Storia | Barche > Industria

06/12/2012 - 14:45

Delusione UCINA, ma di chi è la colpa?

Nessuno pensa
alla nautica...

“Nel decreto sviluppo non c’è traccia della nautica e dei provvedimenti dei quali si era parlato a lungo col Governo”. Anton F. Albertoni esprime disappunto. Ma gli errori vengono da lontano...


La Confindustria della nautica italiana (UCINA), per parola del suo presidente Anton Francesco Albertoni, esprime disappunto e grande delusione nel constatare che, nonostante gli impegni presi in occasione del Salone Nautico dal ministro dello Sviluppo Corrado Passera, e dal vice ministro delle Infrastrutture e Trasporti Mario Ciaccia, nel Decreto Legge Crescita non ci sono riferimenti alla nautica.

”Non c’è traccia di quanto discusso - tuona Albertoni in un comunicato stampa - anzi nel DL Crescita non c’è una sola parola sulla nautica e sul turismo nautico. Il tutto mentre i posti di lavoro diretti persi da questo settore di eccellenza del Made in Italy hanno sfondato quota 20.000 unità”.

I mea culpa del Governo per come è stata inizialmente gestita la vicenda della tassa di stazionamento - prima della sua trasformazione in imposta di possesso - si sono rivelati del tutto sterili. E mentre il comparto ha visto dimezzare il proprio contributo al PIL e sparire il mercato interno – che ha ceduto l’85% in due anni – per via di vincoli burocratici e persecuzione fiscale, sembra ormai chiaro che la politica non intende occuparsi dei problemi di questo settore industriale.

“Devo dare atto al Direttore dell’Agenzia delle entrate, Attilio Befera, che sul nuovo Redditometro il fisco sta compiendo un vero sforzo culturale – prosegue Albertoni -  ma dal Governo, dall’Amministrazione centrale, dal Ministero dei Trasporti, dalle Capitanerie di Porto non abbiamo avuto alcun ascolto, pur chiedendo da tempo semplici riforme e snellimenti amministrativi, senza oneri per lo Stato”.

Persino la richiesta di istituire un Registro nazionale delle imbarcazioni e navi da diporto, voluto a gran voce dal comparto per dare chiarezza al mercato e allontanare l’immagine di negativa cucitagli addosso dalla stampa, è stata respinta. Vista la difficoltà da parte del Comando Generale delle Capitanerie di Porto di varare tale strumento – il che è fra l’altro è una delle cause dei mancati introiti della tassa nautica istituita con il decreto Salva Italia – Ucina aveva proposto di farsene carico con capitali privati. Ma evidente altri interessi di potere hanno prevalso su tutto, così legittimando il comportamento scorretto di pochi furbetti che rovinano l’immagine di un comparto che fa lavorare 100.000 addetti.

Non va dimenticato che è stata necessaria un attesa di un anno e mezzo perché la Direzione generale del Trasporto marittimo pubblicasse una circolare attuativa delle norme contenute nella legge di conversione del Decreto Sviluppo del lontano maggio 2011, senza peraltro sciogliere molti dei nodi fondamentali. Intanto tutti gli altri dossier sottoposti da UCINA al dicastero di via dell’Arte sono fermi. Ferma la nuova patente nautica, mentre il tavolo per la riforma del Regolamento di attuazione al Codice della nautica non viene convocato da oltre due anni e dalle Capitanerie non è giunto neanche un cenno di risposta sul tema della revisione delle procedure del Port State Control, che vedono l’Italia svantaggiata rispetto ai Paesi concorrenti. Anche dal fronte della regolamentazione delle concessioni demaniali della portualità turistica ancora tutto tace, mentre ai balneari è stata accordata una seconda proroga fino al 2020.

“In queste condizioni non ci sono più i presupposti per fare impresa in Italia – è l’amara conclusione di Albertoni – e sembra impossibile che l’Esecutivo e i suoi apparati burocratici vogliano abbandonare al suo declino la nautica italiana, un’industria che ha dato tanto al Paese e che molto ancora potrebbe dare, con pochi accorgimenti normativi.”

QUELL’IGNORANZA SULLA NAUTICA CHE VIENE DA LONTANO...
Albertoni è giustamente amareggiato, ma la protervia con cui il Governo e la politica continuano a ignorare del tutto il mare, la nautica, l’economia e la cultura che il settore esprime in un paese con 8000 chilometri di coste come il nostro, è qualcosa che viene da lontano, ed è conseguenza, tra l’altro, anche di errori gravi e ripetuti commessi dallo stesso settore e da chi l’ha gestito per anni. L’esecutivo dei tecnici oggi deve affrontare un paese in emergenza, e così ignora un tema apparentemente “superfluo” o accessorio come la nautica e le barche. Questa percezione, e i danni concreti che essa provoca sul terreno pratico, è dovuta anche al modo in cui il settore si è proposto, alle modalità di rapporti con la politica (quella più vecchia e retriva, che ha le maggiori responsabilità nello sfascio italiano), alla incapacità cronica di fare comunicazione, di costruire e offrire una immagine completa di se, della sua storia e dei suoi valori. Il tempo dei dossier ha fallito. La nautica ha fatto solo lobby spicciola, da quattro soldi, si è illusa di avere rapporti con pezzi della politica che invece li hanno (ci hanno) solo presi in giro. I balneari hanno avuto più visibilità e ascolto dei marinai. Si deve cambiare tutto: si può, è il momento di cambiamenti a tutti i livelli, cambiamo anche la nautica e la sua organizzazione, il suo modo di porsi verso l’esterno e la politica.

Commenti