“Fortunato è l’uom che prende ogni cosa pel buon verso e tra i casi e le vicende da ragion guidar si fa. Quel che suoi altrui far piangere fia per lui cagion di riso; e del mondo in mezzo ai turbini bella calma troverà”. (Mozart / Da Ponte, Così fan tutte, Finale)
Come di consueto, una volta uscito dal porticciolo di Corinto, contatto il canale 11 del Vhf per chiedere di attraversare lo stretto. C’è ancora mare e vento da nord ovest, e non è piacevole attendere che diano il via in queste condizioni. Attendo un’ora. Poi all’interno del canale non passa un filo di vento. E navigarci è sempre una grande emozione, pur essendo la quinta volta.
Uscire dallo stretto di Corinto è come spalancare una porta sull’Egeo. E per me significa anche aprire quella degli amici di Atene. Un anno che non li vedo. I primi che incontrerò saranno Mina e Stathis. Oggi sono a Egina con il loro yacht, perché domani ci sarà un matrimonio. Egina per “Denecia” è sulla rotta tra Corinto e Atene, quindi...
Ancora vento da nord ovest. Ancora in fil di ruota. Con lo strallo della trinchetta in mezzo è una vera tortura. Per fortuna oggi c’è meno mare e vento, solo venti nodi, così riesco a mantenere un’andatura di cinque-sei nodi a farfalla. Entro nella baia di Klima verso le sette. Mentre ammaino le vele vedo un gommone staccarsi da uno yacht e dirigersi verso di me. E’ Stathis, mi ha visto arrivare e mi viene in contro agitando le braccia. Ha già organizzato tutto: do fondo all’ancora, poi due componenti del suo equipaggio portano una cima a terra, e ne mettono un’altra legata al suo yacht per sicurezza. Faccio un tuffo e raggiungo a nuoto la famiglia Topouzoglou per l’aperitivo. Poi la cena, preparata dal cuoco Iorgos. Un’artista. Insalata con i gamberi. Soutè di cozze. Pesce, cotto con vino e finocchio. Contorno di agretti, broccoli e riso. Tutto cucinato in maniera raffinata, originale e saporita. Per finire cocomero e ciliegie, gelato alla vaniglia.
Gli interni di “Acqua” sono stati disegnati dalla sorella, Eleni, una donna con una grande carica di energia e di simpatia. Gli ambienti sono eleganti ma sobri, senza lasciare spazio a lussi esagerati. Ma la plancia di comando è impressionante. Sembra quella di un aereo. Al posto del timone c’è una sorta di joystick. E mi rendo conto che stiamo vivendo un’epoca di transizione. La prossima sarà quella in cui si chiederanno perché un joystick viene chiamato “timone”.
Torno a bordo di “Denecia” e mi godo la luna piena, perfettamente incorniciata dall’oblò sopra al letto. L’indomani la prima colazione è servita su “Acqua”. La tavola del grande salone è imbandita come in un quadro rinascimentale. Frutta di ogni genere e provenienza, musli con yogurt, diversi tipi di pane fatti dallo chef, miele, formaggio, spremuta di arancia. Poi arriva il momento di salpare. “Acqua” per un altro porto di Egina da dove Stathis e Mina andranno al matrimonio, “Denecia” per riposare due o tre giorni a Idra.
Comincio a salpare l’ancora, ma dopo un po’ la catena si incastra.
La sistemo, recupero l’ancora, ma la barca rolla molto.
Si spezza l’elastico e il coperchio del gavone si chiude.
Si chiude sul mio piede.
Stathis da “Acqua” si accorge che qualcosa non sta andando per il verso giusto perché vede che non torno al timone e mi accascio sulla coperta. “Denecia” sta rapidamente finendo sugli scogli. Pur paralizzato dal forte dolore mi trascino fino ad afferrare la leva di comando del motore e do avanti tutta. Immediatamente Stathis impartisce ordini al suo equipaggio. Il comandante e un altro saltano sul gommone e mi raggiungono. Il comandante mi fa una fasciatura di emergenza, poi comunica via radio con Stathis che decide sul da farsi. Portano me e Denecia al porto più vicino, Pertika, dove c’è già un ambulanza che mi trasporta all’ospedale di Egina per un primo soccorso. Stahis e Mina mi raggiungono quasi subito con un taxi. Nascondono la loro preoccupazione e mi rassicurano con dolcezza.
Quanto c’è dei napoletani nei greci. O forse è il contrario.
Di nuovo ambulanza, aliscafo per Atene, di nuovo ambulanza, di nuovo ospedale.
L’anestesia locale fa effetto un po’ in ritardo, e le prime fasi dell’operazione sono piuttosto dolorose. Ma dicono che si devono sbrigare. Mi riattaccano la punta del dito e mi mettono un chiodo per far saldare l’osso. Lo dovrò tenere un mese.
L’abitudine di Stathis a organizzare tutto, unita alla sua preoccupazione per me, ha da subito innescato una macchina efficientissima di soccorsi.
All’uscita dall’ospedale c’è Iorgos, un altro Iorgos, il suo autista. Ci porta via, finalmente. Al porto. Per prendere l’aliscafo.
Al molo c’è Iorgos, un altro Iorgos, il comandante di “Fortuna”, lo yacht personale di Stathis. Verrà con me a Egina per assistermi stanotte. E per aiutarmi a portare la barca ad Atene domani.
Iorgos è la persona a cui chiesi se avrebbero lasciato acceso il generatore di notte, quando “Fortuna” era ormeggiata casualmente vicino a “Denecia”, a Siros, un anno fa. Lì è nata l’amicizia con la famiglia Topouzoglou. Il giorno dopo, mentre levavo il sale dalla coperta di “Denecia” con il tubo dell’acqua, ad un tratto mi ero accorto che il pozzetto della barca a fianco era pieno di gente. Che figura. “Ma con questo caldo un po’ di schizzi d’acqua fresca fanno piacere”, disse Stathis, con quella sua classe e gentilezza che avrei imparato a conoscere.
Ne seguì il suo invito a prendere un caffè. In cambio chiedeva che gli spiegassi come faccio a navigare da solo, e soprattutto per cinque mesi l’anno, lui che anche in vacanza risponde a telefonate di lavoro ogni dieci minuti. E’ inevitabile, ha due compagnie, quella delle navi, la Prime Marine, e quella del petrolio, la Energean. In totale dà lavoro a un migliaio di persone. Doppiamente lodevole in un periodo di crisi come questo.
Poi venne l’idea di fare un concerto per il fund raising di un’associazione per la ricerca e la cura della Histiocytosis. E quest’anno avremmo dovuto incontrarci per altri progetti, qua e là, tra un’isola e l’altra. Ma ora i programmi sono cambiati. Quando dico a Iorgos: “My plans for this summer are finished”, mi risponde sorridendo: “God has other plans for you”. God, o effetto farfalla, o caos, o destino, o karma che sia mi pare saggio prendere le cose per il buon verso.
Quanto c’è della filosofia napoletana in quella greca. O forse è il contrario.
Incredibile, lo stesso piede che si è rotto tre anni fa. Certo, è vero quel che dice Mina, avendone solo due di piedi le possibilità che capiti allo stesso sono il cinquanta per cento. Ma anche la stessa sequenza: incidente su un’isola, trasporto di me e “Denecia” ad Atene, convalescenza da passare ad Atene, assistenza di amici greci. Cambiano i personaggi, ma la vicenda sembra la stessa.
A Napoli si dice “Pasqualino passa guai”. Eh sì. “Robertino” è un po’ sfortunato, oppure ha un karma della salute, oppure troppe invidie addosso. O tutte queste cose insieme. Ma anche qualora fossero invidie, c’è l’affetto degli amici che le compensa. La sfortuna avuta non è neanche minimamente paragonabile alla fortuna di avere tanti amici meravigliosi.
Chissà perché nella vita a volte si ripetono le stesse circostanze. E mi interrogo su quale possa essere, ammesso che ci sia, il significato di tutto questo. In effetti più dell’aver interrotto la mia rotta e perso molte isole, mi interessa capire a cosa porterà questa avventura. E trovare il lato positivo della vicenda. Il primo che mi viene in mente è utilizzare questo periodo di riposo ad Atene per imparare finalmente il greco. Così chiedo a Kathryne, l’assistente di Stathis, un’americana molto simpatica e affascinante, se può trovarmi un’insegnante.
L’aliscafo attracca a Egina e ci sono già due tassì ad aspettarci. Stathis raggiunge Mina al matrimonio, io e Iorgos “Denecia”. Finalmente ‘a casa’. E ritrovo tutti gli appoggi. Quelli che usavo per muovermi quando mi sono fratturato il piede tre anni fa. Solo che stavolta faccio più fatica. E finalmente a letto. Ma non dormo. Troppo dolore.
La mattina dopo mollo gli ormeggi da Egina. Al timone sto io per disormeggiare, Iorgos pensa a tutte le altre manovre. Lui ha sempre comandato solo super yacht a motore, così gli insegno ad andare a vela. Un po’ di brezza ce lo permette. Quando realizza tutto quel che normalmente faccio da solo dice che sono "An orchestra man". Divertente questo nuovo nikname. Alle quattro “Denecia” è ferma e 'legata' al marina Flisvos di Atene a fianco di “Fortuna”. Così rimarrà per un bel po'.
Stathis ha già organizzato una visita da Periclìs, il suo amico d’infanzia, per controllare che l’intervento di emergenza sia stato fatto bene. Periclìs, che era al mio concerto per il fund raising ad Atene, mi dice che si era preoccupato molto per la mia carriera: aveva capito, in un primo momento, che si trattava di un dito della mano. Voleva organizzare un elicottero e un equipe di chirurgi plastici. “Finger” in inglese si usa solo per le dita della mano, non è come in italiano e in greco, che si usa “dito” anche per i piedi. Ecco l’equivoco. “Se è caduto in acqua cerca di recuperarlo!”. Aveva detto al telefono a Stathis. Certo, fosse stato il dito di una mano avrebbe significato probabilmente la fine della mia carriera. Anche se qualcuno potrebbe dire che io ‘suono con i piedi’.
Il pronto soccorso qui è pieno di gente infortunata in modo molto più grave del mio, prevalentemente con il motorino e con la macchina. Sembra di vedere un campo di battaglia di vittime del sistema moderno. Non ci rendiamo conto di quanto sia pericolosa la vita che conduciamo quotidianamente. Ma stranamente la gente considera rischioso solo ciò che esula dalle sue abitudini. Come il navigare in solitario.
Per il primo periodo di convalescenza vengo ospitato in casa Topouzoglou. Almeno fino a che non mi leveranno il chiodo. E mi riesce difficile dormire in un letto che non mi culla: è la prima volta dopo quattro anni, che passo così tanti giorni in una casa sulla terra ferma. Ma è un piacere godere della compagnia di Mina. Del suo sorriso, della sua simpatia, della sua gentilezza. Un’amicizia che sembra vecchia di anni. E trovo in lei l’insegnante perfetta per imparare il greco. Poli kalà.
Il riposo con la gamba alzata è scandito dai pasti, cucinati dalla cuoca, Amora. A Napoli la cosa che mangio più spesso, per cui vado matto, è la zuppa di ceci che cucina la mamma di Lello, alla mia bettolina preferita, “Da Peppino”. Senza saperlo, la prima cosa che Amora mi serve a tavola è proprio quella. Coincidenze. E seguiranno altre leccornie, come il pesce cucinato da Stathis in persona, dando fuoco al sale che lo ricopre, sulla tavola, davanti ai commensali. Un virtuosismo degno di un grande chef.
Varrebbe la pena tagliarsi un dito solo per stare qui. Tanto ne ho altre venti.
Ci rivediamo quando potrò riprendere il largo dopo questa sosta forzata. Sperando che non finisca troppo presto.
Come di consueto, una volta uscito dal porticciolo di Corinto, contatto il canale 11 del Vhf per chiedere di attraversare lo stretto. C’è ancora mare e vento da nord ovest, e non è piacevole attendere che diano il via in queste condizioni. Attendo un’ora. Poi all’interno del canale non passa un filo di vento. E navigarci è sempre una grande emozione, pur essendo la quinta volta.
Uscire dallo stretto di Corinto è come spalancare una porta sull’Egeo. E per me significa anche aprire quella degli amici di Atene. Un anno che non li vedo. I primi che incontrerò saranno Mina e Stathis. Oggi sono a Egina con il loro yacht, perché domani ci sarà un matrimonio. Egina per “Denecia” è sulla rotta tra Corinto e Atene, quindi...
Ancora vento da nord ovest. Ancora in fil di ruota. Con lo strallo della trinchetta in mezzo è una vera tortura. Per fortuna oggi c’è meno mare e vento, solo venti nodi, così riesco a mantenere un’andatura di cinque-sei nodi a farfalla. Entro nella baia di Klima verso le sette. Mentre ammaino le vele vedo un gommone staccarsi da uno yacht e dirigersi verso di me. E’ Stathis, mi ha visto arrivare e mi viene in contro agitando le braccia. Ha già organizzato tutto: do fondo all’ancora, poi due componenti del suo equipaggio portano una cima a terra, e ne mettono un’altra legata al suo yacht per sicurezza. Faccio un tuffo e raggiungo a nuoto la famiglia Topouzoglou per l’aperitivo. Poi la cena, preparata dal cuoco Iorgos. Un’artista. Insalata con i gamberi. Soutè di cozze. Pesce, cotto con vino e finocchio. Contorno di agretti, broccoli e riso. Tutto cucinato in maniera raffinata, originale e saporita. Per finire cocomero e ciliegie, gelato alla vaniglia.
Gli interni di “Acqua” sono stati disegnati dalla sorella, Eleni, una donna con una grande carica di energia e di simpatia. Gli ambienti sono eleganti ma sobri, senza lasciare spazio a lussi esagerati. Ma la plancia di comando è impressionante. Sembra quella di un aereo. Al posto del timone c’è una sorta di joystick. E mi rendo conto che stiamo vivendo un’epoca di transizione. La prossima sarà quella in cui si chiederanno perché un joystick viene chiamato “timone”.
Torno a bordo di “Denecia” e mi godo la luna piena, perfettamente incorniciata dall’oblò sopra al letto. L’indomani la prima colazione è servita su “Acqua”. La tavola del grande salone è imbandita come in un quadro rinascimentale. Frutta di ogni genere e provenienza, musli con yogurt, diversi tipi di pane fatti dallo chef, miele, formaggio, spremuta di arancia. Poi arriva il momento di salpare. “Acqua” per un altro porto di Egina da dove Stathis e Mina andranno al matrimonio, “Denecia” per riposare due o tre giorni a Idra.
Comincio a salpare l’ancora, ma dopo un po’ la catena si incastra.
La sistemo, recupero l’ancora, ma la barca rolla molto.
Si spezza l’elastico e il coperchio del gavone si chiude.
Si chiude sul mio piede.
Stathis da “Acqua” si accorge che qualcosa non sta andando per il verso giusto perché vede che non torno al timone e mi accascio sulla coperta. “Denecia” sta rapidamente finendo sugli scogli. Pur paralizzato dal forte dolore mi trascino fino ad afferrare la leva di comando del motore e do avanti tutta. Immediatamente Stathis impartisce ordini al suo equipaggio. Il comandante e un altro saltano sul gommone e mi raggiungono. Il comandante mi fa una fasciatura di emergenza, poi comunica via radio con Stathis che decide sul da farsi. Portano me e Denecia al porto più vicino, Pertika, dove c’è già un ambulanza che mi trasporta all’ospedale di Egina per un primo soccorso. Stahis e Mina mi raggiungono quasi subito con un taxi. Nascondono la loro preoccupazione e mi rassicurano con dolcezza.
Quanto c’è dei napoletani nei greci. O forse è il contrario.
Di nuovo ambulanza, aliscafo per Atene, di nuovo ambulanza, di nuovo ospedale.
L’anestesia locale fa effetto un po’ in ritardo, e le prime fasi dell’operazione sono piuttosto dolorose. Ma dicono che si devono sbrigare. Mi riattaccano la punta del dito e mi mettono un chiodo per far saldare l’osso. Lo dovrò tenere un mese.
L’abitudine di Stathis a organizzare tutto, unita alla sua preoccupazione per me, ha da subito innescato una macchina efficientissima di soccorsi.
All’uscita dall’ospedale c’è Iorgos, un altro Iorgos, il suo autista. Ci porta via, finalmente. Al porto. Per prendere l’aliscafo.
Al molo c’è Iorgos, un altro Iorgos, il comandante di “Fortuna”, lo yacht personale di Stathis. Verrà con me a Egina per assistermi stanotte. E per aiutarmi a portare la barca ad Atene domani.
Iorgos è la persona a cui chiesi se avrebbero lasciato acceso il generatore di notte, quando “Fortuna” era ormeggiata casualmente vicino a “Denecia”, a Siros, un anno fa. Lì è nata l’amicizia con la famiglia Topouzoglou. Il giorno dopo, mentre levavo il sale dalla coperta di “Denecia” con il tubo dell’acqua, ad un tratto mi ero accorto che il pozzetto della barca a fianco era pieno di gente. Che figura. “Ma con questo caldo un po’ di schizzi d’acqua fresca fanno piacere”, disse Stathis, con quella sua classe e gentilezza che avrei imparato a conoscere.
Ne seguì il suo invito a prendere un caffè. In cambio chiedeva che gli spiegassi come faccio a navigare da solo, e soprattutto per cinque mesi l’anno, lui che anche in vacanza risponde a telefonate di lavoro ogni dieci minuti. E’ inevitabile, ha due compagnie, quella delle navi, la Prime Marine, e quella del petrolio, la Energean. In totale dà lavoro a un migliaio di persone. Doppiamente lodevole in un periodo di crisi come questo.
Poi venne l’idea di fare un concerto per il fund raising di un’associazione per la ricerca e la cura della Histiocytosis. E quest’anno avremmo dovuto incontrarci per altri progetti, qua e là, tra un’isola e l’altra. Ma ora i programmi sono cambiati. Quando dico a Iorgos: “My plans for this summer are finished”, mi risponde sorridendo: “God has other plans for you”. God, o effetto farfalla, o caos, o destino, o karma che sia mi pare saggio prendere le cose per il buon verso.
Quanto c’è della filosofia napoletana in quella greca. O forse è il contrario.
Incredibile, lo stesso piede che si è rotto tre anni fa. Certo, è vero quel che dice Mina, avendone solo due di piedi le possibilità che capiti allo stesso sono il cinquanta per cento. Ma anche la stessa sequenza: incidente su un’isola, trasporto di me e “Denecia” ad Atene, convalescenza da passare ad Atene, assistenza di amici greci. Cambiano i personaggi, ma la vicenda sembra la stessa.
A Napoli si dice “Pasqualino passa guai”. Eh sì. “Robertino” è un po’ sfortunato, oppure ha un karma della salute, oppure troppe invidie addosso. O tutte queste cose insieme. Ma anche qualora fossero invidie, c’è l’affetto degli amici che le compensa. La sfortuna avuta non è neanche minimamente paragonabile alla fortuna di avere tanti amici meravigliosi.
Chissà perché nella vita a volte si ripetono le stesse circostanze. E mi interrogo su quale possa essere, ammesso che ci sia, il significato di tutto questo. In effetti più dell’aver interrotto la mia rotta e perso molte isole, mi interessa capire a cosa porterà questa avventura. E trovare il lato positivo della vicenda. Il primo che mi viene in mente è utilizzare questo periodo di riposo ad Atene per imparare finalmente il greco. Così chiedo a Kathryne, l’assistente di Stathis, un’americana molto simpatica e affascinante, se può trovarmi un’insegnante.
L’aliscafo attracca a Egina e ci sono già due tassì ad aspettarci. Stathis raggiunge Mina al matrimonio, io e Iorgos “Denecia”. Finalmente ‘a casa’. E ritrovo tutti gli appoggi. Quelli che usavo per muovermi quando mi sono fratturato il piede tre anni fa. Solo che stavolta faccio più fatica. E finalmente a letto. Ma non dormo. Troppo dolore.
La mattina dopo mollo gli ormeggi da Egina. Al timone sto io per disormeggiare, Iorgos pensa a tutte le altre manovre. Lui ha sempre comandato solo super yacht a motore, così gli insegno ad andare a vela. Un po’ di brezza ce lo permette. Quando realizza tutto quel che normalmente faccio da solo dice che sono "An orchestra man". Divertente questo nuovo nikname. Alle quattro “Denecia” è ferma e 'legata' al marina Flisvos di Atene a fianco di “Fortuna”. Così rimarrà per un bel po'.
Stathis ha già organizzato una visita da Periclìs, il suo amico d’infanzia, per controllare che l’intervento di emergenza sia stato fatto bene. Periclìs, che era al mio concerto per il fund raising ad Atene, mi dice che si era preoccupato molto per la mia carriera: aveva capito, in un primo momento, che si trattava di un dito della mano. Voleva organizzare un elicottero e un equipe di chirurgi plastici. “Finger” in inglese si usa solo per le dita della mano, non è come in italiano e in greco, che si usa “dito” anche per i piedi. Ecco l’equivoco. “Se è caduto in acqua cerca di recuperarlo!”. Aveva detto al telefono a Stathis. Certo, fosse stato il dito di una mano avrebbe significato probabilmente la fine della mia carriera. Anche se qualcuno potrebbe dire che io ‘suono con i piedi’.
Il pronto soccorso qui è pieno di gente infortunata in modo molto più grave del mio, prevalentemente con il motorino e con la macchina. Sembra di vedere un campo di battaglia di vittime del sistema moderno. Non ci rendiamo conto di quanto sia pericolosa la vita che conduciamo quotidianamente. Ma stranamente la gente considera rischioso solo ciò che esula dalle sue abitudini. Come il navigare in solitario.
Per il primo periodo di convalescenza vengo ospitato in casa Topouzoglou. Almeno fino a che non mi leveranno il chiodo. E mi riesce difficile dormire in un letto che non mi culla: è la prima volta dopo quattro anni, che passo così tanti giorni in una casa sulla terra ferma. Ma è un piacere godere della compagnia di Mina. Del suo sorriso, della sua simpatia, della sua gentilezza. Un’amicizia che sembra vecchia di anni. E trovo in lei l’insegnante perfetta per imparare il greco. Poli kalà.
Il riposo con la gamba alzata è scandito dai pasti, cucinati dalla cuoca, Amora. A Napoli la cosa che mangio più spesso, per cui vado matto, è la zuppa di ceci che cucina la mamma di Lello, alla mia bettolina preferita, “Da Peppino”. Senza saperlo, la prima cosa che Amora mi serve a tavola è proprio quella. Coincidenze. E seguiranno altre leccornie, come il pesce cucinato da Stathis in persona, dando fuoco al sale che lo ricopre, sulla tavola, davanti ai commensali. Un virtuosismo degno di un grande chef.
Varrebbe la pena tagliarsi un dito solo per stare qui. Tanto ne ho altre venti.
Ci rivediamo quando potrò riprendere il largo dopo questa sosta forzata. Sperando che non finisca troppo presto.
jack - leopoldo (non verificato)
rsoldatini