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02/07/2013 - 20:25

Racconto di un giorno di mare caduto dal cielo

Un normale giorno di vela stellare

Una barca del 1936 che porta il nome della stella più luminosa: Sirius. Una doppia medaglia olimpica: Juan De La Fuente. Una comandante-navigatrice: Susanne Beyer. Un timoniere predestinato: Andrea Zaoli. Racconto di un giorno di mare caduto dal cielo


La magnitudine, in astronomia, è la misura della luminosità delle stelle. Più la stella è luminosa, minore è la magnitudine. Sirio è la stella più luminosa visibile nel cielo notturno dalla terra. Ma tutte le definizioni, le formule, i valori matematici con i quali l’uomo cerca di spiegare ogni cosa, sono niente, senza il caso e il cuore. E’ l’eterna lotta tra razionale e irrazionale, dove quest’ultimo - grazie al cielo - vince sempre. Un esempio?

Vele d’Epoca di Napoli, Panerai Classic Yachts Challenge, ospite con programmi molto razionali. Ma ecco uno scarto: cerco un imbarco per la regata del giorno dopo. E dal cielo è caduta Sirius. La stella più luminosa di notte, e la barca più bella di giorno (ma le barche si sa, sono tutte belle, per definizione). Umberto Zocca di Montelupo, che vive tra le barche tutto l’anno ed è uno dei volti che più incontri in banchina, dice di si, e la mattina sono a bordo.

Da quella stella caduta esce una giornata che nessuna formula poteva prevedere, e che se fai il mio mestiere e racconti la vela e le sue cose belle non puoi non raccontare, con le sue mille sorprese. Cerco senza successo braghe e giubottino da barca, ma alla fine mi ritrovo abbigliato da passeggiatina in centro, ben sapendo cosa mi aspetta: Sirius, per essere più bella, l’hanno fatta bassa e filante, senza battagliola nè candelieri, e quando si bolina si è spesso tutt’uno con l’acqua salata. Un normalissimo giorno di vela.

La sorpresa maggiore però è a bordo. Mica una barca qualunque, mica un equipaggio qualunque. il comandante di Sirius è Susanne Beyer, la navigatrice oceanica (Transat 650 del 2012), skipper di vele d’epoca (per tanti anni ha comandato il Tirrenia II di Gianni Loffredo, del quale ha curato personalmente anche il restauro), uno dei marinai più completi della nostra vela in quest’inizio di millennio.

Il talento (tattico mi sembra un termine vagamente irrispettoso per una stella del 1936 come Sirius) di bordo è l’argentino Juan De La Fuente. Vi dice niente? Questo ragazzo ha vinto due medaglie di bronzo alle Olimpiadi, entrambe sul 470, a prua di Javier Conte (Sydney 2000) e a prua di Lucas Calabrese (Londra 2012). E due medaglie a distanza di dodici anni non sono un caso, mai.

Il timoniere di Sirius è Andrea Zaoli, un giovanotto che porta un cognome da predestinato (papà Beppe costruisce vele e con esse anche sogni e storie veliche, trascinando come un fiume tutta la famiglia in questa passione) e che in più ha saputo sviluppare un talento innato (è il più giovane campione nazionale di Snipe, a sua volta classe per palati fini).

Poi Umberto Zocca e tutti gli altri di bordo. Come già sperimentato altre volte, sulle barche d’epoca non trovi equipaggi tesi, in trance agonistica, ma un bel gruppo di persone competenti, tranquille, che sanno di essere al posto giusto. Windguru dice che alle 13 arriveranno 13 nodi. Ha ragione, come sempre. Anzi difetta un po’ perchè sotto a Posillipo si arriva anche a 16 nodi. Io inforco il maglioncino di cotone e cachemire e inizio a respirare questa giornata.

La stella del 1936, la doppia medaglia olimpica, la comandante-navigatrice: una formula difficile da trovare in natura, e che si sublima nei 16 nodi di Posillipo. C’è tutto: il Vesuvio che guarda, Capri che riposa, il muoversi sinuoso sulle onde delle ordinate di quercia bianca e del fasciame in mogano delle Filippine. C’è la cultura della vela: Sirius è un New York 32, uno dei primi monotipi della storia, il progetto Sparkman & Stephens vinse un concorso del New York Yacht Club, anche per il piano velico innovativo e maneggevole. Venti scafi identici furono costruiti in un solo anno dal cantiere Henry B. Nevins di City Island a New York, molti navigano ancora, esempio di linee d’acqua, marinità e longevità costruttiva dalle quali oggi dovremmo sicuramente imparare qualcosa.

A bordo di questo violino che suona la storia dell’andar per mare, si muovono i cuori alti di oggi.

Juan è per tutti Giovanni: ha 36 anni e vive tra Sanremo e Buenos Aires, collabora con la veleria Zaoli (non a caso tra i leader di mercato sia nel 470 olimpico che nelle vele d’epoca), è fresco reduce dall’Europeo 470 a Formia (podio), e tra qualche giorno sarà a Rio de Janeiro per la prima sessione di allenamenti in vista dei prossimi Giochi del 2016. Giovanni vede e sente la regata come può solo un prodiere di classe olimpica che respira il vento 340 giorni l’anno. Ma ciò che vede e sente lo trasferisce e lo condivide a bordo in un modo straordinario. Su Sirius i rumori sono: onde, vento, legno che passa su creste e incavi, vele che sbattono appena, e voce di Juan. - Bene così, arriva la raffica, poggia un po’, stai su, vedi la boa? Scegliamo il genoa leggero, poi vediamo. Cazza, molla, tra un po’ viriamo, dopo di lui, prosegui così, che bella prua, occhio che stai poggiando troppo, non di più di così, prepariamo il medio, il gennaker ci sta? Sposta il punto di scotta più avanti. -Niente di supertecnico, e tantomeno elettronico o strumentale: siamo su Sirius e basta una bussoletta da rilevamento al collo, ma la voce narrante di Juan, nella sua semplicità, guida  il monotipo del 1936 tra buoni e scarsi e planatine come in un viaggio nel tempo che sovrappone New York 32 e 470 o Melges. Parole, decisioni, ordini e approvazioni, che arrivano dall’altezza siderale di due medaglie olimpiche. Il rispetto è cosa facile e diventa quasi gratitudine.

Davanti a Juan si muove il Comandante Susanne (è strano che le due parole suonino antitetiche: come se una che si chiama “Susanne” non possa fare il “Comandante”, e invece la realtà dimostra che si, eccome!). La prima a salire, l’ultima a scendere, tutte le attenzioni possibili sulla barca. Come può essere altrimenti? Beyer ha restaurato e vissuto sul Tirrenia II e ha scritto nel suo libro (da leggere: La Scia di Penelope, Nutrimenti) che poteva ascoltare il respiro della barca, sentire le sue richieste, una cima da mollare, un’ancora che ara, un marinaio che rientra piano la notte e lei sa su quale pagliolo sta posando il piede, quale rubinetto apre e quanta acqua c’è ancora nelle casse... Le movenze del Comandante su Sirius hanno quella stessa impostazione, vengono da laggiù. Susanne in regata è alla randa, ma tutti i suoi sensi sono vigili per ogni pezzo di barca. Sotto all’attacco di una volante il fasciame tende ad alzarsi lievemente, le maniche a vento sotto l’albero restano chiuse nella tela protettiva, se cade un bozzello sulla tavole della cuccetta lei lo sente e ti dice “non tirate”, appoggiate. Le manovre in porto sono sue, uscita e rientro. Non proprio una passeggiata, con questa barca, grandi giravolte e lavori di invertitore per infilarsi all’ormeggio. E prima, quella delicata ma intransigente battaglia per la coda all’ingresso di Santa Lucia, vietato sorpassarla. Come a impedire che anche una piccola ingiustizia possa infrangere quell’equilibrio di perfezioni, bellezze e storie di mare, raccontate e da raccontare, che lei “comanda”. Viene da chiedersi chi comandi davvero: Susanne o la barca?

E Umberto che riesce anche a fumare e chissà come fa e tiene sotto controllo tutte le manovre, e i prodieri che girano tutto a modo, e il volantista silenzioso che a ogni virata tiene su l’albero, e Andrea, che bravo e che bello, che dolce la sua timonata, un ragazzo di gentilezza d’altri tempi (o forse di gentilezza velica), che a fine giornata ti ringrazia persino per essere stato ospite a bordo. Quanto valgono quattro ore su questa stella.

Spero di avervi fatto capire un po’ l’origine e il senso di quell’insieme che, verso le 13:55 di sabato 29 giugno 2013, fradicio di onde e sdraiato sulla murata di Sirius, 76 anni dopo la sua costruzione, su un mare blu scuro tutto puntellato di crestine bianche, nell’ultimo lato verso l’arrivo si è trasformato in uno di quei rari e preziosi sussulti di gioia, purissima e quindi commovente. Per essere sul mare, su una barca curata come un essere vivente, arrivata da lontano per andare ancora più lontano, con persone dolci e salate. Per l’ennesima prova che alle barche basta dare amore per riceverne. E dopo quattro ore così è bello credere che possa valere anche con le persone.

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