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04/10/2012 - 12:19

E dopo Weymouth? - 3

L'equipaggio delle ragazze spagnole, oro nel Match Race: loro si che ci hanno visto lungo...

Visti i risultati classe per classe, e ingoiato il rospo delle zero-medaglie, per i dirigenti della FIV, e per primo il presidente Carlo Croce, c’è l’obbligo - politico ancor prima che tecnico e morale - di effettuare un’analisi approfondita, individuare gli errori e porvi rimedio



Vedete come passa velocemente il tempo. Scrivere Weymouth sul titolo di questo post lo rende apparentemente già vecchio, quasi preistorico. Eppure l’analisi dei risultati della vela azzurra alle Olimpiadi di Londra 2012 si può ancora fare, anzi si deve. Tanto più per l’assordante silenzio nel quale l’argomento è tenuto da tutto lo stato maggiore federale, dalla presidenza a tutti i consiglieri (anche perchè il clima pre-elettorale consiglia tutti a grande prudenza e pretattica, nessuno si pesta i piedi almeno non alla luce del sole, e tutto resta apparentemente immobile). Ma se il tempo corre per la parola Weymouth, corre per tutto e tutti. Anche per chi oggi siede in Consiglio e domani (tra poco) resterà a casa. Anche per chi oggi sta decidendo il proprio futuro in questo sport - da atleta, da tecnico, da dirigente - ed è giusto che abbia delle risposte.

Tra pochi giorni usciranno gli articoli delle riviste specializzate (non sono tante quelle rimaste in piedi sia pur traballanti, ma bisogna sostenerle) e vedremo quale approccio avranno al dopo-Olimpiade. Non ci interessa sapere se pioveranno critiche o polemiche, speriamo solo in un valido approfondimento che alimenti il dibattito necessario. Il CONI, per mano di Lello Pagnozzi (probabile successore di Petrucci alla guida dello sport) ha tracciato un debriefing, insistendo sulle difficoltà per tutti gli sport nel trovare giovani talenti, anche per ragioni sociali oggettive, come la crisi economica che in Italia è più grave e l’innalzamento dell’età media, che fa diminuire la popolazione giovane, serbatoio dello sport.

UN ESEMPIO: IL PANEL DI ESPERTI NOMINATO NEGLI USA DA GARY JOBSON
Nella vela, ampi dibattiti sul dopo Weymouth si sono visti negli USA (per loro la sconfitta è stata ancor più bruciante: zero medaglie non accadeva da Berlino 1936, e sono il paese che ha vinto il maggior numero di medaglie nella vela, ben 59), con il presidente Gary Jobson che ha rinunciato alla rielezione e ha dichiarato nelle interviste di “essere sorpreso e dispiaciuto”, e ha addirittura nominato un panel di esperti indipendenti (cioè non coinvolti politicamente o professionalmente nel tema: ne fanno parte alcune vecchie conoscenze di ogni età e grado, come Ed Adams, atleta, due volte olimpico e notevole talento, Andrew Campbell atleta Laser olimpico nel 2008, Andrew Kostanecki, dirigente della vela olimpica nel 1988: 5 medaglie vinte, Bill Martin, ex presidente della federvela USA, Jack Mathias, ex olimpico in FD nel 1976, Jonathan McKee, oro FD nel 1984 e bronzo 49er nel 2000... ) con l’incarico di fare una approfondita revisione dei risultati di Weymouth e mettere insieme dei suggerimenti e delle linee guida da sottoporre al nuovo Board Of Directors che si insedierà il 24 ottobre. Questo negli USA. In Italia, sponda FIV, tutto tace.

In attesa di un panel di esperti anche da noi (il passo indietro elettorale è inutile chiederlo), sento il dovere da giornalista specializzato di continuare l’analisi avviata nei due articoli precedenti. Questa volta andiamo a vedere dentro alle singole Classi. Seguiremo un percorso crescente in funzione dei risultati.

ELLIOTT 6 E MATCH RACE FEMMINILE (ITALIA = ASSENTE)
Partiamo dal Match Race Femminile. La spagnola Tamara Echegoyen che ha vinto l’oro nel match race a Weymouth, grandissima sorpresa che ha battuto le superfavorite inglesi, australiane, americane, finlandesi, francesi, russe, appena 28 anni, ha un curriculum che in Italia farebbe ridere di sarcasmo: ha vinto 2 europei e 3 mondiali nella classe...Vaurien! E pensare che proprio in quella classe noi italiani da anni abbiamo talenti in evidenza: qualcuno se n’è accorto?
Altre chicche sulla Echegoyen (la Spagna a Londra 2012 ha vinto 3 ori - due dei quali dalla vela.. -, il suo è stato il terzo): nel 2009 lei e le sue compagne sono arrivate quinte al campionato spagnolo di match race! Quinte, e fuori dalla squadra di interesse olimpico. Non si sono arrese, hanno lavorato sodo trasferendosi tutte in Galizia e l’anno dopo hanno vinto il titolo, sono entrate in squadra, hanno finalmente provato l’Elliott 6, e sono finite al centro di alte prestazioni di Santander. Solo un anno dopo a Helsinki hanno vinto l’europeo. L’allenatore Antonio Otero parla di loro come “affamate” di imparare e migliorare sempre. La qualifica olimpica per nazione non è semplice: fallita a Perth, arriva solo a Key Biscayne (Miami) nel febbraio 2012 (in palio 3 posti tra 9 nazioni partecipanti, loro sono arrivate seconde, battute 3-0 in finale dalle finlandesi): da notare che la Federvela spagnola non aveva ancora chiuso le selezioni interne. Poi una stagione di alti e bassi in coppa del mondo, fuori dalle migliori 8 al mondiale, fuori ai quarti alle preolimpiche di Weymouth. Poi lo strepitoso oro, che ha ribaltato le gerarchie e dimostrato che nella vela tutto può sempre accadere, volendo.

Questa era a tutti gli effetti una classe olimpica, eppure l’Italia ha scelto di rinunciarvi a priori, subito, all’inizio del quadriennio. Fosse stata almeno una decisione immediatamente definitiva, avremmo risparmiato qualche euro. Invece si sono acquistati alcuni Elliott 6, svogliatamente e senza un programma, e si è atteso che qualche timoniera ed equipaggio si mettesse in evidenza, come per miracolo. Si è capito tutto al CICO di Formia, quando la finale non venne disputata perchè si ruppe un timone e non ve n’era uno di rispetto. Si può anche essere daccordo sulla scelta di non investire sul match race che non sarebbe rimasto specialità olimpica. Ma allora perchè comprare le barche?

STAR (ITALIA = ASSENTE)
Più o meno nel periodo nel quale la Echegoyen arrancava al quinto posto del campionato nazionale, la Star di Diego Negri era sesta al Mondiale di Miami (4° posto per nazione). Diego è un velista serio e bravo, un lavoratore e tra i più esperti del gruppo azzurro della vela olimpica. Poteva essere un nome sul quale puntare, invece resterà l’esempio funesto di un quadriennio finito (come sappiamo) malissimo. Dopo l’addio al prodiere Luigi Viale (buon quandriennio e discreta Olimpiade a Qingdao), il finanziere si è trovato abbandonato in una transizione difficile: ha cambiato almeno 5 volte prodiere (Luca Devoti, Valerio Chinca, Gianni Stilo, Nando Colaninno), prima di trovare stabilità con Enrico Voltolini solo un anno e mezzo prima dei Giochi (e comunque in tempo per vincere un Europeo). Non occorre qui rivangare le ragioni, le persone e le polemiche: resta solo il fatto oggettivo di un patrimonio della nostra squadra lasciato a depauperare, fino all’epilogo della mancata qualifica per nazione. In questa vicenda non c’è niente che possa far pensare al solito “terno al lotto”, e tanto meno si intravede un barlume di quella volontà crociana, espressa a parole, di mettere l’atleta al centro dell’attenzione, e in condizione di potersi concentrare solo sulle regate. Senza considerare che, se la Star italiana per la prima volta dal 1932 è assente dalle Olimpiadi, un pezzo grave di responsabilità ce l’hanno le famigerate selezioni chiuse oltre un anno prima, che hanno tolto ai vari Bruni, D’Alì, Celon o Santoni la voglia e la possibilità di concorrere a conquistare il posto alla nazione.

RSX MASCHILE (ITALIA = 34° SU 38)
Come (e perchè) si è lasciato dissolvere un atleta di speranze come Fabian Heidegger, olimpico giovanissimo a Qingdao (che ancora solo nel 2010 era 5° all’europeo e a maggio dello stesso anno era 4° nella ranking mondiale), finito fuori dai Giochi, con ufficiale abbandono dell’attività agonistica e persino congedo dalla Marina Militare? Come si è arrivati a un tale disastro da parte di una federazione che tanto dichiarava di pensare al bene dei suoi atleti? Le spiegazioni sono in parte banali: la solita storia dell’atleta che vorrebbe seguire un suo piano di allenamenti (nel caso di Fabian tutto basato su Israele, dove ha amici e fidanzata, e dove purtroppo si è pure infortunato al ginocchio cadendo dalla bici) e le forzature FIV per una preparazione condivisa con la squadra. Forse in questo caso è mancato l’atleta, la voglia, il carattere, forse Fabian ama davvero più la musica (il suo sogno è incidere un disco Reggae) che le regate. Di sicuro però, anche in questo caso, le rigidissime selezioni italiane hanno fatto assai più male che bene. Heidegger è arrivato ancora convalescente per l’infortunio a Palma, e poi a Hyeres ha alzato definitivamente bandiera bianca (anche discretamente arrabbiato). Con innegabile vena autolesionistica ci si è privati delle potenzialità da Medal Race dell’altoatesino, e si è andati a Weymouth col simpaticissimo Federico Esposito (lui si che ha trovato il suo terno al lotto) che si è battuto da par suo ma ha chiuso quintultimo. Una storia stortissima: sarà anche per questo che nessuno in FIV sente il bisogno di fare analisi approfondite?

FINN (ITALIA = 22° SU 24)
L’allegra comitiva dei finnisti azzurri si è presa un ampio biennio di semilibertà da programmi di preparazione ben definiti. Diciamo che si è preso tempo. Diciamo che si è creduto poco di poter valorizzare il materiale umano. Risultato, una girandola di atleti e tecnici senza capo nè coda. Prima Mankin che lavora con Poggi, Cordovani che si danna l’anima ma nessuno se ne accorge, Voltolini che ha tanta buona volontà (e almeno quella sarà notata da Diego Negri per la sfortunata fase finale della campagna olimpica), solo dal terzo anno fanno la loro comparsa sulla scena Michele Paoletti e Filippo Baldassari. Poi Ghione che si dedica ancora a Poggi e un po’ anche a Baldassari, che nel frattempo ha fatto capire di volerci mettere l’anima. Infine arriva Luca Devoti, gran personaggio e argento a Sydney 2000, a seguire la fase delle selezioni. In corsa oltre a Giorgio Poggi (già azzurro a Pechino 2008, fu 11° a un millimetro dalla Medal Race), ci sono il semi-professionista Michele Paoletti, triestino di classe e di testa, e l’outsider (non fosse altro che per la giovane età) Filippo Baldassari. Devoti organizza lunghe sessioni di allenamenti a Valencia (dove vive) con parecchi finnisti stranieri della sua “scuderia”, e la squadra azzurra cresce. Al momento delle selezioni nel 2011, Poggi, Paoletti e Baldassari se le danno di santa ragione e quasi senza accorgersene si ritrovano a regatare spesso in alto. Dopo Palma il duello sembra solo tra Poggi e Paoletti, che sono alla pari (dopo un 12 e un 13), con Baldassari poco più indietro. Ma poi il marchigiano azzecca la Medal a Hyeres (10), incassa i punti determinanti (il punteggio delle famose selezioni secche prevede un premio per chi entra nei primi 10...) e spaventa gli ignari Paoletti e Poggi (che rompe pure la barca). La volata finale a Riva del Garda parte con Baldassari a 51 punti, Paoletti a 43 e Poggi quasi fuori a 19. Filippo li gestisce in una Medal di marcamento e si ritrova a Londra 2012 dopo soli due anni e mezzo di Finn! Ciò che è accaduto dopo è un intruglio nebuloso. Prima Devoti che lascia per impegni in Coppa  America (lo sostituisce per un po’ Pierluigi Fornelli, Fiamme Gialle), poi però torna e ipnotizza col suo carisma il baby Baldassari, che a Valencia cresce molto (sotto tutti i punti di vista, anche quello fisico, prendendo molto peso e massa muscolare) seguendolo come un guru, e migliora talmente da sfiorare il podio all’Europeo 2012. Infine il patatrac finale, degno della kafkiana vela azzurra (e qui altro che Nuova FIV), con il tecnico-guru che spinge l’atleta-baby a scelte tecniche estreme (nuova vela mai provata) proprio il giorno prima della prima regata olimpica. Baldassari non trova più Baldassari, il rapporto tra il baby e il Guru si guasta, i due si ignorano platealmente sui piazzali del centro olimpico, la classifica affonda. Solo nelle ultime due giornate, rotto il cordone ombelicale e assettata alla meglio la nuova vela, Filippo regata da quindicesimo posto.
Un anno fa scrivemmo che Baldassari poteva essere un “progetto”. Poi è andata così. Adesso non basta riassumere che, comunque, nel Finn non eravamo da medaglia. Un “progetto” passa anche per un 15° posto invece che un terzultimo da separati in casa. E’ un altro esempio di atleta tutt’altro che tutelato. Di parole cui non sono seguiti i fatti, anzi.

LASER MASCHILE (ITALIA = 35° POSTO SU 49)
Nella classe che ci aveva regalato una medaglia quattro anni fa, siamo riusciti nell’impresa di proporre qualcosa di lontanissimo da ogni prospettiva, se non quella di regalare un pur meritato premio alla carriera del bravo Michele Regolo. Soprattutto abbiamo messo cortesemente alla porta Diego Romero, l’artefice del bronzo di Qingdao, che se non come atleta sarebbe stato utilissimo come tecnico. Risultato: si è letteralmente perso un quadriennio. Una sola domanda: perchè? Un’analisi sincera sarebbe l’unica base seria dalla quale ripartire, anche considerando che inizia un quadriennio delicato che vedrà il confronto tra gli ultimi fuochi di una generazione (Marco Gallo) e le grandi speranze nascenti (Francesco Marrai, Giovanni Coccoluto), ai quali sarà decisivo dare subito una tabella di marcia credibile.

LASER RADIAL FEMMINILE (ITALIA = 19° POSTO SU 41)
Francesca Clapcich non ha avuto rivali per la selezione, ha colto una qualifica tutto sommato agevole, e ha fatto l’Olimpiade che ne ha espresso i solito pregi e difetti. Soprattutto la questione della mancanza di continuità, con giornate inquietanti come 24-7, oppure 9-27. Del resto, come chiedere continuità a una atleta se è proprio ciò che è mancato nella preparazione? Anche in questa classe infatti non è mancato il teatrino del cambio di allenatore, almeno tre, con passaggio finale da Larissa Nevierov a Francesco Caricato nei 12 mesi finali prima di Weymouth.

RSX FEMMINILE (ITALIA = 9° POSTO SU 26)
Quello che mi irrita maggiormente del dopo-Weymouth costruito intorno ad Alessandra Sensini è quest’aria di grandi saluti, ringraziamenti, addii. E, come il presidente Croce continua a ripetere, la considerazione che la grande campionessa semplicemente non sia stata lei, non abbia imbroccato la settimana giusta, soprattutto di testa.
Primo: chi autorizza a salutare l’attività agonistica della Sensini? Se dovessero riammettere il Windsurf a Rio 2016 secondo voi non ci riproverà? Secondo: stiamo parlando di una leggenda delle Olimpiadi (nessuna velista ha vinto quanto lei, quattro medaglie in 6 edizioni), che è sempre stata anche un meccanismo straordinariamente complesso e delicato. Le sue medaglie sono drammatiche, come la bellezza di certe vittorie con distacco: dal bronzo di Savannah 1996 agguantato nel finale, all’oro di Sydney 2000 nella volata riprendendosi addirittura da una caduta in mare, al bronzo di Atene 2004 al culmine di tensioni altissime e gettando al vento l’oro, all’argento di Qingdao 2008 che sarebbe stato oro in qualunque altra nazione che non fosse la Cina... Un gioiello così brillante e fragile richiede gestioni da mastri orafi, e forse, logorati prima De Pedrini e poi Ghione (che pure era lì sul solito gommone a fare il suo), stavolta è mancata a tutti una dose decisiva di leggerezza. Poi mettiamoci l’infortunio preolimpico, la tavola assegnata difettosa e cambiata, la vela capricciosa. Non facciamone un brutto finale: l’epopea della Sensini ha prodotto la scuola di windsurf femminile migliore al mondo, e le selezioni lo hanno dimostrato.

49er (ITALIA = 9° SU 20)
Fino al 2011 inoltrato avevamo il migliore equipaggio al mondo. Per ranking, classe, esperienza, rabbia dopo il 2008. Poi un piccolo grumo di venuzze, un angioma congenito nell’organismo, ha spezzato l’incantesimo. La storia di Pietro Sibello è arcinota e non ci torneremo, se non per ricordare che il timoniere sta benissimo ed è in piena attività, dal Moth volante al 49er delle Fiamme Gialle, col quale ha tutta l’intenzione di guardare a Rio 2016, con Pietro Zucchetti a prua e il fratello Gianfranco quale allenatore. Se la medicina e la burocrazia medica non si metteranno di traverso, il dream team può riproporsi. Quanto fatto a Weymouth da Peppe Angilella e Gianfranco Sibello è notevole, ma anche il frutto di un lavoro di emergenza. La classifica e il podio dimostrano che la giovane età e il talento, se ben guidati, portano in alto. E la nostra bestia nera Danimarca è ancora una volta a medaglia.

470 FEMMINILE (ITALIA = 5° SU 20)
Un anno fa a Weymouth ho chiesto a Giulia chi fosse la sua avversaria di riferimento, la sua favorita. Mi rispose: la neozelandese, Jo Aleh. E la kiwi ha vinto la medaglia d’oro, battendo pure le inglesi che ci tenevano tanto... G&G, Giulia Conti e Giovanna Micol, che belle e che forti, e perchè ci avete fatto (di)sperare ancora una volta? Arrivati a certi livelli resta difficile parlare di preparazione e di allenatori, ci si immagina fuoriclasse che vincono europei e podi mondiali, sempre tra le prime a ogni boa e ogni campionato, che lasciano la Marina Militare per accasarsi al luccicante Circolo Aniene... Ci si immagina uno staff, che lavora sui dettagli. Poco importa che anche G&G abbiano vissuto il trauma (bene o male) del cambio di allenatore, chiuso un settennato di grafico sempre crescente con il senatore Guglielmo Vatteroni (spostato a fare il Team Manager) e aperti i 12 mesi finali con il paziente e giovane Gigi Picciau, che ha vissuto gran parte del quadriennio nel tessuto connettivo dei lunghi allenamenti a Cagliari. La chiave di questa medaglia che stava lì, vicinissima e alla portata, e invece è mancata, stavolta sta solo in un giorno. Uno solo, quello con due sedicesimi posti. Un 18° (penultimo) e persino un 20° (ultimo, pensate) se lo sono permesso anche i tre equipaggi finiti a medaglia. Ma due sedicesimi nello stesso giorno, quelli no, sono troppo. Dunque una sola giornata storta ha privato due brave veliste e l’Italia intera di una medaglia che non era un sogno. Tutto questo però deve insegnare qualcosa: a Giulia (che ci riproverà per Rio 2016 anche se forse con un’altra classe e quindi ricominciando tutto da zero: pensaci bene!) e allo staff federale: dove non basta neanche il talento, serve il furore. Quel furore che ti fa restare concentrata come uno zombie, pensando a una sola cosa: salire uno di quegli scalini alla fine della settimana. Ecco il punto: quando hai un’atleta forte, una fuoriclasse, una davvero da medaglia, la devi conoscere a tal punto da sapere quali ingredienti mancano e come reperirli. A una velista geniale e istintiva come Giulia, continua a mancare qualcuno che la aiuti a completare il cocktail letale (per gli avversari).

470 MASCHILE (ITALIA = 4° SU 27)
Pochi giorni prima che iniziassero le regate del 470, Francesco de Angelis (che commentava per SKY) mi ha chiesto qualche previsione sugli azzurri, e io gli ho risposto che stavolta puntavo tutto su Zandonà. Mi sono chiesto anch’io da dove venisse quella convinzione “sensitiva”, rivelatasi giusta. E mi sono risposto: da quell’infinito cocktail di ingredienti che è l’Olimpiade della vela. Che alla fine ti stordisce un po’, come succede in una giornata di mare con tanto sole, onde in faccia e vento nelle orecchie. Da quell’apparente stordimento emergono delle chiarezze, delle verità. Gabrio Zandonà e Pietro Zucchetti venivano da un quadriennio opaco, e da un biennio finale disperante, piazzamenti sempre anonimi nonostante gli sforzi evidenti e provandole un po’ tutte. Non che mancassero i segnali di conferma della bravura di Gabrio. O l’impegno. Certo c’è stata la solita confusione, vari cambi di prodiere perchè c’era da gestire il dopo-Andrea Trani, cambi anche di allenatore, di metodo, di località. Prima di trovare una parvenza di abitudine che comunque è servita a costruire la base solida per l’accelerazione finale. Un cambio di registro appena percepibile da fuori, ma avvertito chiaramente, come poi si è visto in acqua. E’ scattata una molla, questo è sicuro, e forse sarà un caso o forse no, mentre scattava Z&Z erano sotto la giurisdizione tecnica del DT Luca De Pedrini. Ora di Luca si può dire tutto, tranne che non sia uno straordinario organizzatore mentale, motivatore e curatore dell’insieme tempistico-strategico-tecnico-psicologico che contorna un atleta olimpico di vertice. L’ha fatto con la Sensini (ricevendone in cambio esperienza da rivendere), l’ha ripetuto a Qingdao con i Sibello (ricevendone in cambio una sberla dal destino), l’ha rifatto in 6 mesi di Zandonà e Zucchetti, presentando sul mare di Weymouth una vera mina vagante da medaglia, grazie anche ai due velisti che hanno saputo gestire il processo e arrivare tirati a lucido, come alla loro festa. Per una volta la chimica perfetta, cui si è aggiunta anche un pizzico di quella fortuna che aiuta i giusti (la rimonta clamorosa favorita da un gran salto di vento, da ultimi a ottavi nella settima prova). Quello che mi ha colpito è che tutto questo non sia stato concepito come miracoloso o frutto di particolari alchimie: semplicemente era normale, una barca con due velisti in forma e veloci che poteva vincere una medaglia e ha provato a farlo, senza far pesare niente a nessuno. Una maturità agonistica che deve essere il punto di arrivo di un progetto su ogni atleta. Certo resta l’amaro del bronzo sfuggito per un soffio, per di più andato a due simpatici argentini che si allenano a Sanremo con un tecnico italiano (Andrea Mannini) e utilizzano vele Zaoli. Suona un po’ di beffa. Ma è anche il messaggio dello sport olimpico.
C’è una domanda interessante, che giro all’intera dirigenza federale: sinceramente, chi di voi si aspettava davvero un Gabrio Zandonà da medaglia?

COSA NON HA FUNZIONATO?
Visti i risultati classe per classe, e ingoiato il rospo delle zero-medaglie (come ricordato, non accadeva dal 1992), è evidente che per i dirigenti della FIV, e per primo il presidente Carlo Croce, c’è l’obbligo - politico ancor prima che tecnico e morale - di effettuare un’analisi approfondita, individuare gli errori e porvi rimedio. Ho citato il caso degli USA, dove persino un presidente uscente sta creando i presupposti per una disamina dettagliata che sia di aiuto ai successori. Da noi, visto che Croce va verso la conferma da presidente FIV (cui si aggiungerà anche la presidenza ISAF, auguri), questa esigenza è ancora più doverosa. Un esame sereno, duro, trasparente, aperto ai contributi delle eccellenze sul tema (che non ci mancano): solo individuando e correggendo gli errori si può migliorare, questo vale per tutti, dal primo giorno all’Asilo. Figurarsi per una Federazione di Sport Olimpico. Centomila tesserati FIV pretendono questo esame. Possibilmente entro la metà di ottobre, cioè 60 giorni dopo la fine delle Olimpiadi.
Entro quella data, comunque, noi faremo il nostro esame, coinvolgendo il maggior numero di addetti ai lavori e interessati, per la quarta puntata del nostro Dopo Weymouth.

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