Come nasce una vela
Le sette fasi della creazione
di Emanuele Isonio
Dietro alle vele che issiamo sulle nostre barche, c’è un lavoro certosino per farle nascere. Un mix di cura artigianale e soluzioni hi-tech
Dacron, nylon, film a fibre di carbonio. E ancora, progetti studiati su schermi a cristalli liquidi; plotter che disegnano e tagliano con la precisione di un bisturi chirurgico; saldatori a raggi infrarossi. La tecnologia ha senz’altro lasciato la propria impronta nel mondo delle vele. Ma bastano quattro passi all’interno di una veleria per capire di essere di fronte a un mestiere che ha ancora molto più in comune con i sarti artigianali che con le avveniristiche imprese hi-tech. Nocche e ginocchia dei velai sono lì a dimostrarlo.
Un mestiere dal sapore antico
Sulla sponda sinistra del canale di Fiumicino, a poche centinaia di metri dalle vie di ristoranti presi d’assalto da romani nelle loro tradizionali gite “fuoriporta”, circondato da barche in secco, sorge il capannone che dal 1996 ospita la veleria 3FL. Dietro alla sigla, Francesco Cruciani - velista tre volte campione del mondo, padre delle vele di Mascalzone Latino –, suo fratello Fulvio e una squadra di un’altra dozzina fra tecnici e operai. Più che esperti di nuove tecnologie, veri e propri artigiani velai. “Il nostro – rivela Francesco Cruciani – è un lavoro necessariamente artigianale. Ci si può specializzare nelle diverse fasi ma i mezzi tecnici non potranno mai sostituire la manualità e la cura dei dettagli”. In effetti, progettazione a parte, l’intervento umano è ancora il leader indiscusso delle sette fasi che compongono la nascita di una vela: misurazione, disegno, taglio, assemblaggio e imbastitura, cucitura (o incollaggio), bordatura e finitura.
L’uomo misura, il plotter esegue
Il percorso che porterà rande, genoa, spinnaker e gennaker ad essere issati inizia direttamente sulla barca per la quale le vele saranno realizzate. Sopra coperta, vanno infatti rilevate le misure da inserire nel software per la progettazione: lunghezza del boma, distanza tra punto di mura sul boma e canaletta dell’albero, dimensione della canaletta per eventuali garrocci e diametro dell’inferitura.
Solo a quel punto entra in scena il computer. Il velaio imposta la tipologia di vela che intende realizzare (per la randa, ad esempio, decide il numero di stecche e l’allunamento) e definisce tutti i dettagli necessari al progetto. Il programma di design esegue: elabora misure, forme e numero dei pannelli e dei rinforzi, che saranno poi disegnati e ritagliati dal plotter. La bobina del tessuto prescelto – dacron, kevlar o carbonio che sia – viene stesa su un lunghissimo tavolato rettangolare. Su di esso passerà il plotter, due volte: la prima, la barra meccanica disegnerà i pannelli. La seconda, li taglierà con la sua punta diamantata.
Il futuro è a ultrasuoni
Nella fase successiva, le varie sezioni della vela sono unite con il nastro biadesivo e subito dopo assemblate con macchine da cucire o con una pistola a caldo. A seconda del materiale scelto per la vela, però, in questa fase fa capolino lo strumento più avveniristico: una macchina a ultrasuoni, studiata per le vele a film. I pannelli sono incollati con un biadesivo speciale sul quale vengono passati gli ultrasuoni che “attivano”, scaldandola, una speciale colla. “È uno strumento di assoluta avanguardia – rivela Cruciani – che per ora è utilizzato in pochissime velerie. Ma potrebbe rappresentare un elemento molto importante per il nostro mestiere: il suo grande vantaggio sta nel fatto di assicurare una resistenza superiore a qualsiasi tipo di cucitura”.
Una volta incollati i pannelli, si procede alla bordatura della vela per renderla più resistente e quindi alla finitura: tavoletta della penna di randa, brancarelle, bugne, garrocci, punti di mura, ralinghe, meoli e terzaroli.
Queste sette fasi vengono di solito esaurite nel volgere di tre giorni. “Ovviamente i tempi dipendono dalla grandezza delle vele da realizzare ma anche dal tipo di materiale scelto”. Ma tanto lavoro, cura e passione vengono talvolta vanificati da velisti non proprio impeccabili nel trattare le vele con la giusta attenzione. “Potremmo scrivere un libro su come i clienti rompono le vele”, racconta Francesco Cruciani. “A uno di loro avevamo consegnato un gennaker il venerdì. Ce lo ha riportato il lunedì successivo, completamente distrutto. Mentre stava per issarlo per la prima volta, lo ha fatto finire in acqua e ci è passato sopra con la barca. Se ben trattate, le vele possono durare anni. L’importante è non esporle inutilmente al sole e non farle sbattere al vento”.
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