PROFILO

07/12/2014 - 18:02

Dall’Egeo all’Adriatico, in rotta per la Barcolana: Croazia (II parte), Slovenia, e conclusioni.

Le ultime tappe della risalita della costa orientale dell’Adriatico, in rotta per Trieste, per partecipare alla Barcolana
 
Vrulje, sull’isola Kornati (Incoronata)
Percorro all’inverso il fiordo di Skradin (Scardona), e prima di uscire mi avvicino a Sibenik. Dal mare sembra molto bella. Davvero chi arriva in barca può avere una visione privilegiata dei paesi di mare. Vorrei fermarmi anche qui, ma l’ACI marina è a quattro chilometri dal paese, e al molo davanti al borgo medievale non è permesso ormeggiare. No grazie. Basta con questi “marina dell’obbligo”. Procedo con il mio programma. Da parco a parco, da quello di Krka a quello di Kornati. Rotta per nord ovest. Una trentina di miglia zigzagando tra le numerose isolette. Entrando nell’arcipelago il paesaggio cambia repentinamente. La vegetazione lussureggiante lascia il posto a una natura brulla, disabitata, incontaminata. Quasi un paesaggio lunare. E la luce radente del tardo pomeriggio rende ancora più suggestivo questo pullulare di isole e isolette che spuntano dall’acqua.

A metà della costa ovest di quella principale c’è un piccolo fiordo, Vrulje. E’ uno dei pochi agglomerati di case all’intero del parco nazionale. Una volta era un villaggio di pescatori. Oggi di ristoranti. Ognuno dei quali offre il suo ormeggio, al molo o alla boa. Quando arrivo è pieno di barche. C’è uno solo posto, all’inglese. Perfetto. Metto i piedi a terra e salgo fino in cima alla collina. Rimango senza fiato per la bellezza del panorama che si gode da qui. Dal “tetto dell’Adriatico”, come lo chiama Luca Conti, che la Croazia la conosce bene, e mi ha dato diversi suggerimenti. Una coppia di ragazzi inglesi incontrati sulla salita indica l’orizzonte e mi dice: “Your home”. Hanno ragione, si vede addirittura la costa italiana. “ET casa”, dico io, dopo mesi di assenza. Da qui sono solo ottanta miglia. Scoprirò poi che ci sono pochi giorni dell’anno in cui si riesce a vederla. Ridiscendo dopo il tramonto, con l’intenzione di tornare lì in cima domani, e di suonare in quel silenzio. Vrulje merita una sosta di due giorni. Soprattutto la merito io, che in questo passaggio a est sto galoppando per cercare di vedere il più possibile. Perché non credo che in futuro tornerò a navigare in questo mare. Il giorno dopo, quindi, metto Stradi sulle spalle, come uno zaino da montanaro, e mi arrampico sulla collina per arrivare in cima in tempo per il tramonto. Suonare sul “tetto dell’Adriatico”, con questo silenzio, libera l’anima. La fa volare da questa altezza verso l’infinito. Apre dei canali che sembravano esser stati chiusi fino a ora. E il suono di Stradi è come se sciogliesse qualsiasi barriera. Ritrova l’armonia. Ma le emozioni non finiscono qui. Dopo un po’ che suono arrivano i delfini, che saltano proprio sotto a dove sto suonando, molto vicini alla scogliera. E mi piace credere che siano stati attratti dalla mia musica, come nella mitologia greca. Ecco, tornare a far parte della natura, dell’universo, del tutto. In momenti come questo potrei anche essere felice di morire.

Zadar (Zara)
Mollo gli ormeggi da Vrulje e mi inoltro all’interno del parco nazionale di Kornati. Mai vista una tale quantità di isole e isolette. Tutte brulle. Le attraverso in totale assenza di vento, e l’acqua è piatta come quella di una piscina. Le isole ci si specchiano. Sembrano sospese nel vuoto. Alcune sono così piccole da avere una superficie di pochi metri quadri. Altre così vicine le une alle altre da lasciare solo un corridoio per passare con la barca. Arrivato a metà del parco viro verso ovest. Zadar rappresenta una deviazione sulla rotta per Trieste, ma c’è qualcosa che per me vale la pena di vedere, anzi ascoltare. Per arrivarci devo fare lo slalom tra diverse isole, che sono lunghe e strette, tutte orientate verso nord ovest, come se fossero protese verso l’Istria. Poi giunto alla punta a nord di Ugljan (Ugliano), devo tornare verso sud est per qualche miglio. A Zadar per ormeggiare c’è il solito ACI marina, il “marina dell’obbligo”, lontano dal centro. Ma con il binocolo avvisto un pontile in cemento proprio sul lungomare che non è segnalato sul portolano. Non è protetto, ma per una sosta di qualche ora andrà benissimo. Scendo a terra e cerco subito l’organo marino. I suoni escono attraverso dei buchi sul pavimento e dalle feritoie sui gradini del lungomare. A seconda delle onde che passano l’organo suona più o meno forte. Ma le note sono sempre le stesse, pur se in ordine diverso. Penso che chi l’ha progettato abbia scelto una sequenza in modo che, suonata a caso dal mare, non crei dissonanze. Il risultato è più o meno quello della musica new age. Rilassante. Infatti c’è molta gente che sta seduta sui gradini a leggere. Impossibile resistere alla tentazione di duettare con quest’organo, così mi metto a suonare una melodia improvvisata con Stradi. Alla fine vedo che alcuni passanti cercano nelle tasche qualche monetina da darmi, e fuggo prima che le trovino. Mi han scambiato per un’artista da strada. Torno in barca, mollo gli ormeggi e passo davanti all’organo marino. Il più vicino possibile. Cosicché le onde che provoco fanno suonare più forte l’organo. La gente sul lungomare capisce e in molti mi fanno segno con il pollice all’insù. Altri applaudono. Ecco, oltre ad aver duettato con l’organo, l’ho anche suonato.

Molat e Losinj (Lussino)
I serbatoi dell’acqua sono vuoti. Con il galleggiante che non ne segna il livello devo calcolare il consumo giornaliero. E l’ho calcolato male. Così mi fermo a Molat per fare rifornimento. Paesino delizioso. Due sole barche a vela ormeggiate. E senza saperlo mi ritrovo nei luoghi di Aliseo, il bellissimo romanzo di Giuliano Gallo. Me lo dice al telefono quando lo chiamo, per coincidenza, proprio mentre sono qui. Da Molat a Losinj vento forte improvviso da nord. Quaranta nodi e più. Una bolina impegnativa. Prima di entrare nel golfo di Losinj devo stringere il più possibile per poi virare, il che con la trinchetta in mezzo e questo vento non è facile. Vedo tre barche che ci si dirigono a motore. Eh no, nel golfo dove si allenava Straulino da piccolo ci entro a vela. Due miglia con forti raffiche in poppa, mentre rivivo quel che ho letto sul campione italiano nel racconto di Giuliano, Il padrone del vento. Scendo a terra. I croati mi dicono che quel vento improvviso era la bora. Senza saperlo ho avuto il mio primo incontro ravvicinato con questo vento.

Rovinj (Rovigno)
Secondo giorno di bora. Ma meno violenta, trenta nodi. Con vele ridotte navigo fino a otto nodi di velocità di bolina. Mi piace la cuginetta del sig. meltemi. Entro nella baia di Rovinj alle sei di pomeriggio e la prima cosa che scorgo è il lungomare, contornato da bei palazzi veneziani. Poi addentrandomi si apre sulla sinistra la vista del borgo. E’ su una penisola ovale, e le case ne disegnano il perimetro, adagiate sull’acqua. Ma dopo un giro attorno al porto vecchio devo decidere dove attraccare. In Croazia non è permesso stare nel mezzo della vita del paese, come invece capita sempre in Grecia. A Rovinj ci sono due possibilità, il solito “marina dell’obbligo” e le boe, molto più economiche, ma lontane dalla città vecchia. Sono però in una bellissima baia contornata da un parco con una ricca vegetazione, prato all’inglese e pista ciclabile, dove vedo correre a piedi e in bicicletta tanta gente. Per ora vado a fare il pieno di gasolio, perché qui costa meno, e questo sarà il mio ultimo approdo croato. Il benzinaio è dietro al borgo medievale, così ci giro tutt’attorno. La parte posteriore, quella che non è mostrata nelle cartoline, è ancora più bella della ‘facciata’ di Rovinj. La pompa di benzina però è chiusa. Apre dalle otto alle quindici. Ottimo: rimarrò ormeggiato qui, gratis per questa volta. E vado subito alla scoperta del borgo antico. I vicoli stretti che si arrampicano verso il duomo sono lastricati di pietre. Le case sono costruite una addosso all’altra, una su l’altra, disegnando suggestivi scorci. I tetti spioventi a tegole sono inframmezzati da altane e comignoli. E questa meraviglia me la godo anche con le prima luci del giorno, comodamente seduto in pozzetto mentre faccio colazione. Poi mollo gli ormeggi da quello che sarà l’ultimo approdo croato sulla mia rotta.

Slovenia: Piran (Pirano)
Alle tre di pomeriggio entro nel porticciolo di Piran, uno dei pochi sulla cortissima costa della Slovenia. Appena dieci miglia. Al momento non c’è posto, ma l’ormeggiatore mi dice che due barche stanno per andar via. Mi appoggio all’inglese al molo della capitaneria, poi vedo la prima barca che si muove. Mi appresto, ma dei tedeschi arrivati all’ultimo momento ci si infilano. “Ehi!”, gli urlo io. Quelli non capiscono, o fan finta di non capire, poi però sono costretti ad andarsene con la coda tra le gambe quando l’equipaggio italiano della barca a fianco gli dice che c’ero io in attesa di quel posto. Li ringrazio. E loro mi porgono un bicchiere di Müller Thurgau come benvenuto in “quasi Italia”. E il porto di fatto è pieno di barche di italiani. Comincio a sentire odor d’Italia. E’ vicina. Salgo sulla torre per avvistare il confine italiano. Si vede chiaramente Trieste, è a sole dieci miglia. Ma anche Monfalcone e Grado. Dall’alto vedo che nella piazza principale del paese stanno allestendo delle sedie in semicerchio e un leggio al centro. Quando arrivo alla piazza trovo che hanno completato l’allestimento: le sedie sono per l’orchestra, e il leggio è quello del direttore. Un concerto. Suona un’orchestra giovanile della Bavaria, proprio sotto la statua di Tartini, che è nato qui. Se li potesse sentire si tapperebbe le orecchie. Il fatto che siano giovani non giustifica le stonature e l’interpretazione noiosa. Comunque lo spettacolo è suggestivo, per lo scenario di questa bellissima piazza in stile veneziano.
La mattina me la prendo con calma. Trieste è vicina, posso partire nel primo pomeriggio. Così mi godo il mio ultimo approdo all’estero per quest’anno. Piran è una piacevole sorpresa, una bella conclusione per la mia esplorazione dell'Adriatico orientale e di quattro mesi di navigazione in acque straniere. La città è molto gradevole, pulita e ben tenuta. Sul lungomare c’è gente che prende il sole seduta ai tavolini dei numerosi caffè, un po’ come nelle località di montagna. E in effetti l’atmosfera è quella. Austroungarica. Alcuni fanno il bagno, ma sono tedeschi, per loro è estate. A Piran c’è anche un museo del mare. Non me lo perdo. E’ allestito molto bene. Interessante la parte dei reperti trovati in fondo al mare: sotto un pavimento di vetro è stato ricostruito il fondale marino dove sono state ritrovate le anfore. Il palazzo dell’Ottocento che lo ospita è curioso. L’ingresso con le colonne e il timpano non è centrato. Sembra che la famiglia italiana che lo aveva fatto costruire avesse finito i soldi. La signora della biglietteria mi racconta questa e molte altre storie, in un italiano perfetto. In effetti la Slovenia è un paese bilingue.

Conclusioni sulla costa adriatica orientale.
Molte persone mi han messo in guardia sulla scortesia della gente che vive nei territori della ex Yugoslavia, e sui costi elevati per chi ci viene in barca. Per i prezzi dei porti sono d’accordo, ma sono gli stessi di quelli nostri. Quindi, quando gli italiani dicono che i croati sono cari sono come dei buoi che dicono cornuti agli asini. E non capisco perché non protestino così vivacemente per quelli loro. Comunque i croati sono più furbi degli italiani nello “spennamento” del diportista nautico: gli “ACI marina”, che si trovano ovunque, sono tutti dello stato, al contrario che in Italia, dove i privati costruiscono porti fallimentari per rubare soldi, con lo stato complice. Come quello di Fiumicino.

Quindi, restando in tema di corna si potrebbe aggiungere che gli italiani sono “cornuti e mazziati”. E avrebbero da imparare dai croati: hanno messo su un’industria dello sfruttamento del diporto nautico che funziona come un orologio. Società di charter affittano barche ai turisti che fanno rotta, direi quasi obbligatoriamente, nei marina dello stato, distribuiti in tutti i luoghi di interesse turistico.

Mi hanno raccontato che quando son stati inaugurati, i croati hanno dato delle barche ai giornalisti italiani e glieli han fatti girare tutti. Inoltre i loro prezzi per così dire alti, sono più giustificati di quelli italiani, in quanto l’economia croata è basata solo sul turismo. I croati attualmente non producono quasi niente. Per tanto devono vivere con quel che incassano da aprile a ottobre. Per questo tutti i servizi sono di ottima qualità. Qui fanno di tutto per rendere gradevole il soggiorno ai turisti e dare una buona impressione del loro paese. E direi che abbiamo da imparare anche su questo. Last but not least i croati non sono affatto scortesi, come invece mi han detto molti italiani. Tutt’altro. Ma penso che dipenda anche da come uno si pone. Inoltre c’è da dire che gli italiani a volte non brillano di simpatia.

E ritorniamo ai “buoi”. Ma potrebbe essere anche che l’accoglienza dei croati sia migliorata negli ultimi anni. E in tal caso non c’è che da imparare anche in questo. Tuttavia la loro gentilezza non ha niente a che fare con la spontaneità greca e italiana. Non incontri mai un sorriso di uno slavo. La loro è una cortesia di forma. Quel che c’è di bello da vedere sono indubbiamente le città medievali fortificate. E a giudicare da come le tengono penso sia meglio che non appartengano più all’Italia. Gli italiani dal dopoguerra in poi le avrebbero deturpate in ogni modo possibile. Comunque, per questo genere di turismo, non ci sarebbe bisogno di venire in Croazia con una barca a vela, se non fosse che le città viste dal mare sono più interessanti, e che alcune isolette offrono degli ormeggi da sogno. Però per quanto mi riguarda è un turismo che ha poco a che fare con il mare. Che è di colore scuro, a volte nero. A volte sporco. Ma soprattutto a settembre è già freddo, per me. Mentre ad agosto c’è troppa gente. Infine ha poco a che fare anche con la vela, perché vento ce n’è poco. Qui si naviga come nelle isole ioniche. Salvo qualche rara giornata di bora.

Ed ecco la ricetta croata: prendete come base le isole greche dello ionio. Aggiungete un pizzico di brodo svizzero. Allungate con acqua fredda, preferibilmente ghiacciata, meglio se un po’ torbida. Poi decorate con montagne, in dosi da 1000 a 1700 metri. Condite con poco, anzi pochissimo vento. Guarnite con borghi medievali veneziani, disposti come ciliegine. Servite a temperatura invernale. Accompagnate con birra slava o tedesca in abbondanza. Quando portate il conto ricordatevi di applicare il listino prezzi italiano.
 

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