
Temo proprio che l'ISAF stia dimostrando di brancolare nel buio. Lo dico nel rispetto dell'ente e delle sue funzioni: forse la burocrazia e alcuni iter decisionali un po' farraginosi stanno facendo danni gravi. Guardiamo alle recenti decisioni in tema di Olimpiadi. Cambiare così radicalmente "logica" agli eventi/classi della vela olimpica, a due anni da Londra 2012, è un segnale di debolezza e di indecisione. E', inevitabilmente, anche il disconoscimento delle scelte fatte dallo stesso ente qualche mese addietro. Col risultato di creare confusione e incertezza in un intero mondo sportivo che si muove per cicli di programmazione, e che di fatto sta già preparando gli atleti per le Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016 o forse Roma 2020, senza sapere se le medaglie arriveranno da un windsurf o da un kitesurf.
Non è un paradosso che lo status olimpico della vela, la nobile e antica disciplina ai Giochi dal 1900, potrebbe essere salvato dal Kitesurf. Non c’è niente di male, e forse è l’unica “vela” che davvero fa spettacolo sulla spiaggia (una delle richieste del CIO all’ISAF, a quanto pare), quindi prima di gridare allo scandalo, respiriamo e contiamo fino a dieci.
C'è, da tempo, una contraddizione troppo evidente per non essere sottolineata: l'ISAF si dibatte nel timore che la vela esca dalle Olimpiadi eppure continua a mischiare le carte in tavola puntando a mantenere inalterato il numero (troppo elevato) delle attuali classi olimpiche. Sarà un caso che le menti più lucide dello yachting mondiale da anni ripetono che 5-6 classi sarebbero più che sufficienti per la vela ai Giochi? E che queste 5-6 classi dovrebbero rappresentare le aree agonistiche del nostro sport (tavole, singolo, doppio, acrobatico e chiglia, magari con un equipaggio un po' più numeroso)?
Ci vorrebbero prese di posizione importanti a livello nazionale e mondiale, non solo per appoggiare questa o quella classe (e quindi questo o quel cantiere) ma per indicare una strada: insomma fare gli interessi della vela e non di una parte commerciale. Interventi di personaggi indipendenti e con una visione storica, capaci di interpretare il passato, il presente e soprattutto il futuro dello sport e quindi della vela nel movimento olimpico. Bisogna suscitare un dibattito aperto e profondo.
Quanti eventi e quante classi dovrebbero rappresentare la vela alle Olimpiadi? Con quale logica di rappresentatività agonistica di una disciplina sportiva? Quanto deve contare il talento e quanto la tecnologia? Come la vela può rispondere alle esigenze sempre più pressanti del CIO che chiede spettacolo e pubblico pagante, azione ed emozioni televisive, senza snaturare la propria essenza di corsa sulle onde spinti dal vento?
Non è un paradosso che lo status olimpico della vela, la nobile e antica disciplina ai Giochi dal 1900, potrebbe essere salvato dal Kitesurf. Non c’è niente di male, e forse è l’unica “vela” che davvero fa spettacolo sulla spiaggia (una delle richieste del CIO all’ISAF, a quanto pare), quindi prima di gridare allo scandalo, respiriamo e contiamo fino a dieci.
C'è, da tempo, una contraddizione troppo evidente per non essere sottolineata: l'ISAF si dibatte nel timore che la vela esca dalle Olimpiadi eppure continua a mischiare le carte in tavola puntando a mantenere inalterato il numero (troppo elevato) delle attuali classi olimpiche. Sarà un caso che le menti più lucide dello yachting mondiale da anni ripetono che 5-6 classi sarebbero più che sufficienti per la vela ai Giochi? E che queste 5-6 classi dovrebbero rappresentare le aree agonistiche del nostro sport (tavole, singolo, doppio, acrobatico e chiglia, magari con un equipaggio un po' più numeroso)?
Ci vorrebbero prese di posizione importanti a livello nazionale e mondiale, non solo per appoggiare questa o quella classe (e quindi questo o quel cantiere) ma per indicare una strada: insomma fare gli interessi della vela e non di una parte commerciale. Interventi di personaggi indipendenti e con una visione storica, capaci di interpretare il passato, il presente e soprattutto il futuro dello sport e quindi della vela nel movimento olimpico. Bisogna suscitare un dibattito aperto e profondo.
Quanti eventi e quante classi dovrebbero rappresentare la vela alle Olimpiadi? Con quale logica di rappresentatività agonistica di una disciplina sportiva? Quanto deve contare il talento e quanto la tecnologia? Come la vela può rispondere alle esigenze sempre più pressanti del CIO che chiede spettacolo e pubblico pagante, azione ed emozioni televisive, senza snaturare la propria essenza di corsa sulle onde spinti dal vento?
Commenti