Storia | Regata > Vela Olimpica
28/06/2022 - 12:13
Storie d'oro
"Sembra che abbiamo vinto l'oro"
Il resoconto ironico scritto da Francesca Frazza sulla storia di Ruggero Tita, dalle montagne del Trentino al successo di Tokyo 2020
di Francesca Frazza
Pochi giorni fa è uscito in libreria “Foil”, quello che potremmo definire il diario di bordo del golden boy Ruggero Tita e del suo percorso vertiginoso verso la medaglia d’oro conquistata nelle acque di Enoshima. L’articolo che avevo inizialmente scritto su questa questione è stato bollato dall’atleta di punta dell’Italian Sailing Team come “banale” perché non abbastanza ironico su “quanto questo libro sia incredibilmente autocelebrativo.”
Mettiamola così, Ruggero voleva un Vita da Frafrazza mescolato con un Vita e miracoli di un golden boy ordinario e, come si evince dal libro, quello che Ruggero vuole, Ruggero ottiene. Chi sono io per negare a chi di propria sponte volontà mi chiede di fare del buono e sano sarcasmo?
Scritto in collaborazione con Fabio Colivicchi, effettivamente questo scritto rappresenta un unicum nella storia della vela olimpica italiana, con la speranza che non sia poi destinato a rimanere il solo esempio scritto di una storia simile. La verità è che Ruggero, nell’intervista-confessionale tenuta la settimana scorsa, ha dichiarato: “spero che se ne possano scrivere tanti altri capitoli.” Non so se potremmo tutti essere tanto sicuri con quanto auspicato da Ruggi. Noi gli auguriamo, naturalmente, che il successo di Enoshima non solo possa essere bissato, ma che la sua vita possa essere continuativamente costellata da altre vittorie.
Inizialmente il libro avrebbe dovuto avere un altro titolo e si sarebbe dovuto chiamare “Sembra che abbiamo vinto l’oro”, anche se un altro titolo appropriato sarebbe potuto essere “Le Gesta Eroiche di Ruggero Tita.”
“Sembra che abbiamo vinto l’oro” è la celebre frase che Ruggero ha osato avanzare alla prodiera Caterina Banti dopo aver tagliato l’arrivo della Medal Race di Tokyo 2020. L’intento, a detta sua, era quello di: “una presa in giro, sapevamo bene di aver vinto e bisognava sdrammatizzare la cosa dicendo una mezza cavolata” ed è uno dei primi atti sensati che io mi trovo a condividere estremamente, perché credo che sia fondamentale non prendersi troppo sul serio nemmeno quando, nello sport della vela, sei la prima medaglia d’oro dopo venti lunghissimi anni.
La figura di Ruggero si delinea episodio dopo episodio e ad ogni capitolo si aggiunge quel carattere, quel pensiero in più che aiuta a definirne la crescita personale e sportiva. A dire il vero, chi lo conosce bene non ha bisogno del libro per sapere che Ruggero si dimostra insofferente verso chiunque non sia lui e la sua cricca di malati di foil, senza contare che mostra un’innata propensione per qualsiasi cosa lo spinga fuori dai limiti, soprattutto quando le cose in questione vanno veloci e potenzialmente portrebbero portare alla paralisi totale chiunque di noi altri mortali ci si volesse cimentare.
Come se ci trovassimo in un flusso di coscienza, attraverso gli occhi di Ruggero ci troviamo a ripercorrere i momenti fondamentali, i punti fissi, i personaggi che se ne sono andati, le difficoltà, i successi e gli insuccessi di trent’anni di vita sportiva e non.
Il tratto caratteriale che emerge sin dalle prime pagine è la smisurata passione che Ruggero dimostra per il dettaglio, la volontà di lasciare nulla in balia del caso e qui devo ammettere che mi è andato in tilt il cervello perché da irrispettosa ex- laserista, come Ruggero suole chiamarmi spesso e volentieri, mi domando come questo si sposi con lo sport della vela, che è lo sport dell’imprevisto per eccellenza e che poco lascia al controllo dell’atleta. Il cervello mi segnala un “ERR-404” perché in realtà basta una raffica per far saltare una regata intera, basta anche solo una virata nel posto sbagliato. Basta davvero poco e la regata è tutto un divenire, di salto in salto, di onda in onda. La Medal Race di Tokyo ne è un esempio, il piano era quello di rimanere incollati agli inglesi Gimson-Burnett, controllarli da dietro, senza fare nulla di straordinario e limitando il fattore rischio. Il piano ad un certo punto cambia, succede l’imprevisto e la coppia Tita-Banti si trova davanti agli inglesi. Sappiamo poi come è finita, ma ai fini di questo resoconto a noi non interessa. Limitare il rischio non sembra essere in linea con quello che Ruggero scrive di sé, visto che a quanto pare l’atleta sembra attratto da qualsiasi cosa risulti essere un attentato verso la propria vita. Ruggero, pensaci bene, avevi la possibilità di trovarti in mezzo allo scandalo più grande che la vela avesse visto dai tempi di Rio 2016, possibilmente il tutto vissuto da dietro le sbarre del “Regina Coeli” per alto tradimento e invece per amore della fama hai deciso di mandare tutto a quel paese.
“La situazione è stata gestita con freddezza e determinazione” è la risposta che Ruggero mi da di default a qualsiasi domanda io gli ponga e questo binomio di freddezza ed imprevisto è una costante all’interno del libro. Provo allora a sviscerare questa tematica tentando un approccio quasi Montessoriano alla faccenda. Chiedo: “Allora Ruggero, ci sono tanti pro, ma quali pensi che siano i contro di avere tutta questa freddezza nell’affrontare le situazioni?” Mi risponde: “dimmelo tu” con tanto di sorriso beffardo stampato sulla faccia. Proiettata in un mondo al limite tra il metateatro, quando è il pubblico ad interagire con i personaggi, e i miei peggiori incubi, me ne esco con un balbettante: “Beh, forse, magari, non vivi le cose con la stessa intensità.” Ruggero, a onor del vero, non l’ha presa troppo male e non ha perso occasione di prendermi e prendersi in giro quando, riguardo alla mia domanda circa il percorso emotivo affrontato dagli atleti dalla cerimonia di apertura delle Olimpiadi alla medaglia d’oro, mi risponde: “Guarda, io l’ho vissuta nel piattume delle mie emozioni e sempre nel piattume delle mie emozioni poi abbiamo vinto.” Touchè, 1-0 per Ruggero, palla al centro.
Sempre riguardo al libro, si legge di tante sfide e tanti momenti difficili. Mi chiedo anche se il doversi adattare ad un team, dato il carattere di Ruggero, sia stato uno dei momenti più difficili affrontati nella sua carriera. Non vorrei che qui il pubblico si potesse confondere e potesse avere l’impressione che il mondo di Ruggero ruoti intorno a Ruggero stesso, vorrei invece che il pubblico ne avesse la certezza. Non saprò mai se Ruggero abbia o non abbia colto l’ironia dietro alla mia domanda, quello che so, e bisogna dargliene atto, è che la risposta che mi ha dato è stata estremamente intelligente: “Diciamo che si continua ad imparare. Andare in doppio misto con una donna è stata sicuramente una sfida dura, ma stimolante Si evolve, si continua ad imparare.”
Durante la presentazione di “Foil” si è giustamente discusso che in fondo non sono i momenti belli quelli che ti fanno evolvere. Come quando impari a planare sulle onde e prendi il feeling giusto e c’è quel particolare momento di infinita leggerezza che cerchi di replicare e di superare, così funzionano i bei momenti, istanti che conservi gelosamente e che cerchi sempre di riprodurre e di surclassare. Sappiamo tutti però, e questo Ruggero lo ricorda più volte, che sono gli episodi difficili e tutte le porte che ti vengono chiuse in faccia che pongono le fondamenta per una crescita continua e stimolante. Chiedo a Ruggero di sviscerare uno di questi momenti: “Credo che uno dei momenti più difficili sia stato quando io e Caterina abbiamo iniziato ad andare in Nacra 17.” Ho iniziato a sudare freddo perché ho intuito dove Ruggero voleva andare a parare. In parole brevi e per prenderla alla larga, si era creata una situazione spiacevole per tutti.
La risposta decisa che vi invito ad andare ad ascoltare una volta uscita l’intervista, non è stata seguita da un altrettanto chiara risposta riguardo alla figura di Caterina.
Caterina, si sa e lo ammette anche lui, è sicuramente uno dei punti fissi di Ruggero e non si può parlare del successo di Tokyo prescindendo dalla sua figura. Gli chiedo di spiegarmi il perché, secondo lui, con Cate abbia funzionato meglio che con altri. Nel libro, poi, precisa di aver capito più cose sulle donne da quando va in barca con lei e vorrei proprio sapere cosa deve averlo illuminato. Strabuzza gli occhi, ci deve pensare su un attimo ed elegantemente dribbla le insidie della domanda: “Quando l’ho conosciuta io andavo in barca con Pietro Zucchetti, persona che reputo essere uno dei migliori prodieri e un vero professionista, e mi ricordo di aver pensato che lei mi era parsa come uno Zucchetti, però in versione femminile. Ho pensato che se avessi dovuto affrontare una campagna olimpica con il Nacra, lo avrei fatto con lei.”
Chiudo questo ironico resoconto citando la fine del libro, ringraziando Ruggero per aver messo nero su bianco la sua personale esperienza perché nonostante lo scherzo e le prese in giro, di storie così, di ragazzini cresciuti con un grande sogno, c’è sempre bisogno: “Ai giovani, anche se ho trent’anni e mi sento uno di loro, direi di andare in acqua, sperimentare, provare tutto quello che vi capita davanti. Lanciatevi in ogni occasione, perché non tornano e quelle condizioni del mare non vanno perse. E’ meglio averci provato e tornare a casa con la muta bagnata.”
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