PROFILO

22/09/2015 - 20:49

La resa di Mura e le domande da farci

L'IMOCA 60 che Andrea Mura ha venduto a un team francese (per contratto il team dovrà restare sconosciuto fino a dicembre prossimo)

Il navigatore sardo costretto a vendere la barca ai francesi e rinunciare, perchè in Italia non ha trovato sponsor. Possiamo ancora sperare che la vela da noi abbia un futuro, o dobbiamo arrenderci con tutte le conseguenze?


La notizia della vendita del nuovo fiammante IMOCA 60 di Andrea Mura a un team francese, e la conseguente rinuncia del navigatore sardo al sogno-Vendée Globe, è una mazzata tremenda. Per tante ragioni. Proviamo a ricostruire la vicenda e vedere se possiamo trarre qualche utile insegnamento, continuare a coltivare speranze per il futuro della vela in Italia, oppure dobbiamo arrenderci e trarre le dovute conseguenze. Per esempio, nel nostro caso essendo un media che parla di vela, pensare anche a chiudere, perché no. Vediamo.
 
Andrea Mura è una figura di velista, imprenditore, navigatore, marinaio e viaggiatore, nel senso più pieno che ciascuna di queste parole può offrire. In più è un uomo simpatico, solare, che mette allegria e ispira amore per il mare nel modo in cui lo vive e lo racconta. Ha fatto vela olimpica, Coppa America, aperto una veleria che porta il suo nome (invece di distribuire vele che portano nomi esteri, per dire), il tutto partendo da un’isola della penisola, la Sardegna, dove spesso ogni cosa è un po’ più complicata. Si è dato all’altomare, sempre più alto, fino ad arrivare all’oceano. E con l’oceano ha iniziato una vera e propria storia d’amore, di successi, di imprese.
 
Con una barca leggendaria, il 50 piedi costruito da Pasquale De Gregorio su progetto di Felci, per il Vendée Globe del 2000, una barca che ha quindi fatto (e completato con De Gregorio) proprio quella regata che non a caso Andrea Mura inseguiva. Il giro del mondo in solitario senza scalo e senza assistenza. Dopo aver vinto e convinto in Atlantico, Mura aveva preparato minuziosamente l’assalto al sogno Vendée. L’energia, anche quella di immaginare l’impossibile, non gli manca. Le collaborazioni altrettanto visionarie, nemmeno. Così è nato il progetto IMOCA 60 di Andrea Mura, finalizzato al Vendée Globe 2016. Un progetto super. Il miglior progettista (per forza di cose, francese: Verdier e soci), il miglior cantiere (l’italiano Persico Marine, quello che fa i Volvo 65 per la Ocean Race, il giro del mondo in equipaggio), un team agguerrito, una comunicazione da “guerrilla marketing”.
 
Andrea Mura conquista anche solo col progetto su carta i francesi del Vendée, che lo seguono ammirati. Quanti italiani hanno detto di voler provare a organizzare una partecipazione al Vendée Globe e non ci sono neanche andati vicino. Storicamente, poi, gli italiani al giro senza scalo si contano sulla mano: Vittorio Malingri (prima edizione 1992, perse il timone prima di Capo Horn), Simone Bianchetti e Pasquale De Gregorio (terza edizione 2000, entrambi arrivati, rispettivamente 12° e 15° in 121 e 158 giorni, se guardate l’ordine d’arrivo di quella regata vi trovate a scorrere la storia della vela oceanica), e Alessandro Di Benedetto (sesta e ultima edizione 2012, 11° in 104 giorni, con i francesi talmente pazzi per lui da iscriverlo con doppia nazionalità, bandiera francese e italiana). Basta. Niente Giovanni Soldini o altri big. Nessun altro italiano è arrivato al soglio del Vendée.
 
Andrea Mura, Vento o non Vento di Sardegna, ci stava arrivando, era proprio all’anticamera, e con un piede e mezzo dentro. Preiscritto. Messo nella lista dei partenti dagli organizzatori. Mezza Francia incuriosita dal suo fulmineo passare all’azione. Progetto, cantiere, varo, test di stabilità e raddrizzamento, test strutturali, uscite a vela. Barca di ultimissima generazione, con linee d’acqua pronte a sposarsi con le onde di cinque oceani, e persino la novità foil. Tutto pronto, tutto in gran parte italiano, anche nella tecnologia di bordo, nelle vele (quelle col suo nome), nel rig (Bamar). Mura-Vendèe era fatta all’80%. Mancava quel 20. Due milioni di euro per completare il budget ed essere al via, e portare l’Italia della vela e magari un marchio italiano a confrontarsi con i supermercati, le finestre, i surgelati, le banche, le utility, le aziende di ogni tipo (quasi tutte le principali) francesi che in Francia fanno a gara a sponsorizzare la pletora di grandi velisti oceanici in un circolo virtuoso da fare invidia a tanti sport di moda.
 
Mura-Vendée non si farà perché in Italia non si sono trovati quei 2 milioni di euro. Per 1000 giorni di programma tra preparazione, presentazioni, regate di avvicinamento, trasferimenti, feste, saloni, vigilia, Vendée con 80 giorni col cuore in gola, e poi il seguito: 2000 euro al giorno di pubblicità sana, di valori immensi come il mare che tutto contiene. Nessuna azienda o gruppo di aziende italiane ha trovato questa somma per la speranza della vela oceanica italiana. Le aziende italiane preferiscono apparire in tv, perlopiù su programmi spazzatura, o sponsorizzare il calcio degli scandali e della violenza, o calciatori pettinati come videogiochi. Nell’intervista che ci ha rilasciato a caldo, Andrea ha detto: “Fa male, ma ne prendo atto, l’Italia non è pronta. I soldi ci sono ma l’interesse per la vela no.” La domanda che viene immediatamente dopo è: sarà mai pronta questa Italia? Pronta a capire e a salire su una barca a vela? Quanto ancora dovremo aspettare? In cosa abbiamo sbagliato (mi ci metto, a fare autocritica, visto che per 35 anni ho “comunicato” un po’ di vela ai miei connazionali)?
 
I francesi si sono buttati sul package barca pronta-tecnologia di Mura-Vendée come i pesci sulle mollichelle gettate da una barca. Erano pronti, non aspettavano altro. Hanno persino fatto i complimenti al team di Mura per come hanno condotto il progetto, neanche fossero uno dei loro dream team stile Coppa America, Banque Populaire, Rotschild… Come in quei film dove il buono ci mette la fatica e alla fine arrivano gli altri, i cattivi o i ricchi, e si prendono il frutto finale. Io sono stanco di fare queste figure, come giornalista italiano di vela. Soldini e Elkann insieme non riuscirono a fare la Volvo Ocean Race. Ora sento che qualcuno vuol riprovarci. Per fare ancora questa fine? Diciamo basta. Ritiriamoci. L’oceano è francese. Noi al massimo possiamo raccontarcelo, ammirati. Torneremo solo quando saremo cambiati, cresciuti. Quando avremo imparato a considerare la vela – e non solo quella oceanica – una pratica, uno sport, una disciplina, un modo di vivere, che merita rispetto, e non invidie, stereotipi, gossip o paure ataviche. Un mondo al quale avvicinarsi (possibilmente senza esserne respinti, comunicazione di servizio) con semplicità, con naturalezza. Un mondo vicino, non un sogno lontano. Quel giorno l’Italia potrà tornare in oceano.
 
Per adesso, nell’attesa, godiamoci i 5 ministi della Mini Transat e i nuovi progetti che lo stesso Andrea Mura ha già ricominciato a fare. Quanto resisteranno a restare italiani?

Commenti

salvatore starita (non verificato)

Bravissimo Fabio, "quel giorno l'Italia potrà tornare in Oceano (cit)". Io aggiungerei "... e, forse, potrà sperare di ritornare Italia!!! Salvatore

enap (non verificato)

Dove è la meraviglia?quando 40 anni fà ho cominciato a pensare ad una barca a vela è girando tra le banchine da Antibes a Marsiglia e fino in Bretagns che ho imparato cosa è una barca,ho invidiato i francesi che recuperano le barche degli eroi del mare per non perdere la memoria e creare nel cuore dei ragazzi la passione romantica .Siete mai stat a Genova?il porto è totalmente separato dalla città,pochi turisti e molti immigrati!Provate ad andare in Italia da uno shipchandler:Il nulla! Navigo da 2 anni ai Caraibi,non ho trovato una barca italiana a parte pochii charter in stagione D'altro canto i romani agganciavano le navi nemiche e così la"fanteria"!poteva combattere come a terra! E ancora vi meravigliate??N

Vento di Shardana (non verificato)

articolo fantastico. Tristissime verità. Noi stiamo con Andrea. E siamo in tanti. Tanto folli da continuare a credere che la vela, in un futuro che conosceremo, oltre all'immenso patrimonio etico, storico e "filosofico" che rappresenta, sarà sinonimo di volano economico.

Oreste Basso (non verificato)

Da sardo e da amico di Andrea aggiungo una chicca: la regione che inizialmente aveva promesso un supporto economico all'impresa, alla fine ha fatto marcia indietro. Probabilmente non ha compreso quale messaggio internazionale poteva portare Vento di Sardegna in giro per il mondo. Non ha compreso l'importante finestra di promozione turistica e mediatica per la nostra isola. Ha convogliato tutte le risorse sul basket campione d'Italia, lasciando a bocca asciutta tutti gli altri sporto. Prosit. Un'azione forse era possibile, ma avrebbe danneggiato la Dinamo Banco di Sardegna, con il risultato di rendere invisa l'impresa velica alla gran parte dei sardi, accecati dallo scudetto cestistico. Si trattata solamente di dividere e condividere. Ma la vela è per pochi. Non so se aggiungere, meno male!

Luca (non verificato)

Conosco personalmente Andrea, e l'articolo è assolutamente la migliore descrizione di questo autentico sardo che ha fatto del mare la sua ragione di vita. Purtroppo grande tristezza per quanto riportato in questo bellissimo articolo.

anonimo (non verificato)

buon ascolto dal decimo minuto: https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=0VVCRjNmu7o