiale per la vela, passa a pochi metri dalla mixed zone lanciando un’occhiata fugace a Ben Ainslie, e prosegue. Anzi allunga la falcata e lo vediamo affiancarci e allontanarsi di spalle, in stivaloni e cerata. E’ appena rientrato da una regata al seguito di qualche equipaggio azzurro. Farà due metri a ogni passo, ha sulle spalle due sacchi da vela pesantissimi, e accompagna lo sforzo con le spalle, con il movimento dei ciclisti in salita. Vela, Olimpiade e Mankin: le tre cose si intrecciano indissolubili in quell'incedere, insieme faticoso e mistico. Perchè anche se ti chiami Valentin Mankin le fatiche non finiscono mai, e l’idea di fare altro non ti sfiora nemmeno.
Chissà quante altre labbra hanno tremato di paura e quante altre spalle hanno ciondolato sotto il peso, a Weymouth o prima, e quante lo faranno a Rio o dopo. Ma ho voluto condividere questi due momenti come simboli: della forza che ci vuole per voler superare (prima) e per superare le tremende prove che dividono una persona o un atleta normali da una persona o un atleta olimpico, e tra questi, coloro che attraverso altre prove raggiungono quel luogo senza tempo nella storia chiamato "podio olimpico". Dopo 6 Olimpiadi e altrettanti quadrienni di preparazione, credo che capire e conferire rispetto al significato dei Giochi Olimpici sia la prima cosa da fare prima di parlarne, scriverne, commentarne. L'Olimpiade e' una cosa seria, e' l'agone, e' la vetta cui tendere. E' ragione di vita e di scelte che la riempiranno. Definire l'Olimpiade "un terno al lotto" e' mancare di rispetto alla sua storia. O, peggio, alla propria.
Concludo questo primo post sul dopo-Weymouth spiegandovi come procederemo alle nostre analisi. Guarderemo prima all'evento sportivo di agosto, con la cronaca dei fatti e un esame dei numeri di Londra 2012 confrontati con quelli delle altre olimpiadi della vela. Poi scenderemo nel dettaglio dei risultati classe per classe e dei nostri equipaggi. In questa fase cercheremo di ripercorrere le fasi del quadriennio che hanno portato 11 atleti a rappresentare la vela italiana ai Giochi. Criteri, scelte, uomini, altri fatti. Brevemente, ma cercando di non dimenticare niente. Spero naturalmente che si sviluppi un dibattito costruttivo, con rispetto per l'Olimpiade e chi l'ha fatta, e coraggio nel mettere in campo idee e perche' no, persone. Grazie in anticipo, vedrete che ci divertiremo.
Piccola nota finale: anche sulla stagione elettiva importante che ci attende a livello internazionale e nazionale, accenderemo i riflettori con una serie speciale di post, riuniti sotto nome e logo: ISAF2012+FIV2013.
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