Storia | Regata > Vela Oceanica
20/12/2017 - 17:21
"I mitici francesi semplici e disponibili. I nostri professionisti fanno i sostenuti!
Massimo Juris racconta
Il mio oceano possibile
Intervista "inevitabile" al velista veneto che a 61 anni, in coppia con Pietro Luciani, ha completato la Transat Jacques Vabre con il Class 40 Colombre XL. Una campagna di vela oceanica basata sul calendario francese, ma senza sponsor, senza shore team, senza comunicazione, eppure senza farsi mancare le cose essenziali. La differenza tra le "lunghe" offshore e una transoceanica. I veri pericoli. Lo stress per l'incognito. I punti deboli a bordo. Le decisioni in coppia. E una semplice idea da fare subito in Italia... - VIDEO
di Christophe Julliand
Intervista "inevitabile" a Massimo Juris, armatore del Class 40 Colombre XL che con Pietro Luciani ha concluso la scorsa Transat Jacques Vabre al sesto posto su quindici barche in partenza dopo 18 giorni di regata tra Le Havre in Normandia e San Salvador de Bahia in Brasile. Si chiude così per il Team Colombre (che vi avevamo presentato in questo primo articolo) una campagna di tre anni in Atlantico. Al di là della Transat Jacques Vabre, abbiamo voluto tracciare un bilancio finale di queste stagioni oceaniche.
Saily - La vostra è stata una campagna ''sponsor free'', il vostro risultato salutato dai vostri concorrenti e dall'ufficio stampa come primi classificati tra gli amatori. Quant'è grande il divario tra professionisti e amatori in termini di budget e di tecnica pura? Ed è vero che le vele che usate sono ancora quelle di Halvard Mabire, il precedente armatore della barca?
Massimo Juris - Innanzitutto confermo che nello spirito di “100% sponsor free” le vele del nostro Class 40 sono sostanzialmente le stesse di quando nel 2015 abbiamo comprato la barca da Halvard Mabire. Sono praticamente quelle con cui Miranda Meron ha corso la Route du Rhum 2014. Abbiamo rifatto solo il genoa (solent) che era ormai arrivato e poco prima della partenza abbiamo dovuto rifare la trinchetta terzarolabile perché quando l'ho portata dal velaio per metterla un pò a posto in vista della TJV, mi ha veramente riso in faccia per le condizioni pietose in cui era. Randa, spinnaker e gennaker sono tutti pezzi originali 2011/2014. Mi sembravano comunque in buone condizioni per cui non ho grossi rammarichi anche se mi rendo conto che il mio è un atteggiamento pur inconsciamente “al risparmio”. Nel 2015 abbiamo trovato nell'inventario della barca una randa e degli spinnaker che Halvard aveva rifatti anche se le vele più vecchie a noi sembravano piu' che buone.
Ecco affiorare una differenza tra equipaggio professionista sponsorizzato e amatori come noi. Lo sponsor non è indispensabile: i soldi come nel mio caso li può mettere l'armatore. Ma cosi facendo innanzitutto è probabile che i fondi a disposizione siano meno e poi c'è sempre quell'atteggiamento un po’ al risparmio sulle cose non “vitali” (ma comunque essenziali: le vele sono il motore della barca e non dovresti fare economie proprio su quelle, anche se sembrano ok). Al di la di avere o meno il budget per fare una stagione o una particolare regata, la differenza tra un amatore ed un professionista sponsorizzato è questa: il professionista deve “tirare” di più, deve per forza fare meglio. Fare bene non basta più. C'è un approccio mentale differente, c'è anche una pressione e responsabilità nei confronti dello sponsor.
Inoltre la disponibilità di un budget più ampio ti permette di avere uno “shore team” che altrimenti è difficilmente immaginabile. Non devi stare fino all'ora prima della partenza a bordo della barca ad occuparti di tutto. Puoi staccare, stare in albergo ed analizzare un giorno dopo l'altro l'evoluzione meteo ed identificare i migliori programmi per analizzarlo. Puoi studiare quello che i francesi chiamano il “roadbook”, parola che non esise in inglese ma che rende bene l'idea: il manuale della rotta da percorrere. Ovvero valutare le varie condizioni che si può immaginare influenzeranno il percorso della regata. Grazie ad uno shore team arrivi alla partenza non solo più riposato ma più preparato.
Gli aspetti della preparazione per una regata come la Transat Jacques Vabre sono tantissimi e non riguardano solo la barca e l'equipaggio. C'è un mare di logistica: trasporti, appartamenti, alberghi, arrivo materiali, approvvigionamenti, scadenze, spedizione della barca, della sella, dell'equipaggiamento… e la gestione di tutti i relativi ordini e pagamenti. Poi c'è la comunicazione. Ecco forse se non hai uno sponsor puoi rilassarti un po' sulla comunicazione ma poi scopri che gli altri concorrenti impongo un standard alto e se pubblichi meno foto, video etc diventi una delusione magari anche per i soli familiari ed amici che ti seguono ma soprattutto per gli eventuali futuri sponsors: non ti vedono adesso durante la regata e avrai poco da far vedere loro quando andrai a sollecitarli.
Saily - I nuovi Class 40 (a parte due che si sono ritirati all'inizio della regata) hanno fatto parlare la polvere e tutte le barche arrivate prima di voi sono più recenti. Però avete dato filo da torcere con una barca più datata, vi aspettavate di essere così performanti?
Massimo Juris - Ho detto prima di sponsor e mezzi a disposizione. Il primo mezzo ovviamente è la barca. Non c'è dubbio che le barche di nuova generazione hanno delle potenzialità di gran lunga maggiori della nostra barca di seconda generazione. Ma non è una cosa così automatica ovvero non vale per qualsiasi barca più nuova della nostra e tanto per non far nomi con il nostro Pogo S2 ci possiamo ben difendere da barche come Pogo S3 o Akilaria RC3. Anche per le barche decisamente superiori alla nostra tipo i Mach ed in particolare gli ultimi tipi (V&B, Aina i due primi arrivati) ci sono momenti seppur rari in cui un buon disegno ben preparato come la nostra barca, può continuare a dire la sua: per esempio con aria leggera di bolina stretta o in poppa piena. Non siamo un caso unico: basta pensare al Mini Pogo2 di Ambrogio Beccaria che grazie anche alla sua personale abilità riesce spesso a tener testa a barche più competitive.
Dei nostri limiti ma anche delle nostre possibilità ne eravamo ben consci prima della Transat. Tutta la stagione abbiamo corso senza riuscire ad arrivare al podio ma sempre la con il gruppo dei primi. Una costanza di performance che ci ha regalato il secondo posto al Campionato 2017 Class 40 basato sui risultati nella varie regate dell'anno.
Saily - In testa la battaglia tra i Class 40 è stata epica, tra i due primi si è conclusa nell'arco di un quarto d'ora e hanno regatato spesso a vista. Voi avevate avuto TeamWork nel mirino (siete tornati a 40 miglia) poi ci sono stati i doldrums, il fatto di avere un avversario performante vi ha spinto ad andare più forte?
Massimo Juris - Indubbiamente questa regata è stata molto avvincente per la battaglia del gruppo di testa durata 17 giorni di fila. Il continuo confronto tra questi grandi velisti li ha ovviamente indotti a spingere sempre di più e inevitabilmente il gruppetto di testa ha staccato il resto della flotta che come noi navigava senza riferimenti ravvicinati e la relativa pressione. In queste ultime condizioni prevale l'idea di non avere avarie e di riuscire a finire la regata mantenendo una posizione soddisfacente. Ciò nonostante lo spirito di competizione ci è sempre rimasto. Quando le cinque prime barche marcandosi a vicenda hanno tut hanno tutte scelto di passare nel mezzo di quella finestra ideale tra 25 e 30 Ovest per l'attraversamento del Pot au Noir noi ci siamo detti : ecco una opportunità. Così ci siamo tenuti 60 miglia più a Ovest di tutti.
All'inizio la scelta ha pagato e il nostro distacco dal gruppo di testa si è ridotto da oltre 200 miglia a sole 40 miglia. Dopo l'arrivo abbiamo saputo con piacere che qualcuno nel gruppo dei primi aveva cominciato a guardarci nel tracker se non preoccupato con curiosità! Purtroppo il mattino del 18 Novembre mi pare abbiamo incominciato a vedere i primi riprendere velocità con rotte che facevano presumere la loro uscita dal Pot au Noir e l'aggancio dell'aliseo di Sud Est. Allo stesso tempo noi invece ci siamo di colpo fermati e siamo entrati in una zona di bonacce e temporali che ci ha perseguitato per tutto il giorno senza che riuscissimo a procedere. Una cosa drastica diversa da quanto era accaduto agli altri che avevano solo rallentato. Così non solo è finito il nostro recupero ma ci siamo pigliati nuovamente un bel distacco. Pot au Noir, Doldrums, Calme equatoriali passaggio affascinante e frustrante, tecnico ma anche un gran terno al lotto.
Saily - Sui pontili a Bahia, Pietro ha parlato dell'importanza della concentrazione e delle scelte strategiche a lungo termine in una regata come la Jacques Vabre... Lo vedete come una differenza maggiore rispetto alle regate più corte o tra le boe?
Massimo Juris - Questa Transat Jacques Vabre è la più lunga transatlantica in programma 4350 miglia. Dopo la Vendée Globe (giro del mondo in solitario senza scalo) e la Route du Rhum (transatlantica in solitario) è forse la regata oceanica più famosa. La grande differenza tra la regata lunga e quella breve è proprio legata alla loro importanza ed all'impegno per arrivarci. Se hai dei problemi in una regata breve nel peggiore dei casi ti devi ritirare. Un bel dispiacere certo ma probabilmente domani c'è un'altra prova e ci rifaremo. Nella regata lunga se ti devi ritirare è un dramma. Gli sforzi, il tempo, i soldi e i sogni legati a quella regata sono da buttare.
A questo proposito non possono non venirmi in mente gli amici Fantini e Bona di Enel Green Power che dopo anni di speranze e attesa avevano tutte le carte per disputare una grande regata, svanita per l’imprevedibile urto contro un invisibile oggetto semisommerso. Inoltre un danno a 500 /600 miglia da un porto rifugio può veramente esporti ad un reale pericolo. Per non parlare più banalmente della logistica di un ritiro a Capo Verde per esempio. Dopo aver fatto delle riparazioni di fortuna, come ci torni in Europa? Bolinando contro gli alisei o cercando di risalire sempre stretto sino alle Azzorre e poi “sperare” di beccarti una depressione invernale con venti da Ovest che ti facciano rotolare attraverso la Biscaglia?
Ma anche più semplicemente come è successo a noi. Una banale straorzata, perché ci siamo un pò rilassati sotto spinnaker mentre il vento montava a 30 nodi. Rotto lo spi, uno spi che abbiamo riparato tre volte e che abbiamo rimpianto per almeno quattro o cinque giorni di navigazione durante il resto della regata. La regata lunga è delicata da gestire. Una piccola distrazione quando già stai tirando in condizioni oceaniche può avere conseguenze veramente problematiche. La sensazione che avevamo era di camminare sempre sulle uova. La banale riaccensione del computer di bordo che si è bloccato può avere delle conseguenze nefaste se dopo averlo fatto ripartire perde qualche settaggio o simile.
L'elettronica è il grande punto debole di queste barche da grande altura: ce n’è tanta, è sottoposta a condizioni logoranti, è indispensabile e non importa quanto ci stai dietro va regolarmente in avaria. Farti una settimana senza la strumentazione del vento o senza pilota è veramente difficile. A noi è andato in avaria il telecomando del pilota. Una banalità, ma posso assicurare che improvvisamente tutte le manovre che dovevamo fare sono diventate complicate. Inoltre non potendo facilmente alternare governo manuale ed automatico la condotta della baca è diventata molto meno efficiente. Certo avremmo dovuto avere un telecomando di rispetto. La prossima volta l'avremo ma di quanti componenti è fatta la barca...
Saily - Hai salutato e ringraziato Pietro per il grande lavoro che ha svolto a bordo. Siete una vecchia coppia ormai, raccontaci la vostra vita a bordo, l'organizzazione dei turni e dei ruoli.
Massimo Juris - Pietro ed io navighiamo assieme da tanti anni ormai, credo sei. Per cui siamo una vecchia coppia ma soprattutto un vecchio skipper 61 e un giovane co-skipper 32. Per cui è inevitabile che a bordo ci sia una suddivisione dei ruoli ed in particolare di chi “va a prua”. Pietro si prepara a prossimi appuntamenti in solitario per cui quale occasione migliore! Scherzi a parte certo c'è una divisione di ruoli ed anche di atteggiamenti. Inevitabilmente Pietro è quello che spinge sull'acceleratore ed è giusto che sia così. Io che sono lo skipper e la barca devo cercare di portarla sana e salva alla fine e senza che ci facciamo male, sono quello che deve tirare indietro.
Certe volte mi sembra di fare la figura del ''cacasotto'', ma poi ci ripenso e va bene così. Ci dà un momento a tutti e due di riflettere se fare o meno quella manovra o passare così vicino agli scogli. Ci accendiamo una sigaretta e incredibilmente nel tempo di fumarla la situazione puntualmente si acclara. Il vento cala un po’ e allora si puo fare la manovra o magari Pietro ci riflette un po’ ed effettivamente non vale la pena rischiare per passare in mezzi agli scogli. Posso dire che alla fine anche per il buon carattere di Pietro un accordo condiviso l'abbiamo sempre trovato e soprattutto in tre anni di Oceano ci siamo dovuti ritirare una sola volta (perdita dell'elettronica) e abbiamo rotto molto poco.
Saily - Proviamo a fare un bilancio di questi anni passati a regatare in Atlantico. Cosa manca in Mediterraneo e in che modo, se ritieni sia il caso, si dovrebbe o potrebbe prendere spunto per lo sviluppo della vela in Italia?
Massimo Juris - Una grande esperienza. Questo è il bilancio dopo tre anni di Atlantico. Ci siamo abituati a navigare con tempo duro una cosa che in Mediterraneo quando succede ti prende sempre non dico impreparato ma un po’ di sorpresa. Abbiamo molto amato l'ambiente della Course au Large. I navigatori oceanici professionisti ci hanno accolto da neofiti, aiutati, incoraggiati e finalmente complimentati con grande sincerità. La semplicità e la disponibilità di questi mitici velisti ci è inevitabilmente saltata all'occhio comparandola con i toni spesso sostenuti di alcuni professionisti di casa nostra. La mancanza poi di complessi sistemi di rating e gli effettivi ed accurati controlli di stazza prima delle regate inclusi i piombaggi dei motori eliminano tutto un mare di sospetti e polemiche che da sempre avvelenano l'ambiente delle regate in Italia.
Questo è certamente uno suggerimento di questi anni all'estero: si facciano accurati e ripetuti controlli di stazza, si piombino i motori, si sia meno tolleranti con chi non sta alle regole del gioco. L'altra cosa che abbiamo visto in questi anni in Francia è l'apertura del mondo delle regate al grande pubblico. Questo è un lavoro importante che dovrebbero fare i circoli. Trasformare le regate in una festa popolare: si aprano le porte dei circoli e delle Marine, si dia accesso al pubblico agli ormeggi delle barche, si invitino le scolaresche a vedere le barche e si facciano venire le bancarelle per trasformare i giorni prima della partenza e all'arrivo in una grande sagra... Qualcuno storcerà il naso ma solo così, informando ed attirando il grande pubblico, si potrà creare quel ritorno mediatico che porterà gli sponsors... La Barcolana insegna.
Saily - Quali sono i vostri progetti per il futuro, c'è qualche Colombre XXL nel cassetto?
Massimo Juris - I suggerimenti su stazze e piombaggi mi vedono direttamente interessato perché per me si chiude l'avventura Class 40 e spero prestissimo di ripartire con un bel cruise- racer IRC in Adriatico dove è casa. Una barca piccolina sui 34 piedi, forse con un occhio alla Transquadra... Niente Colombre XXL quindi ma Colombre Small o Medium.
Pietro da parte sua sta cercando uno sponsor per la Rotta del Rhum che partirà a Novembre 2018. Una grande traversata Atlantica in solitario per la quale ha ormai acquisito tutta la necessaria preparazione. Se i tempi per trovare un adeguato partner si rivelassero troppo stretti il suo target successivo è la Mini Transat 2019. Per Pietro l’Oceano continua quindi.
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