PROFILO

15/07/2014 - 16:09

Dalla Finibus terrae a Cefalonia.

Festa a sorpresa nel porto di Gallipoli

Nello Ionio si comincia a sentire profumo di Grecia. Un’ultima sosta sulla costa pugliese, ancora tra orrori e meraviglie del nostro paese, poi la traversata, da Gallipoli a Cefalonia
 

Dopo una grande faticata e una notte insonne, dormire dà una sensazione diversa dal solito. E’ un sonno più profondo, più intenso, ma soprattutto più goduto. E la sveglia suona sempre troppo presto. La mattina salgo sulla bicicletta pieghevole, raggiungo la stazione, piego la bicicletta, che sarà il mio tassì anche a Potenza, e salto sul treno delle 9,41. Sono di nuovo ‘terricolo’ per un giorno.

Il viaggio in treno, un regionale, è fantastico. La sua lentezza permette di assaporare tutte le bellezze dei paesaggi che percorrono le rotaie. Quasi come navigando a vela. In un epoca in cui tutti vogliono correre, trovo sia invece necessario rallentare. 

Una volta passato lo shock che si prova attraversando la zona a nord di Taranto, cementificata e inquinata dall’Ilva, la costa tarantina incanta per la sua bellezza, con le sue lunghe spiagge bianche lambite da una folta e selvaggia macchia mediterranea. Poi la ferrovia s’inoltra in mezzo a rilievi montuosi dalla natura rigogliosa, quelli pugliesi e  poi quelli lucani. 

Potenza. Esami. Con la nuova legge per tutti gli allievi del conservatorio è obbligatorio fare un “esame di promozione” alla fine di ogni anno. Prima lo dovevano fare solo quelli che non superano la votazione di otto decimi. Ora anche i più bravi devono perdere tempo a preparare un esame inutile. Che si risolve poi in un pro forma, in una barzelletta. Da quando ho cominciato a studiare in conservatorio a oggi non c’è stata una riforma, dico una, che non l’abbia peggiorato, invece di migliorarlo. Quando ancora studente andavo all’estero e dicevo che studiavo al conservatorio di S.Cecilia a Roma ci mancava poco che facessero le genuflessioni. Tale era il suo mito nel mondo. Ora, grazie alle varie ‘riforme’, lo studio nei conservatori italiani è diventato quasi una pagliacciata. Comunque gli esami vanno più che bene, e commuove vedere la squadra dei piccoli violoncellisti, uniti e orgogliosi per i risultati, l’uno per l’altro.

In serata sono di nuovo a Taranto. Sulle brutture e sul degrado di questa città direi che non è il caso di soffermarsi. Invece c’è da elogiare il museo archeologico, riaperto quest’anno dopo i lavori di ammodernamento. Penso sia la cosa di cui i tarantini possano andare più orgogliosi. E i tarantini invece non ne sanno neanche l’esistenza. Soprattutto i ragazzi, a cui chiedo informazioni per raggiungerlo. E niente nel loro sguardo, nel loro atteggiamento tradisce una pur minima curiosità. Alcuni troppo impegnati a sciacquarsi il cervello con la musica pop nelle cuffiette. La “boom-boom-music”. Omni presente.

Le prime sale del museo sono quelle più preziose, quelle dedicate al periodo greco, con dei bellissimi reperti. Si comincia a sentir aria di Grecia sulla mia rotta. Il confronto con l’epoca successiva mette in risalto, come sempre, la maggiore eleganza dei manufatti ellenici rispetto a quelli romani. Arriva da così lontano il senso estetico che i greci dimostrano tutt’ora nella cura delle loro isole? E’ rimasto intatto nel Dna per secoli, pur attraverso tutte le contaminazioni? 

Ma prima del museo, una passeggiata in bicicletta aveva rivelato un’altro aspetto interessante di Taranto: la zona pedonale nel centro città. I tarantini l’affollano a tutte le ore del giorno e della notte. Sulla via principale attrae la mia attenzione una piccola, antica libreria. Entro dentro, anche per chiedere se hanno il mio libro. Ma con poche speranze, date le dimensioni del locale. Il proprietario, Aldo Mandese, mi dice che la sua è una delle quarantasette librerie storiche d’Italia. Il nonno di Aldo pubblicava enciclopedie, e alla fine dell’Ottocento cedette le sue opere alla Utet. Controlla sul computer: il mio libro non c’è, ma lo incuriosisce e mi promette che d’ora in poi non mancherà nella sua libreria. Non solo, gli piacerebbe organizzarne una presentazione in autunno. Chissà, potrebbe coincidere con la rotta del ritorno. Penso a quante adesioni avrei raccolto con il progetto originario di fare il giro delle coste italiane per pubblicizzare il libro. Ma c’è il meltemi, il vento amico che mi aspetta.

Avevo deciso per una cena in barca, perché l’anno scorso non avevo trovato un buon ristorante. Ma sono sicuro che quel simpatico libraio può darmi una buona dritta. Infatti: Al Canale. Orata al forno con patate e pomodorini. Piatto usuale, semplice, ma il pesce è fresco e l’intingolo molto buono. Stasera mi concedo anche un dolce. L’ho visto passare, è una mini porzione. A occhio sette centimetri di diametro di colesterolo. Si può fare. Ma che dolce. Uno che merita anche il bis: semifreddo alla vaniglia con granella di mandorle e caramello.
Basta un bel museo, una vecchia libreria e un buon ristorante per far pace con una città. “Il nostro errore più grande è quello di cercare di destare in ciascuno proprio quelle virtù che non possiede, trascurando di coltivare quelle che ha”. Non c’è città, luogo, persona, che non abbia qualcosa di bello, dentro. E qualcosa da cui imparare.

Per uscire dal Mar Grande, il porto naturale di Taranto, ci vuole un bel po’, e ho vento contro. Ma una volta uscito, metto la prua a sud est e procedo di bolina. Quando gli strumenti segnano vento a 40° da dritta tra i dodici e i quattordici nodi Denecia è felice. Si stabilizza sui sei, sei nodi e mezzo in una tranquilla e rilassante bolina. Quando sottocoperta non c’era ancora una casa intera, in queste condizioni navigava anche a oltre sette nodi. Ma si sa, la vela, come la vita, è un compromesso. Comunque, non è detto che in un futuro non riesca ad alleggerire ancora di più la mia esistenza. E con essa la mia barca-casa. 

A tre miglia da Gallipoli mi tocca accendere il motore per aumentare la velocità. Non perché sia calato il vento, ma perché il nostromo della Lega navale mi dice che devo arrivare entro le sette, altrimenti non potrò ormeggiare. La navigazione sarà interdetta per una tradizionale manifestazione religiosa: dal bel mezzo delle acque del porto uscirà una statua della madonna a rievocare un miracolo avvenuto una cinquantina di anni fa. 
Così mi godo lo spettacolo, che è proprio davanti a dove ho ormeggiato, comodamente seduto sul pulpito di prua. Che bello quando navigando si approda nel bel mezzo di una festa. C’è tutta Gallipoli stipata attorno al porto che aspetta. Dalla chiesa della Madonna del canneto che è sul molo si sente il prete fare gorgheggi per provare il microfono. Per tutto il porto si spande l’odore dell’incenso. In mezzo all’acqua ci sono una ventina di sub e una decina di canoisti, tutti con le fiaccole, disposti in cerchio. Ed ecco che in mezzo a loro, in un tripudio di applausi e canti religiosi, emerge piano piano la statua della madonna. Poi viene trascinata dai sub fino all’approdo dei pescatori, che la sollevano a terra e la trasportano in chiesa.

Esaurite tutte le Ave Maria, mi immergo nella bolgia che c’è per i vicoli del borgo antico. Gallipoli già da qualche anno è diventata la meta preferita dagli italiani che cercano un posto modaiolo. Qui il programma è: ammassarsi in spiaggia durante il giorno, il più possibile vicino agli altoparlanti che diffondono “boom-boom-music”, una diversa per ogni stabilimento, che a volte si sovrappongono l’un l’altra. Poi agghindarsi e profumarsi la sera, per esibire muscoli e tette durante la passeggiata negli affollati vicoli del borgo. Vicoli pieni di cianfrusaglie per turisti, di ristoranti per turisti. E ovviamente ancora “boom-boom-music”. Qui si sono inventati anche i DJ nei vicoli, dove ci sarà si e no lo spazio per passare su due file. 

Per fortuna conosco un ristorante non turistico, Il giardino segreto, dove fanno cucina biologica e vegana, ma anche cucina tradizionale rivisita con ricette raffinate. Ravioli di cernia e ricotta al pesto di zucchine, pesce spada panato al forno, crostata senza zucchero con crema al latte di soia, frutta biologica. Ogni volta che passo da Gallipoli è un piacere fare una chiacchierata con i proprietari del ristorante. Lui ha un sogno nel cassetto: farsi costruire un catamarano e girare per il Mediterraneo qualche mese all’anno.

Salpo alle sette e mezza di mattina. Entrando e uscendo da Gallipoli proprio non si riesce a distogliere lo sguardo da questo orrendo grattacielo a vetri. L’hanno costruito all’ingresso della città antica, sopra al porto vecchio, e difronte al castello. Ma come gli è venuto in mente a questi? E gli orrori non finiscono qui. In navigazione arriva il rumore dei bassi della “boom-boom-music” dalle spiagge alla moda di Gallipoli. Si sentono fino a sei chilometri dalla costa...

Mi allontano con piacere da questo inferno. Rotta per Fiskardo, Cefalonia. Per un giorno e mezzo, tanto durerà la traversata, dovrei avere vento a favore intorno ai venti nodi. Perfetto.  
Poco prima del tramonto il vento aumenta, fino a trentacinque nodi, e le onde salgono parecchio. Al buio non è facile vederle, così alcune si riversano nel pozzetto. C’è umidità e sale dappertutto. Anche sui miei vestiti. Ma le onde non sono l’unica cosa da schivare. C’è un gran traffico di navi da tener sotto controllo. Una che stavo tenendo d’occhio da due turni d’osservazione, quindi da circa quaranta minuti, alla fine mi passa a un centinaio di metri. Mi avrà visto? Non ci giurerei. L’importante è che l’abbia vista io. 

Con questo mare riesco a mangiare solo un pacchetto di ciappe. E reintegro i sali minerali con una bustina da sciogliere in acqua. La mia cena. Altro non riesco. Mi tocca stare spesso al timone perché il pilota automatico reagisce un po’ in ritardo alle onde grosse. E comunque sarebbe un peccato dormire con la barca che va così veloce, fino a otto nodi. 

Ci vediamo in Grecia.
 

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