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20/11/2020 - 12:44

Verso la XXXVI America's Cup, il defender ha varato l'ottavo AC75

L'ultima è Te Rehutai, 'essenza dell'oceano'

SORPRESA KIWI, ARRIVA UNA BARCA ESTREMA - Il varo della barca neozelandese per la difesa della Coppa prende tutti in contropiede. Ci si aspettava una revisione soft dopo le certezze dell'ottima Te Aihe, invece arriva uno scafo tutto nuovo, con un design esasperato, alcune clamorose somiglianze con la prima barca degli inglesi, e un nome filosofico sull'energia e la determinazione. Segnali di eccellenza o di nervosismo? "Barca pensata per marzo 2021" dicono alla base. Report varo e primo commento - VLOG IN ARRIVO

 

di Fabio Colivicchi

E così, a circa 100 giorni dall'inizio del Match (così viene chiamata in gergo la regata che vale l'America's Cup, tra defender e sfidante finale) del 6 marzo 2021, lo squadrone di Emirates Team New Zealand ha varato l'ottavo e ultimo degli AC75 (la storia dirà se poi sarà davvero l'ultimo: con quali barche si correrà la prossima Coppa lo deciderà il vincitore): Te Rehutai. Un varo che ha sorpreso, per tante ragioni. Andiamo con ordine.

Dal "Delfino" (Te Aihe) al Falco (Te Kahu, il più piccolo muletto), stavolta la liturgia dei nomi Maori è andata a pescare un significato lungo e contorto, più che un nome, un atteggiamento, quasi una filosofia. Alla lettera, spiegano i kiwi, sigifica: "Dove l'essenza dell'oceano rinvigorisce ed energizza la nostra forza e determinazione". Neanche Lina Wertmuller avrebbe osato tanto per il nome di una barca a vela. Ma si sa: i tempi sono quello che sono. Il pianeta è in guerra con la pandemia, e il detentore dell'America's Cup è in guerra contro sfide aggressive, ricche, talentuose, molto decise, nonchè con un Arbitration Panel che fin qui è stato (dal loro punto di vista) anche troppo indipendente. Quindi, devono aver pensato intorno a un tavolo il Generale Grant e il suo stato maggiore, facciamo capire che noi siamo forti, energici, determinati. E il vocabolario Maori è arrivato in soccorso. Nome brutto (anche la madrina del varo, Lady Margaret Tindall, la filantropa moglie del fondatore dei grandi magazzini The Warehouse) lo pronuncia con sospetto, ma ombrosamente, quasi minacciosamente efficace. Non ci spezzerete facilmente. Non a caso hanno spiegato che il team riunito lo ha scelto tra varie opzioni di nomi.

Mettiamoci poi che il varo è andato in onda come in un background di tempi andati: tanta gente (900 invitati) ammassata, assembratissima, felice, senza l'ombra di mascherine, Covid-chi? Consueta processione del guerriero di turno che danza sotto la prua della barca, e la benedizione del Ngāti Whātua Ōrākei, e il più è fatto. Col corollario che solo 14 ore dopo la barca era già in acqua, a volare a vela, senza necessità di test strutturali e prove di foiling, tutte cose che il defender lascia fare a quei dilettanti di sfidanti.

In tutto questo, la vera sorpresa è proprio lei, la barca. "Radicale evoluzione" della precedente, è l'auto-definizione del team. Sorprendente estremizzazione, aggiungeremmo noi a guardarla bene. Tanti pensavano che questa barca sarebbe stata un dolce, evolutivo e migliorativo passo avanti rispetto alla precedente, che già aveva mostrato punti di forza e soprattutto certezze del design team. E invece, ecco qui: alla faccia dell'essenza dell'oceano che rinvigorisce, lo scafo che dovrà difendere la Coppa è il più innovativo di tutti, il più lucidamente visionario, come se un software di disegno tridimensionale avesse sviluppato, portandole ai massimi confini, le linee ipotizzate o viste su questa ancora largamente misteriosa America's Cup Class.

Non è solo questione di estetica, e a breve le analisi saranno anche più approfondite. Ma a occhio nudo due cose balzano alla vista: le fiancate, specialmente verso poppa, sono inusitatamente dritte e rimandano molto da vicino alla prima Britannia (certo non indimenticabile per prestazioni). Anche la tendenza verso prua delle stesse fiancate ad abbassarsi molto ricorda la barca 1 inglese. Come del resto il fondo piatto e largo dello skeg (come ormai tutti chiamano la lunga chiglia pronunciata sotto lo scafo). Tre evoluzioni che avvicinano ETNZ a Ineos. Sorprendente no? Proprio quando Ineos, invece, dalla prima alla seconda barca si era avvicinato ai kiwi. Sembra un minuetto, eppure chissà cosa c'è dietro e chi ha ragione.

La meraviglia si estende alle linee dello scafo, verniciatura lucidissima rifiniture pazzesche e soliti giochi di colori rosso, grigio, bianco. La vista da prua sconvolge: sembra un trimarano, per quanto profonda è la svasatura del mascone, arrotondata fino a raccordarsi con le murate, che restano altissime rispetto alla chiglia-skeg. Sparito l'accenno di bumps che c'era in Te Aihe. Se la barca fosse a dislocamento, quindi immersa, avrebbe quello che si chiama bordo libero molto basso. Ma piaccia o meno questa barca vola, e dunque quello che stiamo descrivendo è il frutto di studi aerei più che navali, si naviga nell'aria più che sull'acqua.

Rischiano di passare inosservati certi particolari che pure sono evidenti (di quelli nascosti ci sarà tempo fino a fine Coppa per scoprire, discutere, ipotizzare), a cominciare dal rigonfiamento sui bracci che sostengono le alette con i foil, assente sulle altre barche. A cosa servono? E' un punto di giunzione delicato e complesso strutturalmente, nel quale passano i comandi per muovere i flap dei foil.

Grant Dalton ieri ha detto "Un varo è sempre speciale perchè ci da l'occasione di essere orgogliosi per quanto raggiunto. Ma dura poco, perchè da adesso in poi abbiamo un sacco di lavoro da fare, nei prossimi quattro mesi, per vincere di nuovo la Coppa America."

Dan Bernasconi, Head of Design, ha detto: “Cercavamo il perfetto bilanciamento tra prestazioni idrodinamiche e aerodinamiche, c'è una grande differenza tra un AC75 ottimizzato soltanto per accelerare e decollare, e un altro pensato per la maggiore stabilità del volo. Questo si traduce nelle differenti scelte che abbiamo visto nelle barche dei nostri avversari. Te Rehutai è disegnata per eccellere in entrambe le situazioni, in acqua e nell'aria, e siamo convinti che sarà competitiva nel range di condizioni che potremmo vedere nell'America's Cup."

Bernasconi introduce il concetto delle condizioni meteo, che nelle prossime settimane saranno  di importanza crescente: già oggi si osservano differenze tra le barche proprio nelle diverse situazioni di vento e mare. Così il designer degli AC75 conclude: "Abbiamo un mese alle prime regate, sarà difficile essere al massimo per quella data, ma noi guardiamo avanti alla Coppa di marzo, sarà quello il momento in cui Te Rehutai dovrà essere più veloce possibile."

La morale della favola (se ce n'è una al punto in cui siamo), è che i neozelandesi hanno presentato al mondo la loro visione dell'AC75 più veloce possibile, varando una barca che si puo' definire come la più estrema tra le quattro Barche 2 in acqua. Considerando che Te Aihe, la loro prima barca, insieme a Luna Rossa era stata considerata la più equilibrata e senza esasperazioni (a differenza dei primi scafi di americani e inglesi), anche a causa della migliore conoscenza del regolamento di classe (l'hanno scritto insieme kiwi e italiani), ci si aspettava che - ancora come Luna Rossa - l'ultima evoluzione fosse dolce e progressiva. Invece arriva questa bomba di estremizzazioni che abbiamo iniziato a descrivere. Cosa puo' significare? E' un segnale di forza o di debolezza? Chiudendo il cerchio dei secondi vari, finora avevamo riassunto: c'è chi ha cambiato parecchio (American Magic, da Defiant a Patriot), chi tutto (Ineos da Britannia 1 a Britannia 2), chi poco (Luna Rossa). I kiwi cambiano moltissimo. Li potremmo inserire tra statunitensi e britannici. Chi ha avuto ragione? Alle prossime puntate...

Sezione ANSA: 
Saily - America's Cup

Commenti

Nicolò Reggio (non verificato)

Ad oggi non sono emerse reali ed efficaci applicazioni dei foils nel campo delle imbarcazioni da diporto. Dubito che potremo vederle, comunque, con i dislocamenti attuali e con le comuni esigenze del diportista nautico. Sarebbe interessante sapere quale sia il dislocamento degli AC75. Provi a chiedere?