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09/12/2021 - 12:00

Il 9 dicembre al Royal New Zealand Yacht Squadron

Auckland, un’assemblea decide il futuro di ETNZ

MOZIONI RITIRATE, I NUMERI DI DALTON, TRATTATIVE E SCENARI: IL PUNTO – Non ci sarà una assemblea straordinaria del club, dopo il ritiro delle mozioni di alcuni soci. Ma l’assemblea conterà ugualmente nel dettare la linea - COMMENTO: QUAL E' LA VERA ANIMA KIWI?

 

di Fabio Colivicchi

Una buona notizia per Grant Dalton e Team New Zealand, il ritiro della mozione e l’annullamento dell’assemblea straordinaria del RNZYS. Resta da vedere quale posizione prenderà il club, detentore dell’America’s Cup, sui futuri rapporti con il team guidato da Grand Dalton al quale finora ha delegato totalmente la gestione sportiva e finanziaria di sfide e difese da oltre 20 anni.

La materia come noto è una sola: molti tra i soci del club vogliono che sia imposto di organizzare e correre la prossima 37 America’s Cup nelle acque di casa, a Auckland. E vogliono evitare che accada quanto invece sembra ormai (quasi) inevitabile: una AC37 disputata lontano dalla Nuova Zelanda, in Europa o Arabia. I motivi del clamoroso trasloco li sta spiegando da mesi lo stesso Grant Dalton: al team defender, per restare competitivo, servono più soldi di quelli che il governo kiwi ha messo sul piatto per la prossima Coppa. Tutto molto semplice, per quanto un po’ triste.

Dalton ancora in queste ore ha dato i numeri: “Il budget per la 37a America's Cup varia poco sia a Auckland che a livello internazionale. I costi necessari per il team ETNZ sono 120 milioni di dollari, e per l'evento AC37 80 milioni di dollari): un budget totale di 200 milioni di dollari che non è mai cambiato.”

Dopo aver affermato che una squadra sottofinanziata è destinata a perdere il confronto con team molto ricchi come gli sfidanti Ineos Britannia, Alinghi, Luna Rossa, American Magic (che significano Jim Ratcliffe, Ernesto Bertarelli, Patrizio Bertelli, Doug DeVos…), e che “L'unico obiettivo di Emirates Team New Zealand è vincere l'America's Cup, non solo partecipare”, Grant ha aggiunto: “Per vincere serve un budget di 120 milioni, o 40 milioni all’anno, siamo sempre stati coerenti con questa cifra.” Sull’impegno del Governo neozelandese (circa 90 milioni complessivi), Dalton ha riconosciuto che difficilmente poteva fare di più anche in relazione ai vincoli finanziari seguiti alla pandemia. Un addio definitivo a ogni speranza di ottenere di più dalla propria nazione, sia in soldi governativi che da finanziatori privati.

Dalton conta di superare l’ultimo ostacolo al portare la Coppa overseas, offshore, lontano da casa, convincendo i soci del RNZYS che quella sia l’unica soluzione. Alla fine sarà così? Non è un caso, guardandosi in giro, che tra i più accesi “tifosi” della scelta offshore di Dalton ci siano tanti osservatori inglesi e statunitensi, convinti che portare il team kiwi lontano dalle proprie acque, e soprattutto renderlo dipendente da finanziamenti esterni stranieri, in definitiva finirà per indebolire il defender. Tra poche ore arriveranno le notizie dall'assemblea dello Squadron, e probabilmente scatterà la fase finale delle trattative con le diverse località ancora in corsa per ospitare la AC37 e finanziare ETNZ. Secondo le voci ricorrenti: Cork (Irlanda), Riad (Arabia Saudita), Valencia e Barcellona (Spagna), più una ventilata "sorpresa" ancora nascosta.

ALLA RICERCA DELLA PROPRIA IDENTITA' - Perché abbiamo scritto che tutto questo è un po' triste? Perché c’entra poco con la storia e la tradizione dell’America’s Cup, sfida prima di tutto tra nazioni, poi tra yacht club, quindi tra uomini. E perché per il dream team velico neozelandese che ha scritto la storia, non sarà un bel capitolo quello di restare vivi foraggiati da miliardari o nazioni straniere, andando a correre altrove, lontano dal calore di un popolo che per oltre 20 anni ha contribuito, direttamente e indirettamente, con una cultura del mare e dello sport velico, con la passione che ha impegnato le istituzioni, con la formazione di campioni, personalità e grandi esperti, alla parabola straordinaria di Team New Zealand.

TNZ ha sempre combattuto (e spesso vinto) in Coppa America contro budget stratosferici, abitualmente superiori ai propri basati sul sostegno della nazione. Perché si spaventa adesso? Perché abbiamo l’impressione che il grosso degli sforzi, subito dopo la vittoria della Coppa 36, sia stato fatto nel cercare soluzioni esterne (comprese le sirene della primissima ora, che volevano la famosa edizione a due, entro un anno, a Cowes, sempre in cambio di denari), abbandonando non solo l’offerta del Governo, che poteva essere intanto una base di partenza non proprio disprezzabile, ma anche le piste alla ricerca di finanziatori appartenenti al mondo neozelandese, oltre che provare a finalizzare un pool di sponsor per la prima squadra di vela al mondo?

C’è chi (tra gli osservatori interessati) si è spinto a dire che qualora non dovesse abbracciare la soluzione offshore, TNZ sarebbe destinato a estinguersi, scomparire e non tornare a lungo in Coppa America. Che falsità. Un team capace di mantenere un legame di orgoglio e appartenenza con la propria gente e la propria terra, sarà sempre vivo e pronto a nuove vittorie. Viceversa, un team che rompesse tale legame, inseguendo visioni planetarie e budget inebrianti, sarà destinato – quello si – a una fine ingloriosa.

Sezione ANSA: 
Saily - America's Cup

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