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18/11/2019 - 19:37
Transat Jacques Vabre
Pietro Luciani altra Italia d'oceano
Pietro Luciani è un altro bel volto e un'altra bella notizia della vela italiana in oceano. Appena arrivato ottimo 10° con rimonta al limite del clamoroso tra i Class 40 alla Transat Jacques Vabre, in coppia con l'armatrice francese Catherine Pourre, Pietro è giovane ma naviga da lungo tempo e ovunque, e dopo l'esperienza con Massimo Juris e Colombre XXL, stavolta ha dimostrato di essere al livello dei migliori della classe. Dove puo' arrivare?
L'INTERVISTA A PIETRO LUCIANI ALL'ARRIVO A BAHIA (Christophe Julliand)
Saily - Era la tua seconda partecipazione alla TJV cosa è cambiato in questi due anni e con quale stato d’animo avete affrontato l’edizione 2019?
Pietro Luciani - E' cambiato molto tra il 2017 e il 2019. Nel 2017 era per noi la conclusione di un progetto che è stato definito amatoriale perché non sponsorizzato, ma era comunque un progetto gestito da Massimo Juris e da me in maniera professionale, cioè con l’impegno di due professionisti ma le risorse di due amatori. Era la fine di un progetto che ci ha visto crescere insieme dopo due stagioni in Mediterraneo, siamo andati in Atlantico ripartendo dal nulla, con zero esperienza e poco alla volta, insieme, siamo cresciuti di livello e di performance fino ad arrivare a fare una Transat Jacques Vabre che ci ha molto soddisfatti. Era una prima, nessuno dei due aveva fatto una cosa del genere, non sapevamo bene cosa aspettarci. Dunque oltre alla questione sportiva c’era un aspetto romantico, è un'avventura che abbiamo vissuto insieme e come tutti abbiamo avuto i nostri problemi, era un po’ un incognita.
Nel 2019 invece sono alla quinta stagione in Class 40. Quest’anno abbiamo fatto tutte le regate possibili e immaginabili sempre con buoni risultati. Alla fine in questa Jacques Vabre e con questo risultato, siamo riusciti a difendere anche il campionato generale, quindi quest'anno vinciamo campionato europeo, campionato americano e campionato del RORC. Di sicuro, non siamo partiti da favoriti perché chiaramente siamo un duo pro am (professionisti e amatori), non siamo due professionisti a bordo a differenza di altri equipaggi ma partivamo comunque per per ben figurare in classifica.
A questo punto l'aspetto avventura non esisteva più nella mia testa, predominava il gestire una regata molto lunga in cui ne puoi essere certo, qualche problema si presenta sicuramente. Per cui a monte c’è stata tutta una preparazione per partire alla ricerca di una buona performance in regata. Non ho difficoltà a definirmi un professionista, questo è diventato il mio mestiere (Pietro è architetto di formazione, Ndr), è quello che faccio dal 2018. E dal primo anno che lavoro con Catherine, la sua barca non è mai scesa del podio. Quindi questo è lo spirito con il quale abbiamo approcciato questa regata: cercare di ottenere un risultato importante
Arriviamo quindi a come è andata la regata. Raccontaci l'inizio della regata e questa opzione a ovest. Poi lo scalo forzato e quanto è stato difficile dover fermarsi?
Dal punto di vista strategico, è evidente che per gli IMOCA di 60 piedi la rotta sud ha funzionato molto bene, perché le velocità di bolina nella dorsale erano comunque alte quindi non valeva la pena fare tutto la rotta verso ovest che abbiamo fatto noi all’inizio. Per loro conveniva fare rotta diretta verso il traguardo. Per i Class 40 invece, il compromesso fra quanto Ovest fare in partenza nel vento forte e quanto andare a Sud era difficile da trovare. Noi, e si vede chiaramente dal tracking, siamo quelli che sono andati decisi per Ovest.
Abbiamo tirato un bordo fino all’Inghilterra nella Manica. Penso che questo bordo è stato un po' esagerato e il posizionamento giusto è stato quello di Ian Lipinski e Adrien Hardy. Credo anche che gente come Sam Goodchild ed altri equipaggi con tanta esperienza avrebbero potuto seguire quella rotta, perché quando sei un duo così forte con a bordo gente con così tanta esperienza e con tanta confidenza nella tua attrezzatura, ti puoi permettere di andare a cercare quello che noi siamo andati a prendere e cioè 30/35 nodi di vento medio con raffiche a 40. Noi siamo andati dentro abbastanza bene. Ma non benissimo nel senso che raggiungere le velocità che dovresti poter fare secondo le polari della barca in 35 nodi non è per niente facile. Per cui credo di aver sopravvalutato le capacità di poter raggiungere le velocità target. Ciò nonostante il vento forte abbiamo tenuto lo spi piccolo, una sorta di code 5. Ma in queste condizioni paghi caro qualsiasi errore e a un certo punto siamo partiti in straorza e lo spi è esploso. Questo ci è costato tempo a tirarlo giù e del tempo a navigare sotto invelato, il che vuol dire che, sempre con 35 nodi, la barca non andava piano ma navigavamo lontano dalle velocità massima.
E così siamo entrati nella dorsale in una posizione molto più a Ovest rispetto agli altri molto più a ovest degli altri. Perà non abbiamo potuto approfittarne a pieno. Quando abbiamo constatato il danno al timone a circa 200 miglia di Madera, camminavamo fino a quattro nodi in più di tutti quelli che erano segnalati davanti e che avevano scelto l’opzione Sud, quindi Louis Duc, Kito de Pavant e Jorg Riechers. Non ci sono dubbi che avremmo superato queste tre barche e questo ci avrebbe messo quinti in classifica, che per noi era più che soddisfacente, e ci avrebbe messo in posizione di attaccare successivamente. Sarebbe stata tutta un'altra regata e poteva diventare veramente interessante. Rientrare nei primi cinque era l'obiettivo, sapevo che sarebbe stato difficile però era questo il nostro obiettivo, migliorare il risultato del 2017. Quindi quando mi sono accorto del danno al timone, è stato molto duro.
Dopo i primi giorni di regata davvero intensi, quando constatato l'avaria avevamo appena issato il gennaker, l'angolo era più aperto, era uscito il sole, la la barca andava a 14 nodi. Prima di andare a riposare ho preso il timone 10 minuti per piacere e appena preso in mano il timone ho capito che qualcosa non andava. Dunque la delusione è stata veramente molto grande, anche perché quando abbiamo visto da dove veniva il problema, abbiamo capito che non era pensabile riparare in mare e non era neanche detto fosse possibile sistemare il tutto in tempi veloci a terra perché serviva un pezzo di ricambio nuovo per cui, si, è stato un momento molto difficile da vivere.
Scalo forzato a Madera, quindi. Quando ripartite avete l'obiettivo di risalire in classifica?
Ripartire dopo un colpo così non è semplice, non è facile ritrovare la motivazione. Abbiamo pensato al ritiro prima ancora di raggiungere l'isola di Madera: 200 miglia a trascinarsi con un solo timone, la barca che parte in straorza anche sotto invelata, non succede niente di che ma è una sofferenza. Avevamo il morale sotto i tacchi a trascinarsi così in mezzo al mare. Da terra però, sono riusciti a farci arrivare il pezzo di ricambio. È arrivato il ragazzo prima di quanto avessimo pensato, questo ci ha permesso di fare un pit stop di 20 ore. Quando abbiamo saputo che questo ragazzo arrivava a mezzanotte del giorno in cui ci siamo fermati, abbiamo iniziato a ragionare.
Quindi un passo alla volta, vediamo di montare questo pezzo, di fare la riparazione, vediamo di essere convinti della riparazione perché comunque avevamo ancora oltre 3000 miglia di oceano davanti per cui bisognava essere convinti di quello che si faceva. Un aspetto importante che ci ha motivato di nuovo è stato appunto il campionato. Sapevamo che il secondo in campionato era Aymerick Chappelier con Aina – Action Enfance. Con loro vincenti sulla Jacques Vabre, avremmo dovuto fare undicesimi per mantenere la leadership, con loro secondi avremmo dovuto fare quindicesimi. Era fattibile, potevamo salvare il campionato per il quale avevamo dedicato una quantità di energia enorme. Questo è la prima cosa. La seconda cosa è che le regate vanno finite, così come il lavoro va fatto bene…
Certo dirlo così sembra facile, poi quando stai in mezzo al mare per altri 12 giorni a tirare sulla barca senza poter fare il risultato che volevi fare, è un’altra cosa. Quindi procedi passo dopo passo e guardi avanti. Ecco la prima barca che devi andare a riprendere, poi la seconda e così via. Cerchi la motivazione, la trovi e non molli un attimo. Non abbiamo mai alzato il piede anzi abbiamo navigato sempre come se fossimo davanti, magari prendendo qualche rischio in meno. Sotto il groppo ammaini lo spi un po' prima perché ti sentiresti sciocco a prendere troppi rischi in condizioni del genere.
Quindi questa è stata la nostra ripartenza. Un’altra cosa importante è stato quando arrivi a terra, ritrovi la rete e ti arrivano tutti i messaggi di incoraggiamento e di sostegno. Ti rendi conto che hai la possibilità di dimostrare e di portare a termine la regata. Non è banale per quanto uno può abituarsi. Questa è la quinta traversata atlantica che faccio negli ultimi due anni uno può pensare che prendi l’abitudine ma non devi mai diventare così, ogni regata è diversa dalla precedente e ognuna va portata a termine.
Quindi missione compiuta?
Direi di sì. Finire nella top ten di questa regata fa bene allo spirito. Dopo esserci fermati 20 ore, ma non solo aver fatto prima 200 miglia con una barca zoppa che va a metà della sua velocità normale e aver perso dopo altro tempo, 8 forse 10 ore, nel devento di Madera quando siamo ripartiti dall’isola. Finire nei primi dieci fa bene allo spirito anche perché abbiamo tirato come disgraziati fino alla fine.
Credo di aver timonato per 30 ore nelle ultime 36 ore per andare a cercare il concorrente che era al 10º posto. Abbiamo visto che aveva difficoltà, ipotizzando che avesse rotto lo spinnaker, e così era infatti. Comunque aveva 60 miglia di vantaggio a 200 miglia del traguardo potevano sembrare un po’ tanti da recuperare invece quando ti accorgi che fai 3/4 nodi in più ci abbiamo provato e l’abbiamo passato a 10 miglia dell'arrivo. Ma ci siamo riusciti perché abbiamo dato tutto. Fa bene anche ricevere i complimenti sinceri dei nostri avversari. Fa bene e fa venire voglia non solo di continuare ma di rilanciare.
Che futuro per Pietro Luciani navigatore?
Chiaramente il sogno mio è di montare un progetto personale come chiunque si cimenta in questo sport ad alto livello. Ovviamente questo vuol dire avere qualcuno dietro di te, uno sponsor, qualche partner. L’anno prossimo navigherà ancora su questa barca. Abbiamo soprattutto la Quebec Saint Malo da fare, è l’obiettivo importante della prossima stagione ma non nascondo neppure a Catherine il mio sogno di realizzare un progetto personale, idealmente in Class 40 con l'obiettivo di partecipare alla prossima Route du Rhum.
Ma sono aperto a tutto il mondo della course au large, in doppio, in solitario, Figaro, Mini 650 o Class 40. Dipende tutto da cosa si riesce a mettere su. Soprattutto la Class 40 perché dopo cinque anni comincio veramente a conoscere bene queste barche e a saperle portare, sembrerebbe naturale rimanere in questa classe. Quest’anno ho navigato tantissimo, anche troppo, sono stato nove mesi fuori casa. L’anno prossimo abbiamo meno regate e avremo più tempo per provare veramente a tirar fuori un progetto per i prossimi anni un progetto mio, magari un progetto italiano.
Ne approfitto per dire che sono super felice per la vittoria di Ambrogio Beccaria nella Mini Transat. Ne abbiamo parlato molto (Pietro e Ambrogio hanno navigato insieme a bordo di Earendil nella scorsa Défi Atlantique, regata di ritorno dai Caraibi verso l'Europa, Ndr). So un po' cosa Ambrogio ha in mente e che è interessato alla Class 40. Intanto la sua Mini Transat se l'è meritata tutta, mai nessuno meritava tanto di vincere una regata. E anche questo fa bene, fa bene alla vela italiana. Mi fa venire voglia di misurarmi con Ambrogio.
E' tutto molto interessante, è un buon momento, credo che siamo dimostrando il nostro valore. Io nel mio piccolo, eh, non voglio neanche fare il paragone con l’impresa che ha fatto Ambrogio per carità, ma significa che si può fare, possiamo esserci e ce la possiamo giocare. Abbiamo bisogno di trovare sostegno e questo, ovviamente, è più difficile dall’Italia che dalla Francia. La speranza è che tutto ciò si possa trasformare in una crescita, soprattutto per Ambrogio, ma anche per la crescita della vela oceanica in Italia, che possa portare a una conoscenza maggiore di questo sport.
Prima però il Pietro cittadino veneziano...
Voglio aggiungere che è stato molto duro arrivare qui in Brasile, concludere questa regata e tutto l'impegno significa e scoprire che la città dove vivo, la mia città dove sono cresciuto, Venezia quindi, sta pagando a carissimo prezzo le scelte scellerate degli ultimi trent’anni. Quindi il progetto futuro, a breve, è quello di rientrare a casa prendere in mano i miei parenti, i miei genitori, concittadini e amici per cercare di ripulire. Da lontano vedo le immagini, mi senti molto impotente e ne soffro tanto. Quindi forza Venezia! E' il momento di ripartire, di cambiare direzione perché questa città stava andando a sbattere, sembrava come un suicidio neanche così lento. E' il momento di cambiare passo, di cambiare atteggiamento. Per cui c’è tanta voglia di tornare a casa dare il mio contributo e provare a fare qualcosa. Forza Venezia.
REPORT SULL'ARRIVO DI EARENDIL - (Christophe Julliand) Nella Class 40, Earendil dell'armatrice Catherine Pourre insieme con Pietro Luciani, unico italiano a partecipare alla transatlantica in doppio quest'anno, hanno concluso la Transat Jacques Vabre al decimo posto in una classe che contava 27 barche in partenza, che ha visto il ritiro di 5 equipaggi per avaria e che è stata dominata dai Class 40 più recenti come giò raccontato da Saily in questo articolo (LINK http://saily.it/it/news/jacques-vabre-lora-dei-super-class-40).
Era iniziata bene la regata di Earendil. Come i futuri vincitori, l'equipaggio franco italiano ha scelto un'opzione spinta a Ovest dopo l'uscita della Manica e al largo della Biscaglia. E' riuscito a mantenere il ritmo nella prima parte della regata, rimanendo saldamente nel top ten in classifica. Purtroppo, è stata un'avaria del sistema di timoneria a rovinare tutto. Problema che costringe l'equipaggio a un pit stop di 20 ore a Madeira. Riparte quindi tra gli ultimi e inizia una bella rimonta negli alisei. Supera i dolldrums senza problemi a parte la rottura dello hook del code 0 fino a raggiungere il traguardo dopo 19 giorni e 22 ore di navigazione.
Ritrovare la top ten dopo essere ripartiti ultimi. Meglio di niente (''Màs che nada'' come dice la canzone brasiliana) ma, nelle parole di Catherine Pourre che era alla sua quarta partecipazione, come in quelle di Pietro che con questa ha corso la sua seconda TJV consecutiva (la prima due anni fa in modalità scoperta con Massimo Juris a bordo di Colombre XXL), c'è comunque un po' di amarezza per come sono andate le cose. Senza questo scalo forzato, l'equipaggio ormai rodato di Earendil avrebbe potuto giocare più a lungo con i primi classificati, come ci ha abituato durante le ultime regate alla quale ha partecipato.
VIDEO L'arrivo di Earendil a Salvador de Bahia
VIDEO La cavalcata di Earendil per recuperare posizioni (senza inutili parole)
VIDEO Dove Pietro Luciani presenta Earendil e parla dei nuovi arrivati della Class 40
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