PROFILO

07/11/2014 - 14:46

Dall’Egeo all’Adriatico, in rotta per la Barcolana: il Montenegro

“La musica del mare”, oltre a essere il titolo del mio libro, è anche quello di un concerto per violoncello e due voci (con Luca di Tommaso attore e Monica Pinto cantante), su testi tratti dai classici della letteratura di mare. Sta avendo un gran successo, e ogni tanto ci chiedono di replicarlo. Così dall’Albania ho raggiunto il porto dove è stato programmato. Un breve ritorno in Italia. Poi ripeto la traversata dell’Adriatico in senso inverso, per raggiungere il Montenegro...


La notte in Adriatico scivola tranquilla. Alle prime luci dell’alba appare una costa dai rilievi montuosi piuttosto alti. Intorno ai mille metri. Poi il sole comincia a disegnare le nuvole adagiate sulle vette, illuminandole. Mi godo lo spettacolo in pozzetto facendo colazione, mentre Denecia solca il mare lentamente, a quattro nodi, di bolina. C’è poco vento. Ma io non ho fretta.

Avevo deciso di fare rotta per le Bocche di Cattaro, poi ho visto che poco più a sud c’è Stavi Stefan, il famoso borgo medievale in mezzo all’acqua. L’isola era su tutti i manifesti turistici della ex Yugoslavia. E oggi continua a essere reclamizzato dal Montenegro. Bellissimo. Denecia è l’unica barca ancorata in questo posto incantato. Appronto la canoa per raggiungere la spiaggia e metto piede sul suolo montenegrino. E’ tutto ben curato, forse anche troppo, per il turismo di lusso. E il borgo non si può visitare. Possono entrare solo i clienti dell’albergo. Un borgo medievale privato, che è un complesso alberghiero per ricchi. Pieno di russi. Follia. E il mio pensiero va all’antico borgo di Monemvasìa, dove ai ragazzi greci piace andare la sera per bere qualcosa e chiacchierare con gli amici. Liberamente. Che differenze di intenti.

Il tempo di una nuotata nell’acqua fredda dal colore blu profondo e salpo l’ancora per andare a Budva, sette miglia a nord ovest, per svolgere la pratiche d’ingresso in Montenegro. Altrimenti rischio l'arresto come clandestino. O comunque una bella ammenda. Pago il permesso di navigare nella acque del Montenegro. Lo chiamano “vignette”, come quello che si paga in Svizzera per transitare sulle loro strade. Quello per una settimana costa centoquaranta euro. Fatto curioso: questa giovane nazione non è nella comunità europea, ma ha adottato l’euro nella quotidianità. Centoquaranta euro per tre giorni, tanto starò in Montenegro, la costa è lunga appena trentacinque miglia. Comunque, tutti gli ufficiali della capitaneria di Budva sono molto gentili. Mi concedono anche di rimanere al loro molo un’oretta per visitare il borgo, in modo da non farmi spendere altri soldi per il marina, caro e pieno di mega yacht dei ricchi russi.

Mollo gli ormeggi dalla capitaneria e faccio rotta per Bigova, un fiordo profondo e ben protetto. Una situazione simile a quelle che si trovano in Grecia: un ristorante che ha un piccolo molo e delle boe, ma… Ma invece delle casette caratteristiche ben curate ci sono palazzine, alcune addirittura non intonacate. E soprattutto non c’è quell’acqua cristallina. Però c’è tanto verde, come nelle isole ioniche. E vette altissime. Sono quelle di Cattaro, dove farò rotta domani.

Per raggiungerlo bisogna entrare nelle Bocche di Cattaro, un lungo e frastagliato fiordo che si insinua per cinque chilometri in mezzo a montagne alte fino a 1700 metri. Pare che all’inizio della stagione balneare siano ancora innevate. Durante le recenti vicende belliche il fiordo era una naturale base militare, e qua e là se ne vedono i segni. Due fortificazioni all’ingresso delle Bocche, navi militari ormeggiate e abbandonate alla ruggine, ’garage’ per sommergibili. Di questi ce ne sono diversi. Quello meglio conservato è il primo entrando sulla destra. Ha anche un molo dove ci si può ormeggiare liberamente, all’inglese. All’interno delle Bocche sembra di stare in un lago svizzero. E come in un lago, tutte le sponde sono piene di case con moli privati, ristoranti e punti attrezzati per la balneazione. Anche se io il bagno proprio non me lo farei. L’acqua è color verde scuro e non è pulita. Qui mare e vela non c’entrano, è come fare una gita turistica. E goderla dal pozzetto della propria barca-casa, magari pranzando o sorseggiando una bevanda, è come stare seduti comodamente sulla poltrona di casa davanti alla televisione. Ma molto meglio. Addentrandosi nel fiordo, mi vengono incontro talmente tante e tali bellezze da sembrare un crescendo rossiniano. E quando attracco a Cattaro mi è impossibile trattenere un’esclamazione di meraviglia. Denecia è ormeggiata davanti al borgo medievale, e sopra a lei si erge un’imponente montagna, con la cinta muraria, che dal borgo si inerpica a zigzag sù fino alla fortezza, a trecento metri d’altezza. E la sera vengono illuminate. Disegnano come una cornice attorno alla mia barca.

A Cattaro visito il museo marittimo, piccolo, ma con dei bei strumenti per la navigazione del passato, poi salgo in cima alla cinta muraria, alla fortezza di San Giovanni. 13.350 gradini. Un chilometro e mezzo in salita, molto ripida. Poi proseguo scalando quella dietro, fino a un’altezza di circa mille metri. Ma una volta arrivato il panorama premia la fatica: il borgo veneziano, che visto da qui sembra come una mappa tridimensionale, l’ultimo braccio del fiordo e le montagne, alte, tutte intorno. Dal porto, andata e ritorno sei ore in tutto, comprese le soste dal capraio sul crinale della montagna, che vende direttamente il suo formaggio.

Al ritorno mollo gli ormeggi e faccio rotta per un’isoletta in mezzo alle Bocche che aveva attirato la mia attenzione, ma arrivo che ormai è buio. Odio attraccare al buio. Controllo e ricontrollo le carte nautiche, i portolani e il gps, poi mi avvicino. Riesco a scorgere il molo a T, ma rifletto ancora un po’. Soprattutto come fare a dare volta alle cime da solo. L’isoletta dal nome impronunciabile, Otok Gaspa od Skrpjela (madonna della scogliera), è disabitata. Ma c’è una bellissima chiesa del Seicento, ora illuminata. E l’avvicinamento dal mare è spettacolare. Faccio una prova, mi accosto, ma la barca si allontana quasi subito per la corrente. Devo essere più svelto a lanciare le cime e scendere. Torno indietro e riprovo, ma arriva una di quelle navette che fanno il giro by night del fiordo con musica a tutto volume, e con potenti riflettori per far vedere la costa e i monumenti ai turisti (ma la chiesa è già illuminata, stupidi). E me li sparano in faccia, così non vedo più il molo. Motore indietro tutta per evitare di finirci addosso con la prua. Aspetto che se ne vanno e faccio il terzo tentativo. Mi accosto, lancio le cime, salto sul molo, passo a doppino la cima di prua e quella di poppa e le tendo contemporaneamente stando al centro. Ora la barca è ferma. Ce l’ho fatta.

Quante soddisfazioni in una sola giornata. La scalata, l’ormeggio sull’isoletta disabitata, di notte, senza aiuti. Ed è la prima volta che sono su un’isola, per quanto microscopica, completamente solo. E’ un’isola artificiale lunga non più di duecento metri. L’hanno creata gli abitanti del borgo veneziano che è sulla costa, Perasto. Riempirono di pietre più di cento navi dei pirati affondate sulla secca, in venti metri d’acqua. Appena spento il motore scendo subito in perlustrazione. Una pace mistica e al tempo stesso spettrale pervade l’isola. Poi ceno in pozzetto, davanti alla chiesetta illuminata. Fantasticando sui pirati, come fanno i bambini. La mattina invece, appena sveglio, faccio un giro in canoa attorno all’isola prima che arrivi la barchetta che di giorno scarica qui i turisti. Così posso immortalare Denecia in questo ormeggio, che rimarrà unico sulla sua rotta. Poi faccio colazione, sempre davanti alla chiesetta. E lo spettacolo non è finito. Poco distante vedo nuotare lentamente un delfino. Solitario, come me, si è addentrato nelle Bocche di Cattaro.

Con il primo gruppo di turisti, una ventina di francesi, arrivano anche le hostess, che aprono la chiesetta e il piccolo museo. Così li posso visitare, prima che arrivi la barca più grande, che deve ormeggiare dov’è ora Denecia. Al banco dei souvenir, all’interno del museo, una gentile donna montenegrina, che abita a Cattaro, entusiasta del suo paese, mi intrattiene raccontandomi due storie. La prima riguarda uno dei tanti ex voto di marinai qui conservati, uno creato dalla moglie del capitano di una grande nave. Ha impiegato venticinque anni per farlo. Rifinito con oro e argento. I capelli degli angeli sono realizzati con le sue ciocche. Nelle variazioni di colore dei capelli si può vedere il passare del tempo, da quelli biondi a quelli bianchi. La seconda storia riguarda le barchette che avevo già adocchiato sul suo banco. Le costruisce un artigiano locale. Sono molto semplici. Ma la loro particolarità sta nel fatto che riproducono, con gli stessi materiali e con le stesse dimensioni, il primo ex voto che è stato portato qui, quattrocento anni fa. Ed è un portafortuna per tutti i montenegrini e per i marinai in special modo. E ora anche per Denecia.

Poi arriva la barca più grande, colma di turisti. Le lascio il posto. Mollo gli ormeggi, carico di meravigliose emozioni. E il resto della giornata lo spreco a svolgere le noiose pratiche di uscita dal Montenegro e di ingresso in Croatia. Alla fine delle Bocche di Cattaro sbaglio porto. Quello dove c’è la dogana è un altro, Zelenika. Trovo un ufficiale gentile, parla italiano. Ma quando scopre che sono solo si irrigidisce come un vecchio ufficiale del Kgb, e mi fa un mucchio di domande. Infine vuole perquisire la barca. Già, ora capisco, per lui è difficile comprendere perché uno navighi da solo. Tutto ciò che esce dalla ‘normalità’ è sospetto. Come prevedevo mi chiede di aprire la custodia del violoncello. Un classico. Anche suonare il violoncello esce dalla ‘normalità’. Insomma, ora che ci penso io sono un ricettacolo di ‘anormalità’.

Ci vediamo al prossimo adempimento di formalità, in Croazia.

Commenti