blog | Di Lamberto Cesari
04/01/2013 - 20:03
Breve riflessione sulla rivoluzione comunicativa in Coppa America
Spithill assediato dagli spettatori a Venezia
Quando Russel Coutts e Larry Ellison a settembre 2010 hanno presentato la 34esima Coppa America, accanto alla parola rivoluzione ha fatto scalpore il paragone tra la “Generazione Facebook” dei nuovi cat ad ala rigida e la “Generazione Flinstones” dei vecchi monoscafi.
A distanza di due anni da quel momento, il mondo della vela ha cominciato ad abituarsi bordeggi di lasco, giri di boa al limite e possibili scuffie (con conseguenze anche drammatiche, come successo ad Oracle), senza risparmiare ampie critiche e scetticismi.
Quello di cui poco si parla è la rivoluzione comunicativa messa in atto durante questa campagna di America’s Cup: complici i social media, ma soprattutto una politica di comunicazione estremamente aperta a partire proprio dal defender, per la prima volta nella storia della Coppa abbiamo la possibilità di entrare nelle basi dei team e di seguire gli allenamenti, lo sviluppo delle barche, le gioie e i dolori degli equipaggi, arrivando perfino a provare una sorta di pudore per la vicinanza delle telecamere in momenti drammatici come la distruzione dell'AC72 americano. Certamente una rivoluzione non pionieristica se si guarda al lavoro fatto nelle scorse edizioni della Volvo Ocean Race, ma la Coppa rimane comunque la prima vetrina della vela mondiale.
Di questo e di tanto altro ha parlato James Spithill qualche mese fa in una lunga intervista al blog Sailing Anarchy, al quale ha spiegato la loro volontà di allargare l’audience dell’America’s Cup. Per farlo bisogna educare il pubblico a uno sport complicato come quello della vela, e sarebbe impossibile farlo a porte chiuse (come l’America’s Cup era sempre stata).
Sarà per la natura dei catamarani che sono scoperti per natura (nascondere le derive come si faceva per i vecchi bulbi è impossibile), sarà per l’esplosione dei social network come facebook e twitter, o sarà per l’età media dei velisti che si è drasticamente abbassata, ma mai come in questa edizione della Coppa America il pubblico sta avendo modo di seguire la preparazione dei team dall’interno.
Attenzione: i segreti ovviamente sono molti, e rimangono gelosamente custoditi. D’altronde nonostante la ricerca dell’audience e la generazione Facebook, la Coppa rimane sempre la Coppa. Ma questo di questo sforzo comunicativo i vantaggi ricadono indirettamente su tutto lo sport della vela, e di questo va dato merito a Coutts e compagni.
A distanza di due anni da quel momento, il mondo della vela ha cominciato ad abituarsi bordeggi di lasco, giri di boa al limite e possibili scuffie (con conseguenze anche drammatiche, come successo ad Oracle), senza risparmiare ampie critiche e scetticismi.
Quello di cui poco si parla è la rivoluzione comunicativa messa in atto durante questa campagna di America’s Cup: complici i social media, ma soprattutto una politica di comunicazione estremamente aperta a partire proprio dal defender, per la prima volta nella storia della Coppa abbiamo la possibilità di entrare nelle basi dei team e di seguire gli allenamenti, lo sviluppo delle barche, le gioie e i dolori degli equipaggi, arrivando perfino a provare una sorta di pudore per la vicinanza delle telecamere in momenti drammatici come la distruzione dell'AC72 americano. Certamente una rivoluzione non pionieristica se si guarda al lavoro fatto nelle scorse edizioni della Volvo Ocean Race, ma la Coppa rimane comunque la prima vetrina della vela mondiale.
Di questo e di tanto altro ha parlato James Spithill qualche mese fa in una lunga intervista al blog Sailing Anarchy, al quale ha spiegato la loro volontà di allargare l’audience dell’America’s Cup. Per farlo bisogna educare il pubblico a uno sport complicato come quello della vela, e sarebbe impossibile farlo a porte chiuse (come l’America’s Cup era sempre stata).
Sarà per la natura dei catamarani che sono scoperti per natura (nascondere le derive come si faceva per i vecchi bulbi è impossibile), sarà per l’esplosione dei social network come facebook e twitter, o sarà per l’età media dei velisti che si è drasticamente abbassata, ma mai come in questa edizione della Coppa America il pubblico sta avendo modo di seguire la preparazione dei team dall’interno.
Attenzione: i segreti ovviamente sono molti, e rimangono gelosamente custoditi. D’altronde nonostante la ricerca dell’audience e la generazione Facebook, la Coppa rimane sempre la Coppa. Ma questo di questo sforzo comunicativo i vantaggi ricadono indirettamente su tutto lo sport della vela, e di questo va dato merito a Coutts e compagni.
fcolivicchi