Storia | Regata > Vela Olimpica
28/12/2021 - 14:28
Il nostro speciale sulle indimenticabili Olimpiadi della Vela 2020
Tokyo Reflections: ripensandoci su...
COSA RESTA DI UNA OLIMPIADE STORICA - La medaglia d'oro della vela italiana e il modo in cui la coppia mista di atleti azzurri ha gestito il prima, il durante e (soprattutto) il dopo Enoshima. Bilanci e dolori, personaggi, storie, ricordi, immagini inedite - FOLLOW-UP A CINQUE CERCHI, TRA EMOZIONI E SPIEGAZIONI - Finestra aperta su Parigi 2024. Dietro un oro c'è un intero movimento, il suo venire da lontano, il suo carattere collettivo, la sintesi di pregi e difetti. Occasione per crescere insieme
BENVENUTI ALLO SPECIALE DI CAPODANNO 2021-2022: TOKYO REFLECTIONS
Cosa fare al passaggio da un anno così intenso all'anno nuovo che si spera possa ripetersi nelle emozioni e portare un vento capace di spazzare via i problemi? Lo Sport ha vissuto l'Olimpiade più sofferta ma anche più ricca. La Vela ha partecipato alla festa. E' tornato l'oro che ci mancava da Sydney 2000. Tra meno di tre anni sarà nuovamente Olimpiade... Per chi vive con passione le gesta di grandi atleti, per chi crede che da una medaglia possano nascere ispirazioni travolgenti e quindi linfa per il futuro della Vela, anche tra chi naviga col vento solo per diporto, per chi oltre al sogno usa la testa e vuole approfondire e prolungare certe emozioni: per voi è nata l'idea di questo Speciale.
Grazie al nostro sponsor Gottifredi Maffioli, Buona lettura e Buonissimo 2022 a tutti voi lettori!
LINK: LA GIOIA A CALDO DEL PRESIDENTE ETTORRE A CASA ITALIA
Tokyo follow-up. L’oro di Ruggero Tita e Caterina Banti
Iniziamo dal presente: oggi le due medaglie d’oro sono giustamente richiestissime e contese. Tutti vogliono Ruggero e Caterina ospiti in radio o tv, o a parlare in un circolo velico, o a premiare in un campionato. E’ sacrosanto, e dovrà anzi aumentare, questo momento di attenzione. Non è semplice popolarità, è grandezza. Vi rendete conto di quanto abbiamo parlato per decenni di Agostino Straulino e Nico Rode? O di Giovanni Leone Reggio? E della stessa Alessandra Sensini…
Le medaglie – d’oro, poi – nella vela italiana sono talmente rare da creare una venerazione che diventa soggezione. Ruggi e Cate (tra poco parleremo del modo in cui sono diventati campioni olimpici) stanno lentamente comprendendo l’entità di quanto fatto. E allo stesso tempo, per età, cultura personale (sono entrambi laureati), caratteri, prospettive future, stanno facendo una cosa sensazionale: normalizzare la medaglia d’oro olimpica. Che non è certo sminuire il trofeo (impossibile), ma è un esercizio di inquadramento, di razionalizzazione, condito con interventi di grande impatto: come quello sulla sportività, rispondendo a qualche provocazione giornalistica sull’aver battuto gli inglesi, l’ingegner Tita e la dottoressa Banti hanno parlato di rispetto dell’avversario, spirito olimpico, vincere con eleganza, e lo stile peculiare dello sport velico rispetto ad altri.
Un processo che va favorito e gestito, perché in ultima analisi puo’ tradursi in una crescita personale e collettiva di un team, e quindi nel rendere meno astratti e lontani nel tempo i successi olimpici. Non a caso, smaltita la prima fase febbrile di inviti e premiazioni, e lasciati passare un Europeo e un Mondiale postolimpici obiettivamente scarichi di significati (e con pochi concorrenti), Titabanti (una cosa sola, sportivamente parlando) si sono rimessi in barca e tra Gaeta e Cagliari hanno tranquillamente ripreso la marcia che ha una nuova destinazione: Marsiglia, Parigi 2024.
Ora veniamo ai Tita-Banti dei giorni di Enoshima, quando è stato scritto un pezzo di storia. Avevano vinto tanto nel quadriennio, è vero, erano la coppia da battere, i più studiati e imitati (senza successo) dagli avversari. Ma questo non basta a blindare un oro, a renderlo certo. In acqua ci si deve andare, col vento e le onde si devono fare i conti, gli avversari non sono quisquilie, stanno lì anche loro e vogliono batterti e vogliono vincere.
In questo senso la medaglia di Enoshima si puo’ leggere in un altro modo. Una coppia di atleti di talento, che ha saputo partire con i tempi migliori nello studiare la novità foil sul Nacra 17, ha continuato a sviluppare e ricercare, ha trovato soluzioni tecniche e strategiche che li ha fatti diventare il riferimento della flotta. Vincere tre europei e due mondiali, varie coppe del mondo e il test event olimpico, nonché per tre volte il premio del Velista dell’anno FIV, sono tutte prove disseminate nel cammino, e ora è facile ritrovare la strada. Eppure, analizzando la vittoria olimpica si nota che il comportamento dei due azzurri, rispetto agli avversari, è stato persino più dominante che nel resto del quadriennio.
Ruggi e Cate negli anni passati hanno anche perso, o regatato male in alcuni eventi importanti. Hanno sofferto la concorrenza rampante di Vittorio Bissaro e Maelle Frascari, mondiali nel 2019 rimettendo in discussione la selezione per Tokyo 2020. Hanno vinto campionati e titoli anche all’ultima regata, o per Medal annullate, insomma hanno vinto, sofferto, perso, rivinto. Sempre forti e rispettati, ma mai dominanti nella modalità schiacciante vista a Enoshima, quando non hanno mai dovuto strafare, sono stati equilibrati in tutto, persino nella gioia del trionfo. Resterà celebre l’audio dei due azzurri sul traguardo della Medal: lui che impartisce impassibile un paio di richieste (“stramba”, “tira giù”) e poi con nonchalance se ne esce così: “Sembra che abbiamo vinto l’oro”.
E’ successo qualcosa a loro o ai loro avversari? Impossibile la seconda ipotesi, impensabile che fuoriclasse (e medaglie olimpiche) come Lange, Waterhouse, Zajac, Pacheco, Delapierre siano tutti insieme peggiorati di colpo. Più verosimile che i nostri abbiano azzeccato tutte le mosse per arrivare al top nei giorni decisivi. Mosse logistiche, tecniche e di materiali, di gestione psicologica. Ruggero e Caterina dei giorni olimpici sono un caso da studiare per il livello di concentrazione. Hanno ripetuto come un mantra fino alla fine che erano lì solo per dare il meglio prova per prova senza sovrastrutture mentali, e lo hanno applicato alla lettera, senza flessibilità, rigidi, come due bravi samurai. Mica facile.
Per fare questo è necessario trovarsi in un ecosistema che ti tutela, ti difende e ti supporta. Una squadra unita e giovane che si vuole bene è la base, uno staff di livello ad aiutare fa il resto. Approccio e contorno, oltre alla tecnica, alle capacità veliche e atletiche straordinarie dei due, sono gli ingredienti che hanno scavato il solco con gli altri equipaggi. La testa come arma vincente, dunque, al contrario di altre volte quando ai Giochi era invece stata l’arma perdente. E’ un tema caldo e quindi da approfondire. Che ha trovato alle Olimpiadi nella nostra squadra tante conferme, piacevoli, e purtroppo due eccezioni. Dolorose.
LINK, LE ORE DELL'ORO - VIDEO: LA MEDAL RACE E LA CERIMONIA DELLE MEDAGLIA DELLA CLASSE NACRA 17
Le conferme: i casi Zennaro e Maggetti
A Enoshima si è trovata in una situazione psicofisica simile a quella di Tita e Banti anche Silvia Zennaro, che si è descritta (ed era visibilmente) “molto serena” per tutti i giorni dei Giochi, e che per questo è arrivata a un risultato storico, il suo migliore a livello internazionale. La serenità da sola non basta (e pochi giorni dopo lei stessa ha saputo di essere incinta, di aver regatato con una meravigliosa minuscola vita in grembo), ci va aggiunta la capacità di tenere la concentrazione per tutta la durata delle regate. Al punto che, anche dopo la disgraziata partenza anticipata nella Medal Race, frutto della voglia dichiarata e giustificata di attaccare e tentare il tutto per tutto, la rabbia di Silvia si è sfogata subito, visibilissima nella diretta tv, sul suo povero Laser preso a pugni, ma ha poi lasciato posto a terra alla riflessione sul bilancio positivo e persino all’annuncio su Parigi 2024. Zennaro dice, di fatto: adesso che ho trovato la mia dimensione, voglio continuare con lo stesso approccio. Ragionamento che non fa una piega e che di certo suona come un monito alla piccola schiera di timoniere italiane, perlopiù giovani ed emergenti con successi youth, che sappiano di dover ancora fare i conti con lei. Puo’ giovare a tutte.
Non molto diverso il discorso su Marta Maggetti. Anche lei ha fatto il suo migliore risultato internazionale da quando regata con le grandi. Anche lei, quasi si scorgeva nello sguardo e negli atteggiamenti, è riuscita a entrare e restare in uno stato di grazia sportiva durante i Giochi, nel suo caso la continuità e la concentrazione si sono applicate alla rabbia agonistica, alla voglia di vertice. Anche nel caso di Marta c’è la riflessione finale, aperta e serena, che parla con rispetto delle avversarie più forti, si riconosce di aver dato il massimo, e apre volentierissimo la finestra sul futuro, che nella tavola comporta una rivoluzione (addio RSX a volume, arriva iQFoil, si vola sull’acqua) che puo’ disorientare. Non Marta, che invece dice: sono pronta, la nuova tavola la conosco e mi piace.
Poiché in passato si è parlato spesso dei flop della vela italiana alle Olimpiadi come di un qualcosa di mentale e psicologico, doverosamente oggi si deve considerare che, almeno nei casi descritti, è avvenuto il contrario. Un inizio di inversione di tendenza, da coltivare.
LINK: LA STORIA DELL'OLIMPIADE VELICA GIORNO PER GIORNO IN 11 CLIP FOTO-VIDEO
Le eccezioni dolorose-1: Mattia Camboni
Mattia sembrava l’ultimo atleta al quale servisse un aiuto psicologico. Sempre col sorriso, sempre trasparente, social, simpatico, e con quello stesso stile anche vincente. Non a caso per lui si parla di personaggio, ha un seguito significativo di tifosi, la crescita agonistica e fisica è arrivata parallelamente alla maturazione da teenager a giovane uomo, l’esperienza olimpica di Rio è servita a capire come gestire il “mostro” a cinque cerchi, il lockdown gli ha dato ulteriori certezze, e i risultati appena antecedenti i Giochi hanno portato puntuali conferme. Mattia è una macchina quasi perfetta e pronta al podio olimpico. L’obiettivo non fa paura e non richiede esorcismi, lui stesso lo sbandiera alla vigilia.
E in acqua, a Enoshima, nei primi giorni tutto si conferma. Non si tratta di una finzione scenica, è tutto vero. Mattia parte forte, è sempre tra i primi, sempre in zona podio, sempre con una pettorina. Persino gialla, nel giorno che segue la famosa protesta a Badloe, sacrosanta e dovuta (lo hanno capito anche gli olandesi), eppure in grado – sommata al rinforzo del vento – di incrinare qualcosa negli equilibri (quasi) perfetti in atto.
Il ventone butta avanti gli atleti da corsa, e Mattia fatica, deve difendersi, fa qualche errore di troppo, in due giorni perde punti e certezze, energie fisiche e mentali, va in riserva proprio nel momento clou. Ma ha un vantaggio: la Medal Race si correrà col suo vento, condizione nella quale lui è veramente una spanna sopra agli altri. E parte da terzo, con pettorina rossa, a 2 punti dall’argento e con 3 di vantaggio sul quarto. Una finale fatta per lui e per portarlo su quel podio che chiuderebbe il cerchio di quanto costruito. Qui purtroppo si rompe la bolla protettiva, il podio “dovuto” diventa ossessione, obbligo, destino, vento e mare favorevoli aggiungono carichi emotivi e creano una sovralimentazione, un sovraccarico. Per un atleta “moscio”, timido, dimesso, sarebbe la carica giusta. Non in un meccanismo perfetto come Mattia. In lui il sovraccarico si trasforma in una voglia incontrollata e inconsapevole di spaccare il mondo e farlo al più presto.
Abbiamo raccontato le immagini tv, con la mezzora di attesa del segnale di Avviso passata a tagliare decine di volte la linea con furiose sessioni di pompaggio. La sua materia. Come se un matematico ripetesse una formula ben nota e dominata, ce n’è bisogno? Il risultato lo ricordiamo bene e fa male ancora oggi, soprattutto per Mattia, che abbiamo visto crescere: nella tua Medal a cosa serve partire rischiando, quasi mangiando la linea, e quindi fuori? Che avesse scelto la parte giusta della linea (l’israeliano vincerà la Medal partendo al suo fianco, ma dentro), che fosse in testa secondo il tracking fino all’intervento della Giuria, non fa che aumentare il disagio nel racconto.
L’atleta, prostrato, incredulo, distrutto, parlerà solo dopo qualche ora, e dirà che era sicuro di sé, delle sue scelte, di essere dentro, di non aver sentito (con le vele che sbattono è difficile) né visto il richiamo individuale sul Comitato, di essere primo… Che si tratti di un caso anomalo di black-out nel senso opposto a quelli del passato, quando gli atleti sbagliavano per mancanza di certezze, lo testimonia la semplice analisi della gara, nella quale bastava una condotta di media prudenza per confermare (non conquistare: lo aveva già) il podio che era suo.
La delicatezza della storia di Mattia sta nel fatto che il futuro riserva alla tavola a vela la citata rivoluzione: il foil è tutt’altro sport, si ricomincia daccapo e si trovano atleti che hanno qualche anno di vantaggio. Non sarà facile, un ricominciare, una salita senza certezze e senza garanzie. Il ragazzo che è diventato uomo ha avuto da Tokyo 2020 una botta atroce, ora va aiutato a curarla e trovare nuovi stimoli per ripartire, dieci anni serviti a diventare Mattia Camboni non si cancellano per mezzo metro.
LINK: TUTTI I NUMERI DI ENOSHIMA, LE STATISTICHE DI WORLD SAILING CLASSE PER CLASSE
Le eccezioni dolorose-2: Elena Berta e Bianca Caruso
Diverso il discorso per Elena e Bianca, più simile ad altre storie olimpiche della vela azzurra. Un equipaggio forte, terzo all’ultimo Mondiale, il mezzo ok, le avversarie note (e anche parecchie in meno rispetto al Mondiale), il campo di regata già svezzato… Eppure, vista la striscia di piazzamenti, le due atlete sono entrate in un tunnel di mediocrità che non gli appartiene, diversamente da Zennaro e Maggetti, Elena e Bianca registrano il peggiore risultato del quadriennio, o giù di lì. Non sono entrate in sintonia con quanto le circondava. Ci hanno detto a caldo che avrebbero lasciato le riflessioni per dopo, e quel momento è arrivato e andrà affrontato con i compagni di squadra e i tecnici. Lo sport olimpico è una brutta bestia perché gioca a scombinare le gerarchie che lui stesso ha creato.
E’ in quel movimento che deve innestarsi l’insieme pazzesco di tecnica, tattica, preparazione, fisico, testa che rende il blocco dell’equipaggio più forte delle intemperie e delle sirene stordenti. Nel caso delle azzurre del 470 questo non è avvenuto, le regate sono diventate una lenta agonia ed è venuto meno persino l’obiettivo che nessuno metteva in discussione, la Medal Race. Sono due atlete giovani e molto volitive, supereranno di slancio questa delusione, tanto meglio e tanto prima per quanto ne capiranno i motivi, e potranno continuare: o separandosi, sulla stessa barca con prodieri e timonieri maschi; oppure restando un equipaggio, Berta e Caruso forever, cambiando barca e provando il 49er FX.
VIDEO TOKYO REFLECTIONS: IL DAY AFTER DI ELENA E BIANCA: VIDEO SU SAILY TV
G&G, tanta roba
Giacomo Ferrari e Giulio Calabrò sono rimasti fuori da questa disamina, ma solo perché non appartengono alle categorie sin qui descritte. Non avevano realistiche ambizioni di medaglia, e non hanno fatto né la regata più bella della carriera, né tantomeno la peggiore. Non hanno avuto black-out, hanno regatato come sanno fare, battagliato con avversari fortissimi, con alcuni acuti da fuoriclasse e qualche scivolone da pivelli. Alla fine portano a casa un sesto posto che conferma le gerarchie degli ultimi anni sul 470 Maschile. L’unico vero grande rammarico preventivo: il fatto di sapere in partenza che non ci sarà per loro una seconda possibilità, col 470 diventato misto dovranno separarsi e accasarsi con una prodiera o timoniera, o con un compagno su un’altra classe (il 49er sembra la scelta di Giacomo) per una campagna verso Parigi 2024 (Marsiglia) che porti in dote le cose che hanno imparato in questi anni e che li hanno fatti arrivare subito sotto la base del podio olimpico.
VIDEO TOKYO REFLECTIONS: IL DAY AFTER DI GIACOMO E GIULIO: VIDEO SU SAILY TV
NEI LINK DELLO SPECIALE TOKYO REFLECTIONS ALTRI APPROFONDIMENTI: VIDEO INEDITI, INTERVISTE, LE STATISTICHE E I NUMERI DEI GIOCHI VELICI, GLI HIGHLIGHTS DEGLI 11 GIORNI DI ENOSHIMA
Conclusioni
Conclusione di queste Tokyo Reflections, con uno sguardo indietro più largo, a comprendere nella vista oltre gli atleti anche lo staff tecnico, il DT Michele Marchesini, il presidente FIV Francesco Ettorre, il Consiglio, tutta la vela italiana che alla fine in un appuntamento così alto, così concreto da apparire astratto, è come se fosse imbarcata sulla stessa navicella a sognare l’impresa e a raccontare chi siamo, da dove veniamo, dove vogliamo andare.
Il dopo-Rio 2016, con i suoi veleni, poteva essere letale, spezzare le volontà, annebbiare le visioni. Tutti hanno avuto la pazienza di aspettare, nervi saldi e barra dritta, si è scelto di mantenere l’impianto che in Brasile aveva illuso e deluso, di ripartire regalandosi più certezze che dubbi. La continuità ha pagato, la pandemia ha fatto sbandare altri più di noi, e ci si è concessi il lusso di attendere l’anno di bonus per decidere le scelte olimpiche in un paio di situazioni dubbie. Scelte che col senno di poi sono state vincenti.
Non è esagerato dire che dietro all'oro olimpico c'è un intero movimento, il suo incedere, il suo venire da lontano, il suo carattere collettivo, la sintesi di pregi e difetti. In questo senso una medaglia, meglio se la più preziosa, è un formidabile strumento: non solo per congratularci e gioire, ma per crescere insieme.
Il bilancio va oltre l’oro di Ruggero e Caterina e la seconda medaglia gettata al vento di Mattia. Squadra snella e tutti di altissimo livello. Certo restano le quattro discipline non qualificate. E’ l’ombra da recuperare subito. Perché Parigi è vicina, e ci abbiamo preso gusto.
LINK: VERSO MARSIGLIA: COME INIZIA IL TRIENNIO OLIMPICO CLASSE PER CLASSE
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