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27/08/2010 - 22:17

SULLA WEBTV ESCLUSIVA INTERVISTA VIDEO

Nannini
l'italiano sull'oceano

Ha esordito nel 2006 e ha già in bacheca una Ostar vinta. La storia, le vittorie, le emozioni, le idee di un ragazzo normale, che prenderà parte alla prossima Route du Rhum su un class 40. E quella volta che Soldini gli disse...


Quando il 31 ottobre prenderà il via la Route du Rhum 2010, tutti gli italiani appassionati delle grandi sfide di vela e della “calcolata follia” di chi attraversa un oceano in solitario, si ritroveranno a fare il tifo per lui. Lui è Marco Nannini: un ragazzo  di 32 anni. Piemontese (o meglio, Torinese) di nascita. Europeo per formazione: laurea in Economia e finanza alla York University. Poi, da ormai sei anni, lavora come manager all’Unicredit a Londra. Nonostante questo, non ha rinunciato al suo sogno di bambino. Affrontare gli infiniti spazi a bordo di una barca a vela. In solitario, per giunta.
Il suo “battesimo” con le regate di questo tipo è piuttosto recente. Era il 2006, quando aveva già 28 anni. Ma i risultati l’hanno premiato in poco tempo, fino a farlo salire sul gradino più alto del podio della Ostar 2009 nella propria classe. E poi, tre vittorie su cinque regate nella Round Britain & Ireland Race.
Ora sessanta giorni lo dividono dalla partenza di Saint Malò per la mitica Route du Rhum. Ed è fresca la sua prova di qualificazione: 1000 miglia condotte alla grandissima. Tante “perle” che lo rendono di fatto il velista oceanico italiano del momento. Lo scopriamo con una chiacchierata mentre era nel suo ufficio nella City.
 
Com’è iniziato il tuo rapporto con la vela?
Andavo in barca fin da piccolo. Vacanze estive in famiglia, crociere in Sardegna, Croazia. Poi, da teenager, ho fatto un po’ di corsi di vela in Francia. Hobie Cat, windsurf ma mai a livello competitivo. Il grande salto l’hanno determinato gli studi e poi il lavoro in Inghilterra. Avevo comprato un vecchissimo J24, un po’ “sderenato”. Qui ho conosciuto molti velisti solitari e da lì è nata l’idea della Ostar 2009. Ho venduto il J24 e ho preso un Sigma 36, una barca tradizionale da crociera-regata. All’epoca quello mi potevo permettere. Dal 2006 al 2009 è stato tutto incentrato attorno all’obiettivo Ostar.
 
Indirizzarsi verso la vela oceanica, con i suoi grandi spazi, non è una scelta frequente tra i velisti italiani. La tua è una scelta controcorrente. Dovuta a che cosa?
Molto è derivato dalle persone che ho conosciuto qui e dal modo che qui hanno di andare in barca. Dopo la Francia, l’Inghilterra è uno dei Paesi con la maggiore tradizione della vela d’altura. Si respira un grande amore per questo tipo di vela. D’estate non è che si può uscire in barca e gettare l’ancora per godersi in bel sole del Mediterraneo.
Il fatto di andare a navigare in solitario, poi, è dovuto a predisposizione caratteriale. L’idea mi ha sempre affascinato.
 
Perché in Italia ci sono pochi navigatori oceanici? È solo una questione di meteo?
Conta il fatto di essere in Mediterraneo, dove non si ha mai la sensazione dello spazio aperto che ti dà l’oceano. E poi conta tutto ciò che accade nel mondo della vela: finisci per conoscere e confrontarti con persone che hanno fatto lo stesso percorso. Qui in Inghilterra tu parti e hai già l’Oceano davanti. Ti viene abbastanza normale dire: “Ok, proviamo ad attraversarlo…”.
 
Tra l’altro, i pochi velisti oceanici nostrani non hanno tendenzialmente mai brillato. S’impegnano molto ma le vittorie sono poche rispetto ai loro sforzi. Il tuo curriculum è ancora giovane. E però in bacheca hai già una Ostar vinta nella tua classe e tre primi posti sulle cinque tappe della Round Britain & Ireland Race. Si può fare una classifica delle doti necessarie per vincere nelle regate oceaniche?
Credo sia più di tutto una questione di preparazione. Anche chi segue la vela spesso non si rende conto di quanto poco distacco ci sia tra le barche. Sulle regate lunghe sono talmente tanti i fattori che alla fine l’elemento davvero importante è l’esperienza. È raro arrivare da giovane alle prime regate e fare subito risultato. EllenMacArthur, lo stesso Soldini. Ma i grandi velisti hanno accumulato esperienza e costruiscono una carriera che porta risultati.
Poi, per fare vela d’altura di doti ce ne vogliono 150. Io non mi considero il migliore dei velisti dal punto di vista tecnico. Forse compenso con altre qualità: forse con la gestione della regata dall’inizio alla fine, con la preoccupazione di non fare danni, di fare attenzione alla sicurezza.
 
Di queste 150, quali metti in testa alla classifica?
Saper gestire il sonno, ricordarsi di mangiare, di bere acqua, di non prendersi rischi inutili, di saper quando mettere e togliere le vele, di saper dosare le energie per riuscire a mantenere la barca sempre con medie alte. E poi la strategia: saper leggere il meteo. In questo senso, una grande differenza della prossima Route du Rhum rispetto a quella del 2006 è che non sarà più concesso avere il routier a terra, che dava la rotta agli skipper. Per quel che mi riguarda, è un fatto positivo: forse non sono un bravo timoniere ma non sono l’ultimo dei navigatori.
 
Che cosa è necessario per ripercorrere le orme di Soldini?
Il percorso di Giovanni Soldini è completamente diverso dal mio. Lui è un grandissimo velista, che ha iniziato ad andare in barca da giovanissimo all’epoca dei progetti Moana con Malingri. Era poco più che ventenne quando ha fatto la prima regata in solitario con un 50 piedi. Una straordinaria opportunità che lui ha sfruttato al meglio dimostrando il suo potenziale. E negli anni successivi ha mostrato di saper competere ad altissimo livello nella vela d’altura mondiale. E anche negli ultimi anni con il Class 40 ha fatto scintille.
 
Tu invece?
Il mio percorso è molto diverso. La prima regata in solitario l’ho fatta nel 2006, quasi trentenne. Il mio obiettivo è di fare le stesse sue cose. Ma le farò inevitabilmente in modo diverso. Saltando alcune tappe. Cercando di imparare davvero in fretta e sapendo di non avere tutti quegli anni di regate sulle spalle.
Ti racconto un aneddoto: ho incontrato Soldini alla partenza della Transat 2008. Gli confidai del progetto di fare la Ostar l’anno successivo. Mi chiese con quale barca avrei gareggiato. Gli ho indicato con il dito una barca tradizionale un po' datata, che era nel marina. Lui mi guardò, dicendomi solo: “Ma chi te lo fa fare?”. Ma era quello che potevo permettermi. Ho seguito il mio sogno di attraversare l’oceano indipendentemente dai mezzi. Credo sia il percorso da fare: accumulare miglia, imparare a dormire. Sono esperienze che devi fare indipendentemente dalla lunghezza della barca che hai a disposizione.
 
La tua compagna di viaggio è un Classe 40, lo stesso tipo di barca usato da Soldini nella sua stagione supervittoriosa. Come mai questa scelta?
La Class 40 è sicuramente la più emozionante del momento. È esordita nella Route del 2006 e sta facendo un progresso strepitoso. Ci sono meno di 100 costruite nel mondo e di queste, 41 sono iscritte alla Route du Rhum: significa che una su due sarà sulla linea di partenza. L’ho scelta perché è la più performante tra quelle che potessi permettermi. Non avrei mai avuto i soldi per un Open 60.
La classe Figaro anche è interessante. Ma mi piaceva l’idea di affrontare questa prova col Class 40 per prepararmi alla regata del Giro del mondo (la Global Ocean Race, ndr), alla quale intendo partecipare nel 2011.
 
Hai preso in considerazione anche i Mini?
Non avevo voglia di affrontare una Mini Transat. Ho fatto sempre regate che permettessero l’accesso alle informazioni meteo. E poi a me piace condividere la vela oceanica con gli altri. Con blog, social network. Quindi è una classe che sicuramente forma i velisti ma non mi si addice al 100%.
 
Parlavi di blog. A proposito di doti del velista oceanico: quanto conta saper comunicare con pubblico e media?
È uno degli aspetti essenziali nella costruzione di una campagna. Oggi essere il velista più veloce del mondo non è l’elemento chiave per ritrovarsi a fare una regata. Alla fine, quello che porta il ritorno è la storia, l’esperienza, la costruzione dei racconti. Tutto quello che può appassionare il pubblico che segue la vela.
 
Una curiosità: tu parteciperai alla Route du Rhum su una barca che si chiamerà Unicredit. Che è, poi, il gruppo del quale sei dipendente quando svesti i panni del velista oceanico. È stato importante essere all’interno dell’istituto bancario per ottenere la sponsorizzazione?
Senz'altro. La sponsorizzazione da parte di Unicredit nasce come desiderio di appoggiare questo mio sogno e condividere questa avventura con un membro del gruppo. Avevo concluso la Ostar l'anno scorso vincendo la mia classe. Da lì sono nate le discussioni che hanno portato al contributo per la mia regata. Credo sia una immagine molto bella.
 
Nella vela oceanica ci sono novità tecniche che poi vengono mutuate nelle barche da crociera?
Avviene esattamente la stessa cosa che lega le auto di Formula 1 a quelle tradizionali. Noi velisti solitari siamo costretti a fare delle scelte mirate a semplificare le manovre. E quando una manovra è più semplice, diventa appetibile anche per il crocierista.
 
Parliamo della tua prova di qualificazione alla Route du Rhum. Che valutazioni puoi dare dopo averla completata?
È la mia prima stagione su un Class 40. La barca precedente aveva prestazioni molto diverse. Sono in una curva d’apprendimento alquanto ripida. E con il Class 40 a Giugno, nella Round Britain & Ireland, eravamo in doppio. E la gestione in solitaria ha molti aspetti diversi.
La priorità era testare tutto il lavoro e la gestione della barca, sotto piloti automatici. Tutto è andato benissimo. Non ho avuto né danni né grossi problemi.
 
Hai avuto momenti difficili durante la navigazione?
Nulla che non rientri nella ordinaria amministrazione. Solo piccoli problemi che capitano sempre: sfuggite le scotte, la vela in bando. Gli aspetti più difficili sono stati gestire il sonno e il traffico che ho trovato nella Manica. Sono dovuto partire a Portsmouth, che non è la scelta ottimale. Avendo avuto più tempo, avrei portato la barca in Cornovaglia per evitare le altre barche del Canale.
 
Anche i mari dei solitari sono affollati: tra l’altro, mancava poco a una collisione con i concorrenti della Solitaire du Figaro impegnata nella quarta tappa…
Li ho incontrati nel mare d’Irlanda, vicino alle Scilly Islands. Tra l’altro in quel momento stavo facendo una dormitina. Sono stato svegliato di soprassalto dal sistema d’allarme: ero molto vicino a una barca. Pensavo a un grosso mercantile. Sono saltato in pozzetto e ho visto la flotta dei solitari.
 
Da quello che dici, mi sembra di capire che allenare il corpo al sonno (o meglio alla mancanza di sonno) è uno degli aspetti cruciali. Ti stai preparando in qualche modo particolare?
Non ci sono modi per prepararsi in anticipo. Alla Ostar il discorso-sonno era la mia principale preoccupazione perché è l’aspetto che più si allontana alla nostra abitudine quotidiana. Poi sei lì, parti e ti accorgi che il corpo si abitua. È un fatto fisiologico: un esperto di un centro di ricerche sui disturbi del sonno mi spiegava che un ciclo completo di sonno dura un’ora e mezza. Ma la fase che apporta maggiore beneficio e riposo è la prima e dura circa venti minuti.
In questa qualifica ho fatto delle prove. Durante la Ostar dormivo anche un’ora-un’ora e mezza. Ora non ho mai dormito più di 25 minuti. Nella Manica ne dormivo dieci. Poi quindici-venti.
 
A questo punto, la mente è proiettata al 31 ottobre, il giorno della partenza da Saint Malò. Ti senti di fare una previsione?
Mancano una sessantina di giorni dal via. Cercherò di allenarmi il più possibile, tenendo conto che avrò solo i weekend per farlo. Al massimo potrò ritagliare qualche giorno aggiuntivo. Ma io lavoro a tempo pieno… Vorrei far arrivare un coach francese per “smussare” gli spigoli ed eliminare il timore di gestire una barca così potente.
 
Qual è il tuo programma per i sessanta giorni che ti separano dal “D-Day”?
La barca è a posto. Non le occorrono grossi lavori. Qualche cima da cambiare e poco altro. Cercherò di accumulare ore in acqua a fare manovre e a creare gli automatismi. In una regata impegnativa come la Route du Rhum, la differenza la farà riuscire ad arrivare dall’altra parte dell’Atlantico senza aver fatto danni. Tutti incontreranno problemi. Riuscire ad averne meno e di minore entità, farà guadagnare tempo prezioso.
 
Gli avversari che temi di più?
Tutti. Nessuno escluso. Io non sono uno dei mostri francesi della vela d’altura. Alla Route du Rhum non sono il favorito. Farò del mio meglio per ottenere buoni risultati ma devo avere rispetto di tutti gli altri in gara.
 
Immaginati di stare arrivando a Point-a-Pitre: ti riterrai soddisfatto arrivando in quale posizione della classifica?
Il mio obiettivo è stare a metà gruppo visto che questa è la mia prima stagione in Class 40. Non credo di poter lottare per il podio, ma arrivare dall’altra parte senza danni potrà però far scalare posizioni in classifica.
 
La famiglia come vive queste tue avventure? Sostegno o apprensione?
Sono abituati a fidarsi delle mie capacità. L’apprensione di una madre o un padre quando hanno un figlio che attraversa un oceano da solo è inevitabile. Ma allo stesso tempo sostengono il mio desiderio di farlo. Ne capiscono le motivazioni e sono felici di vedermi realizzare i miei sogni.
 

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