Storia | Regata > International
08/01/2016 - 15:25
Vela Mondiale, passaggio decisivo
Vela Mondiale, passaggio decisivo
Il D-Day della World Sailing
Executive straordinario all’aeroporto di Londra, con decisioni sul caso Malesia-Israele, e annuncio del nuovo CEO (è Andy Hunt, ex di Londra 2012)
Ecco perché questo 8 gennaio 2016 peserà parecchio sul futuro della vela
di Fabio Colivicchi
C’è fermento intorno a World Sailing. Che (purtroppo) non indica un fervore positivo di attenzioni verso il mondo velico, ma è il seguito (con contorno di polemiche e prese di posizione più o meno equilibrate) della triste vicenda del Mondiale Youth in Malesia senza Israele. Oggi è il giorno dell’Executive straordinario, il “governo” della vela mondiale è riunito da questa mattina alle 9,30 in una saletta dell’aeroporto internazionale di Heatrow a Londra. Intorno al tavolo ci sono il presidente Carlo Croce (ITA), il presidente onorario Re Costantino di Grecia, e 7 vicepresidenti: George Andreadis (GRE), Chris Atkins (GBR), Adrienne Greenwood (NZL), Nazli Imre (TUR), Gary Jobson (USA), Quanthai Li (CHN), W. Scott Perry (URU). Non c’è il CEO Peter Sowrey, il supermanager entrato a giugno e uscito dopo 6 mesi. E proprio questo Executive d’urgenza provvederà anche ad annunciare il nuovo “Amministratore Delegato” di World Sailing. Si sa già che è un inglese e a quanto pare ha avuto un ruolo primario nel comitato organizzatore delle Olimpiadi di Londra 2012.
Dal meeting sarà assente (o presente a intermittenza) Gary Jobson, mitico velista, poi anchorman di Coppa America, quindi vincitore di una dura battaglia contro il cancro, poi presidente della US Sailing la federvela statunitense, e oggi vice presidente attivo soprattutto sui temi dei media e marketing. Jobson infatti nello stesso giorno sarà impegnato al salone nautico di Londra in una “audizione” promossa da World Sailing con i media, insieme all’australiano Malcolm Page, direttore Marketing e Media di WS. Interessanti i temi dell’audizione: 1) The Road to Rio (con tutte le ultime su date, campi di regata e inquinamento); 2) The Emerging Nations Program (una delle preoccupazioni e attività prevalenti negli ultimi anni per aumentare il numero di nazioni aderenti, cercandole soprattutto tra i paesi in via di sviluppo, il cui ingresso nella vela va aiutato finanziariamente e materialmente, un tema decisivo per lo status olimpico della vela); 3) Il lancio del nuovo sito web di WS; 4) La presentazione di World Sailing TV (una novità importante che la federvela ha affidato al giornalista inglese Matthew Sehanan, ex direttore di Yachting World, collega noto e sempre presente, che lavorerà insieme al team della produzione di Sunset+Vine); 5) Nuove iniziative di produzione interne all’ex ISAF. Dunque come si vede temi molto caldi e importanti, a dimostrare che – al di là delle imperdonabili gaffe, errori politici o carenze di leadership dei vertici – c’è un corpo attivo della federvela mondiale che si muove con idee, azioni, progetti.
Torniamo al meeting lampo all’aeroporto: il suo vero nodo non è annunciare il nuovo CEO (argomento pure delicato e importante, e che sarà comunque ufficializzato, secondo liturgia dell’ente, solo dopo la presentazione del manager agli uffici di Southampton). Il punto dolente è il caso Youth in Malesia, con il suo contorno di veleni inestricabili. Sono attese decisioni importanti, in grado di cambiare l’aria che tira intorno all’ex ISAF, sotto il tiro incrociato di mezzo mondo per la condotta quantomeno superficiale della vicenda. L’Executive potrebbe varare delle sanzioni ufficiali nei confronti della Federazione velica della Malesia (si va dalla esclusione per anni dall’assegnazione di eventi internazionali, a provvedimenti disciplinari personali nei confronti dei responsabili), e in aggiunta è chiamato anche a stabilire una nuova policy, che fornisca la garanzia assoluta, granitica, di non trovarsi più in situazioni del genere, quindi tenendo lo Sport al riparo dalle tensioni geopolitiche e diplomatiche. Non è facile, perché gli enti sportivi hanno strumenti giuridici con forza relativa rispetto agli Stati sovrani, ma le strade ci sono. Il problema è però politico, e riguarda sia l’Executive che l’onda di polemiche circostante. Vediamo perché.
Passato il Mondiale Youth e le reazioni emotive alla mancanza di atleti, bandiere e inno israeliani, svanita ogni possibilità di azione concreta sul posto, adesso sul piatto è rimasta solo l’eco di quanto accaduto. E dalle critiche sacrosante, WS ha partorito l’indagine interna per ricostruire i fatti intorno allo Youth della discordia. Una indagine – di per sé – è strumento pericoloso, che presuppone il dubbio o persino la certezza di comportamenti inadeguati o peggio dolosi e comunque contrari alle regole costitutive dell’Ente. Se l’indagine dovesse far emergere queste responsabilità, le conseguenze potrebbero essere pesanti: dimissioni o decadenza dalle cariche, sanzioni disciplinari, di uno o più membri dell’Executive, con conseguente delegittimazione del governo stesso di WS. E’ una conclusione alla quale aspira chi sta usando il caso per spingere la cordata Anti-Croce per le elezioni dell’autunno prossimo.
Finora i fatti accertati, in estrema sintesi, sono questi. Nel 2011 (presidente ISAF lo svedese Goran Petersson) venne assegnato lo Youth 2015 alla Malesia. Fu sottolineata la necessità di garantie la partecipazione a tutte le nazioni, con un intervento del delegato italiano Walter Cavallucci, al quale peraltro il Council voto contro, ma supportato poi da un intervento di Petersson che condizionò l’assegnazione del Mondiale alla garanzia di pari condizioni per tutti i paesi. La Malesia promise quelle garanzie. Poi Chris Atkins (all’epoca presidente dell’Events Committee e oggi vicepresidente) si recò in Malesia per la visita di controllo sull’organizzazione. In quella sede la condizione di parità tra le nazioni non fu riproposta in termini stringenti, ferma restando l’apparente disponibilità dei malesiani, che hanno continuato a promettere “accetteremo Israele”. Ma questo è stato all’origine del guaio: perché una settimana prima dell’evento la federazione malese ha inviato la famigerata lettera a Israele ponendo le condizioni inaccettabili (niente bandiere, niente insegne, niente inno nazionale), e aggiungendo la problematica dei visti. L’ISAF-WS si dichiara presa alla sprovvista, prova goffe mediazioni che peggiorano le cose, non è in grado di assumere decisioni gravi (bloccare il Mondiale con le squadre di tutto il mondo già arrivate a Langkawi), ma neanche di prendere almeno posizioni formali nette, di condanna. Per esempio dire qualcosa alla cerimonia inaugurale (alla quale invece parla Atkins e fa finta di niente), o vietare – per ritorsione – le bandiere a tutte le nazioni presenti.
A World Sailing si imputa dunque un mix di superficialità e mollezza, che agli occhi del mondo ha prodotto un risultato indubbiamente difficile da giustificare. Il tiro al bersaglio ai dirigenti WS è iniziato: Chris Atkins è sicuramente il più mirato. Ma lo stesso Croce lo seguirebbe in un eventuale naufragio (molto poteva cambiare se alla cerimonia fosse intervenuto lui come presidente, anziché Atkins).
Ecco spiegato quindi perché l’Executive d’emergenza di Heatrow è un fondamentale passaggio per l’attuale dirigenza della federvela internazionale. E per quella futura. Alla finestra infatti c’è il solito Eric Tulla, il portoricano grande rivale di Croce alla sua elezione tre anni fa, e nuovamente in pista con una cordata che fa leva in gran parte sul mondo arabo (sarebbe foraggiata dal Qatar, che di questi tempi non suona bene). Sembrerebbe per il momento in stand-by un’altra cordata dall’America del Nord, anche se il presidente di US Sailing Bruce Burton è tra i più attivi nelle iniziative di denuncia dopo-Youth. Da valutare anche la posizione dell’urugiagio Scott Perry, vicepresidente di peso, amico di Croce e suo potenziale successore nel 2020 in caso di secondo mandato dell’italiano. Se le cose dovessero mettersi male (c’è persino chi non esclude un ritiro dello stesso Croce con rinuncia a ricandidarsi), Perry scenderebbe in campo subito per contrastare la cordata “araba” di Tulla (che, non va dimenticato, mantiere tra i suoi spin-doctors, l’italiano Alberto Prederi, in lite feroce e continuativa col fratello Marco attualmente alla guida dell’Eurosaf…).
Come si vede c’è parecchio dietro alla decisione dell’Executive del’8 gennaio (che chissà quando conosceremo ufficialmente). Ma cosa si può almeno auspicare, con ragionevolezza e senza terremoti dal difficile esito?
La filiera dirigenziale e decisionale di ISAF-WS ha fallito: è arrivata molle e in ritardo sul caso malese, peraltro annunciato già in altri paesi. Il sistema di controllo e di decisione si è dimostrato fragile. Gli strumenti giuridici poco vincolanti. La leadership debole e attendista (il che può essere accettabile in casi minori, ma imperdonabile nella vicenda specifica). Tuttavia WS è l’Ente di riferimento della vela mondiale, tra pochi mesi ci saranno le Olimpiadi a Rio, con la Vela nelle acque della città olimpica, e come visto ci sono anche novità mediatiche e di marketing in fase di nascita. Buttare il bambino con l’acqua sporca sarebbe utile? E a chi?
L’Executive WS può e deve invece farsi sentire pesantemente – e emettere comunicazioni chiare e rapide – in congiunzione con il CIO e i massimi enti sportivi. Deve emettere sanzioni pesanti ed esemplari all’autorità nazionale malese colpevole del voltafaccia. Anni di non assegnazioni di eventi grandi e piccoli. Sanzioni disciplinari anche ai singoli se serve. Una o due teste tra Executive, Events e struttura di controllo possono anche rotolare (qui ci vuole però finalmente una mano politica forte e autorevole, che fin qui s’è vista mancante). E soprattutto la cosa più importante: il futuro. Personalmente questa è la risposta più importante che vorrei sentire da Heatrow. Nuove iniziative e norme chiare per sanzionare altri casi del genere, da qualsiasi parte vengano (pensate che il futuro ci riserva il Mondiale Youth nel 2016 in Oman e nel 2017 in Israele), garantendo l’effettiva autonomia dello Sport dal resto.
Ecco perché questo 8 gennaio 2016 peserà parecchio sul futuro della vela
di Fabio Colivicchi
C’è fermento intorno a World Sailing. Che (purtroppo) non indica un fervore positivo di attenzioni verso il mondo velico, ma è il seguito (con contorno di polemiche e prese di posizione più o meno equilibrate) della triste vicenda del Mondiale Youth in Malesia senza Israele. Oggi è il giorno dell’Executive straordinario, il “governo” della vela mondiale è riunito da questa mattina alle 9,30 in una saletta dell’aeroporto internazionale di Heatrow a Londra. Intorno al tavolo ci sono il presidente Carlo Croce (ITA), il presidente onorario Re Costantino di Grecia, e 7 vicepresidenti: George Andreadis (GRE), Chris Atkins (GBR), Adrienne Greenwood (NZL), Nazli Imre (TUR), Gary Jobson (USA), Quanthai Li (CHN), W. Scott Perry (URU). Non c’è il CEO Peter Sowrey, il supermanager entrato a giugno e uscito dopo 6 mesi. E proprio questo Executive d’urgenza provvederà anche ad annunciare il nuovo “Amministratore Delegato” di World Sailing. Si sa già che è un inglese e a quanto pare ha avuto un ruolo primario nel comitato organizzatore delle Olimpiadi di Londra 2012.
Dal meeting sarà assente (o presente a intermittenza) Gary Jobson, mitico velista, poi anchorman di Coppa America, quindi vincitore di una dura battaglia contro il cancro, poi presidente della US Sailing la federvela statunitense, e oggi vice presidente attivo soprattutto sui temi dei media e marketing. Jobson infatti nello stesso giorno sarà impegnato al salone nautico di Londra in una “audizione” promossa da World Sailing con i media, insieme all’australiano Malcolm Page, direttore Marketing e Media di WS. Interessanti i temi dell’audizione: 1) The Road to Rio (con tutte le ultime su date, campi di regata e inquinamento); 2) The Emerging Nations Program (una delle preoccupazioni e attività prevalenti negli ultimi anni per aumentare il numero di nazioni aderenti, cercandole soprattutto tra i paesi in via di sviluppo, il cui ingresso nella vela va aiutato finanziariamente e materialmente, un tema decisivo per lo status olimpico della vela); 3) Il lancio del nuovo sito web di WS; 4) La presentazione di World Sailing TV (una novità importante che la federvela ha affidato al giornalista inglese Matthew Sehanan, ex direttore di Yachting World, collega noto e sempre presente, che lavorerà insieme al team della produzione di Sunset+Vine); 5) Nuove iniziative di produzione interne all’ex ISAF. Dunque come si vede temi molto caldi e importanti, a dimostrare che – al di là delle imperdonabili gaffe, errori politici o carenze di leadership dei vertici – c’è un corpo attivo della federvela mondiale che si muove con idee, azioni, progetti.
Torniamo al meeting lampo all’aeroporto: il suo vero nodo non è annunciare il nuovo CEO (argomento pure delicato e importante, e che sarà comunque ufficializzato, secondo liturgia dell’ente, solo dopo la presentazione del manager agli uffici di Southampton). Il punto dolente è il caso Youth in Malesia, con il suo contorno di veleni inestricabili. Sono attese decisioni importanti, in grado di cambiare l’aria che tira intorno all’ex ISAF, sotto il tiro incrociato di mezzo mondo per la condotta quantomeno superficiale della vicenda. L’Executive potrebbe varare delle sanzioni ufficiali nei confronti della Federazione velica della Malesia (si va dalla esclusione per anni dall’assegnazione di eventi internazionali, a provvedimenti disciplinari personali nei confronti dei responsabili), e in aggiunta è chiamato anche a stabilire una nuova policy, che fornisca la garanzia assoluta, granitica, di non trovarsi più in situazioni del genere, quindi tenendo lo Sport al riparo dalle tensioni geopolitiche e diplomatiche. Non è facile, perché gli enti sportivi hanno strumenti giuridici con forza relativa rispetto agli Stati sovrani, ma le strade ci sono. Il problema è però politico, e riguarda sia l’Executive che l’onda di polemiche circostante. Vediamo perché.
Passato il Mondiale Youth e le reazioni emotive alla mancanza di atleti, bandiere e inno israeliani, svanita ogni possibilità di azione concreta sul posto, adesso sul piatto è rimasta solo l’eco di quanto accaduto. E dalle critiche sacrosante, WS ha partorito l’indagine interna per ricostruire i fatti intorno allo Youth della discordia. Una indagine – di per sé – è strumento pericoloso, che presuppone il dubbio o persino la certezza di comportamenti inadeguati o peggio dolosi e comunque contrari alle regole costitutive dell’Ente. Se l’indagine dovesse far emergere queste responsabilità, le conseguenze potrebbero essere pesanti: dimissioni o decadenza dalle cariche, sanzioni disciplinari, di uno o più membri dell’Executive, con conseguente delegittimazione del governo stesso di WS. E’ una conclusione alla quale aspira chi sta usando il caso per spingere la cordata Anti-Croce per le elezioni dell’autunno prossimo.
Finora i fatti accertati, in estrema sintesi, sono questi. Nel 2011 (presidente ISAF lo svedese Goran Petersson) venne assegnato lo Youth 2015 alla Malesia. Fu sottolineata la necessità di garantie la partecipazione a tutte le nazioni, con un intervento del delegato italiano Walter Cavallucci, al quale peraltro il Council voto contro, ma supportato poi da un intervento di Petersson che condizionò l’assegnazione del Mondiale alla garanzia di pari condizioni per tutti i paesi. La Malesia promise quelle garanzie. Poi Chris Atkins (all’epoca presidente dell’Events Committee e oggi vicepresidente) si recò in Malesia per la visita di controllo sull’organizzazione. In quella sede la condizione di parità tra le nazioni non fu riproposta in termini stringenti, ferma restando l’apparente disponibilità dei malesiani, che hanno continuato a promettere “accetteremo Israele”. Ma questo è stato all’origine del guaio: perché una settimana prima dell’evento la federazione malese ha inviato la famigerata lettera a Israele ponendo le condizioni inaccettabili (niente bandiere, niente insegne, niente inno nazionale), e aggiungendo la problematica dei visti. L’ISAF-WS si dichiara presa alla sprovvista, prova goffe mediazioni che peggiorano le cose, non è in grado di assumere decisioni gravi (bloccare il Mondiale con le squadre di tutto il mondo già arrivate a Langkawi), ma neanche di prendere almeno posizioni formali nette, di condanna. Per esempio dire qualcosa alla cerimonia inaugurale (alla quale invece parla Atkins e fa finta di niente), o vietare – per ritorsione – le bandiere a tutte le nazioni presenti.
A World Sailing si imputa dunque un mix di superficialità e mollezza, che agli occhi del mondo ha prodotto un risultato indubbiamente difficile da giustificare. Il tiro al bersaglio ai dirigenti WS è iniziato: Chris Atkins è sicuramente il più mirato. Ma lo stesso Croce lo seguirebbe in un eventuale naufragio (molto poteva cambiare se alla cerimonia fosse intervenuto lui come presidente, anziché Atkins).
Ecco spiegato quindi perché l’Executive d’emergenza di Heatrow è un fondamentale passaggio per l’attuale dirigenza della federvela internazionale. E per quella futura. Alla finestra infatti c’è il solito Eric Tulla, il portoricano grande rivale di Croce alla sua elezione tre anni fa, e nuovamente in pista con una cordata che fa leva in gran parte sul mondo arabo (sarebbe foraggiata dal Qatar, che di questi tempi non suona bene). Sembrerebbe per il momento in stand-by un’altra cordata dall’America del Nord, anche se il presidente di US Sailing Bruce Burton è tra i più attivi nelle iniziative di denuncia dopo-Youth. Da valutare anche la posizione dell’urugiagio Scott Perry, vicepresidente di peso, amico di Croce e suo potenziale successore nel 2020 in caso di secondo mandato dell’italiano. Se le cose dovessero mettersi male (c’è persino chi non esclude un ritiro dello stesso Croce con rinuncia a ricandidarsi), Perry scenderebbe in campo subito per contrastare la cordata “araba” di Tulla (che, non va dimenticato, mantiere tra i suoi spin-doctors, l’italiano Alberto Prederi, in lite feroce e continuativa col fratello Marco attualmente alla guida dell’Eurosaf…).
Come si vede c’è parecchio dietro alla decisione dell’Executive del’8 gennaio (che chissà quando conosceremo ufficialmente). Ma cosa si può almeno auspicare, con ragionevolezza e senza terremoti dal difficile esito?
La filiera dirigenziale e decisionale di ISAF-WS ha fallito: è arrivata molle e in ritardo sul caso malese, peraltro annunciato già in altri paesi. Il sistema di controllo e di decisione si è dimostrato fragile. Gli strumenti giuridici poco vincolanti. La leadership debole e attendista (il che può essere accettabile in casi minori, ma imperdonabile nella vicenda specifica). Tuttavia WS è l’Ente di riferimento della vela mondiale, tra pochi mesi ci saranno le Olimpiadi a Rio, con la Vela nelle acque della città olimpica, e come visto ci sono anche novità mediatiche e di marketing in fase di nascita. Buttare il bambino con l’acqua sporca sarebbe utile? E a chi?
L’Executive WS può e deve invece farsi sentire pesantemente – e emettere comunicazioni chiare e rapide – in congiunzione con il CIO e i massimi enti sportivi. Deve emettere sanzioni pesanti ed esemplari all’autorità nazionale malese colpevole del voltafaccia. Anni di non assegnazioni di eventi grandi e piccoli. Sanzioni disciplinari anche ai singoli se serve. Una o due teste tra Executive, Events e struttura di controllo possono anche rotolare (qui ci vuole però finalmente una mano politica forte e autorevole, che fin qui s’è vista mancante). E soprattutto la cosa più importante: il futuro. Personalmente questa è la risposta più importante che vorrei sentire da Heatrow. Nuove iniziative e norme chiare per sanzionare altri casi del genere, da qualsiasi parte vengano (pensate che il futuro ci riserva il Mondiale Youth nel 2016 in Oman e nel 2017 in Israele), garantendo l’effettiva autonomia dello Sport dal resto.
Pietro Calvelli (non verificato)
Alessandro Nespega (non verificato)
fcolivicchi
Giovanni Iannucci (non verificato)