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08/03/2018 - 19:34

Il richiamo delle grandi imprese a vela

Best Explorer,
altro Nord Ovest

Il Best Explorer, la prima barca italiana a navigare lungo il mitico Passaggio a Nord Ovest nel 2012, ritorna nell’Artico per completarne la circumnavigazione. Il comandante Nanni Acquarone fa il punto, tra racconto di quella prima spedizione e presentazione della prossima. Obiettivo: chiudere il cerchio! - LE IMMAGINI

 

Una serie di entusiasmanti episodi descritti estesamente in un libro scritto a due mani con il suo compagno di avventura Salvatore Magri e uscito da pochi mesi vengono qui accennati per introdurre il lettore al fascino dell’Artico. Nanni non ha saputo resistervi e dopo sei anni di assenza si prepara a ritornare fra i ghiacci per compiere un’altra navigazione, se possibile ancora più difficile, anch’essa unica nella storia della navigazione italiana e ancora più carica di significato sportivo e scientifico: il Passaggio a Nord Est a nord della Siberia e della Russia per tornare al punto di partenza e completare il periplo dell’Artico partendo addirittura dall’Equatore (Nuova Guinea) e con una estesa permanenza in Giappone.

La nuova spedizione si avvale del riconoscimento di Istituzioni Nazionali e di supporto di Enti come l’ENEA, per conto del quale effettuerà esperimenti scientifici. La spedizione sarà l’occasione per una documentazione estensiva di immagini e di video sulla vita di bordo, i paesi toccati e le genti incontrate che verranno diffuse dai media nazionali.

Il racconto “Ma non fa freddo?” La domanda ricorre puntuale ad ogni conversazione e segnala la distanza dell’ascoltatore “medio” italiano dai temi dell’Artico. Una bella differenza dall’interesse specifico che solleviamo invece tra i navigatori d’alto mare, i “blue water sailor” che incontriamo in giro per il mondo e che vengono a conoscerci attraverso un efficiente sistema di passa parola che si diffonde rapidamente e invariabilmente lungo le banchine dei porti!

“Come vi è venuto in mente di impegnarvi in quell’impresa?” Questa è l’altra inevitabile e comprensibile domanda che ci vene sempre posta.

È possibile rispondere insieme a entrambe le domande. Sì, fa freddo, molto, specie d’inverno, l’abbiamo sperimentato durante i primi anni di navigazione al Nord, ma abbiamo modificato barca e abbigliamento in modo da renderlo innocuo, meno fastidioso di quello che si prova andando a sciare. E questo proprio mentre stavamo innamorandoci sempre più dell’Artico e dei suoi incredibili ambienti e panorami, della sua fauna strepitosa, e delle sue popolazioni affascinanti.

L’Artico: un ambiente estremo che mette le persone che ci vanno di fronte ai propri limiti e richiede umiltà e passione prima di elargire le enormi ricompense di cui è custode. È stato con molta titubanza e apprensione, e sicuramente buttando il cuore al di là dell’ostacolo, che ci siamo accinti nel 2009 a programmare il nostro Passaggio a Nord Ovest per recarci in Pacifico, meta che ci attirava già prima di decidere di recarci al Nord.

Il Passaggio a Nord Ovest è la rotta marittima percorsa per la prima volta da Amundsen all’inizio del ‘900, che permette di passare dall’Oceano Atlantico al Pacifico navigando a nord del continente americano. Le ricerche preliminari sulla rotta da seguire ci avevano confermato che nessun italiano aveva mai intrapreso quell’avventura. La possibilità di essere noi i primi era un obiettivo molto attraente e, tutto sommato, alla nostra portata: non capita ormai quasi a nessuno di trovarsi nelle condizioni di essere primo in qualcosa!

Una lunga e meticolosa preparazione della barca, un cutter con scafo di acciaio di 15 metri, una pianificazione difficile, ma fortunata, per definire le tappe e trovare l’equipaggio ha occupato i tre inverni successivi (l’estate si passava continuando a fare esperienza di Nord e di ghiacci).

La nostra organizzazione prevedeva di fare rifornimenti di gas, cibo e bevande a Tromsø e a Reykjavik, per non tassare le poche risorse dei popoli artici, mentre per quanto concerneva acqua e gasolio non ci sarebbero stati molti problemi a trovarli sul posto. Da questo punto di vista la barca può contenere 1.600 litri di acqua e 1.800 litri di gasolio, sufficienti per circa 1.500 miglia di navigazione a motore.

Per sicurezza avevamo a disposizione duplicati della maggior parte degli equipaggiamenti, radio, plotter, gommoni, motori fuoribordo, riscaldamenti, battelli di salvataggio, generatori, ecc. Lo scafo in acciaio ci dava una certa tranquillità, pur non essendo stato costruito con specifiche artiche, ed era adeguatamente coibentato.

La barca poteva ospitare comodamente sei persone, su cinque cabine, la più a prua delle quali occupata da provviste varie.

Avrebbero fatto parte dell’equipaggio ventuno persone, sia uomini che donne, di età comprese tra i ventotto anni e gli ottanta, tutte persone normali, un solo professionista della vela “in libera uscita”. Tutti italiani, tranne due signore che ci hanno raggiunto per l’ultima tappa da Nome a King Cove, dopo la conclusione del Passaggio, una sposata a un italiano e residente a Roma e un’altra comunque di nome e origini italiane.

Finalmente il primo Giugno 2012 la barca partiva da Tromsø, la nostra base norvegese, con a bordo il primo degli otto equipaggi che si sarebbero alternati fino all’Alaska. Nanni, l’autore di questo articolo, e Salvatore sarebbero rimasti a bordo per tutto il tempo, mentre gli altri diciannove si sarebbero dati il cambio, alcuni per più di una tappa. Queste avrebbero toccato Reykjavik in Islanda, Nuuk e Upernavik in Groenlandia, Pond Inlet, Gjoa Haven e Tuktoyaktuk nell’Artico Canadese e infine Nome in Alaska per finire dopo 140 giorni e 8.181 miglia marine a King Cove, poco oltre le Aleutine sulla costa meridionale della penisola dell’Alaska in Pacifico, dove “Best Explorer” si sarebbe fermata per l’inverno.

Il viaggio ha regalato una grande quantità di esperienze, di incontri e di emozioni.

Le tempeste naturalmente non sono mancate, una molto violenta, soprattutto negli ultimi due mesi, con l’inverno artico in arrivo. Nella remota cittadina di Nome, poche decine di miglia a sud dello Stretto di Bering, hanno costretto l’equipaggio a una sosta in porto di ben diciannove giorni, prima di poter affrontare in relativa sicurezza l’ultimo migliaio di miglia nel pericoloso Mar di Bering spazzato comunque da venti superiori ai 35 nodi.

Ma non sono state queste a regalare i brividi maggiori e non dovuti al freddo dei ghiacci. Questi, che si muovono in maniera ben poco prevedibile, malgrado le informazioni diffuse regolarmente dai servizi meteorologici, hanno presentato la più grave minaccia del viaggio in ben tre occasioni. La nebbia, che spesso accompagna i ghiacci in assenza di vento, ha reso più difficile individuare i canali di acqua libera per permettere alla barca di sfuggire all’abbraccio mortale delle enormi lastre che cominciavano a muoversi con l’inizio del disgelo. In un’occasione si sono perfino stretti intorno allo scafo colpendolo con violenza, e per fortuna l’acciaio ha resistito validamente. In un’altra soltanto la capacità della barca di muoversi in acqua bassa grazie alla deriva mobile ha permesso di superare un blocco totale della rotta scivolando lungo uno stretto canale di acque libere che si era formato vicino alla costa.

Altre emozioni, questa volta esilaranti e del tutto inattese ci sono state regalate dall’incontro con gli animali. Balene della Groenlandia, rare e in lenta ripresa da una completa estinzione, iperodonti quasi sconosciuti, gruppi numerosi di globicefali incuriositi dalla nostra presenza e incredibilmente desiderosi di comunicare con noi a fischi, schiocchi e squittii, capodogli, foche, trichechi, beluga e gli immancabili orsi bianchi, per non parlare degli onnipresenti fulmari, i piccoli albatri del nord.

Gli Inuit, la loro gentilezza, curiosità e disponibilità e i loro vivaci e curiosissimi bambini ci hanno aperto gli occhi su un mondo e una vita talmente estranea alle nostre esperienze da sconvolgere completamente una quantità di preconcetti che costituiscono il sottofondo della nostra visione dell’Artico.

Giusto per citarne uno: il riscaldamento, che viene vissuto da loro in modo molto fatalista, è considerato un problema perché la minor presenza di ghiacci rende più difficoltose le comunicazioni tra i villaggi, che sono assai distanti fra loro, comunicazioni che sul ghiaccio e con le slitte risultano assai facilitate.

Infine un’avventura unica che per poco non è diventata eccezionalmente famosa.

Subito all’uscita del serpeggiante e basso Simpson Strait appena oltre la metà del viaggio, stimolati dall’ineffabile Joseph, capo dell’ufficio promozione turistica di Gjoa Haven, ci inoltriamo nella Terror Bay per verificare la segnalazione di un cacciatore Inuit che diceva di aver visto una nave sul fondo. Ovviamente la nostra ricerca è infruttuosa: non abbiamo tempo né esperienza in queste cose. Tanta è stata la nostra sorpresa e anche un po’ la nostra emozione quando nell’autunno del 2016 abbiamo appreso che la Terror, ultima della navi di Franklin ancora mancante, è stata trovata proprio nella baia dov’eravamo andati a cercarla quattro anni fa sotto la traccia della nostra rotta! Eravamo stati a un soffio dalla gloria e non lo sapevamo!

La natura stessa ci ha offerto poi una quantità di spettacoli che riempiono ancora oggi in nostri ricordi. Gli effetti della fata morgana sul mare freddissimo che innalzano ai nostri occhi spiagge piatte fino a farle diventare impervie falesie; i colori quasi artificiali del sole di mezzanotte che ancora si nasconde appena giusto a sud del circolo polare; gli incredibili arcobaleni bianchi che la nebbia genera sopra la banchisa; l’ice blink, l’intenso chiarore riflesso sul cielo dal lontano e ancora invisibile pack; e poi gli impressionanti e imponenti torreggianti iceberg che solcano le onde apparentemente dotati di vita propria, i growler traditori che appaiono all’improvviso minacciosi fra i frangenti proprio vicino alla prua, le lame di ghiaccio che si protendono per metri sott’acqua accanto alle lastre del pack pronte a squarciare la scafo come coltelli nel burro, le falesie che s’innalzano per cinquecento e più metri a strati paralleli assomigliando a gigantesche torte di nocciole e cioccolato e così via continuando per pagine intere.

E poi, naturalmente, l’emozione più intensa: quella di aver centrato l’obiettivo completando il Passaggio, nel passare lo Stretto di Bering tra le due isole Diomede, una americana e una russa, una oggi e l’altra già domani (la linea del cambiamento di data passa tra le due), una in America e l’altra in Eurasia.

Nessuna invece relativa alla convivenza a bordo che, per capacità, preparazione e fortuna, è stata non solo priva di tensioni interne, ma foriera di amicizie solide e durature: una rarità, sia pure non per noi che ne meniamo vanto. Le qualità umane dell’equipaggio fanno la differenza tra una crociera di successo e un disastro. Noi abbiamo avuto la fortuna e anche un po’ la capacità di raccogliere e motivare degli ottimi equipaggi, non necessariamente esperti, ma sicuramente ben assortiti e armonici.

Avere un obiettivo ben chiaro e condiviso è fondamentale. Noi avevamo in aggiunta alla navigazione un programma di diffusione culturale alle scuole Inunit preparato da una Scuola di Torino, l’Istituto Sociale, che abbiamo puntualmente distribuito tramite degli incontri e dei CD. Avevamo offerto a diverse Università di ospitare loro eventuali programmi di ricerca, purché compatibili con la navigazione, ma la risposta è stata quantomeno tiepida e per questa volta non si è concluso nulla.

Tante le difficoltà tecniche e organizzative superate, dai lunghi e complicati viaggi aerei alla sostituzione ai margini dell’Oceano Artico delle batterie che il freddo aveva prematuramente esaurito. Per non parlare del migliaio di miglia navigate senza l’ausilio della bussola resa inutilizzabile dalla vicinanza al polo nord magnetico. I moderni mezzi tecnici, bussola gps, radar, carte del ghiaccio, possono aiutare molto, ma non è facile né gratuito poterne usufruire appieno. La meteorologia è ancora assai incerta. La capacità di essere autonomi è a mio parere ancora essenziale.

La barca si è rivelata peraltro del tutto adeguata al compito, molto affidabile e sicura e preparata bene. La futura spedizione non richiederà altro che un adeguamento dell’equipaggiamento che sta inevitabilmente invecchiando, ma poche aggiunte.

La conoscenza di quanto stavamo facendo ha risentito dei pochissimi mezzi a disposizione (la spedizione era autofinanziata). Solo all’ultimo momento la RAI si è accorta di noi, anche grazie all’opera di mogli e amici che si sono dati da fare. Alla fine abbiamo però ricevuto i complimenti del Capo dello Stato e del Ministro della Difesa e gli onori di interviste alla TV e di presenza in alcuni programmi della stessa e della TV Svizzera.

Gli sponsor sono stati quasi completamente assenti, trattandoci per di più in modo quasi offensivo, salvo il fornitore dell’elica, la Jprop, che ce ne ha data immediatamente una di ricambio di grande valore, del caffé Vergnano e del cioccolato Pernigotti che ci hanno sommerso coi loro ottimi prodotti, di un produttore di SW di navigazione australiano, la Digiboat, che ci ha dato il suo programma e della casa editrice Il Frangente che ci ha fornito qualche carta nautica. Non dimentichiamo il Castello dei Solaro, proprietà di un membro dell’equipaggio, che ci ha ospitato per il gala finale. Come vedete, briciole rispetto al costo vivo totale che ha superato i centomila euro.

Dal punto di vista personale l’esperienza è stata estremamente formativa su diversi piani. Noi tutti dell’organizzazione abbiamo ulteriormente affinato la nostra capacità di programmazione e conduzione di spedizioni importanti. Abbiamo appreso quanto sia difficile raccogliere materiale per un’efficace opera di comunicazione e come sia necessario programmare con cura in anticipo anche quest’attività. Abbiamo compreso i nostri limiti e trovandoci tutto sommato ancora all’interno degli stessi.

La lunga permanenza nell’Artico, con le sue giornate di ventiquattr’ore, i suoi cieli di volta in volta tersi o opprimenti, i maestosi scintillanti iceberg, le distese uniformi della tundra in cui ci si potrebbe perdere in un attimo, gli interessantissimi abitanti che abbiamo avuto troppo poco tempo per conoscere meglio, i bambini sempre allegri e sereni, il bianco permafrost esposto, gli stranissimi “pingo”, le falesie incombenti cariche di uccelli marini, le balene, le foche, i narvali che non siamo riusciti a vedere, le volpi artiche, i caribù, i buoi muschiati, i silenzi profondi, gli archi di luce fra i ghiacci e le nebbie, la solitudine, tutto contribuisce a imprimere nell’animo una struggente nostalgia e un impellente desiderio di ritornare in quest’ambiente remoto, unico e fragile, finché siamo ancora in tempo.

LA NU0VA SPEDIZIONE: OBIETTIVO CHIUDERE IL CERCHIO!

Per questo, dopo diversi anni passati ad discendere lungo la costa americana e traversare il Pacifico a sud dell’equatore, una navigazione di quasi ventimila miglia che ci è parsa al confronto una passeggiata, ci ha ripreso l’irrequietezza e la voglia di ritornare nell’Artico.

Questa volta l’obiettivo è tornare a Tromsø per chiudere il cerchio, passando a nord della Siberia e della Russia: il Passaggio a Nord Est o Northern Arctic Sea Route (NASR). Questa non è una passeggiata: dall’attuale ormeggio della barca in Papua Nuova Guinea si tratta di navigare per circa undicimila miglia, prima attraverso acque dove l’incontro con i pirati non è una favola, poi passando per una zona dove si scatenano i tifoni con terribile regolarità, poi ancora visitando il Giappone, affascinante e semisconosciuto, nauticamente parlando.

Si costeggeranno le inavvicinabili isole Kurili, poi la vulcanica penisola della Kamchatka, che ci ricorderà certamente quella dell’Alaska. Passeremo di nuovo lo Stretto di Bering, questa volta verso nord e ci troveremo tra i ghiacci che cominceranno a sciogliersi, o almeno così speriamo.

Volgeremo allora la prua verso ovest e per quattromila miglia su un mare costellato di bassifondi e cosparso di ghiacci costeggeremo la costa bassa e coperta di tundra del continente Eurasiatico, dove non sarà praticamente possibile ricevere né rifornimenti, a parte l’acqua e il gasolio, né parti di ricambio.

Toccheremo la maggiore latitudine davanti a Capo Celjuskin, quasi 78° Nord, dove la copertura del ghiaccio è quasi permanente e dove non sarà facile trovare un passaggio tra il pack.

Dopo, salvo il buio che avrà cominciato da tempo a prevalere sul sole di mezzanotte, le tempeste autunnali potranno fare la loro comparsa, come hanno fatto nel Mar di Bering la volta scorsa. Infine usciremo dalla Russia a Murmansk e da lì a poco arriveremo dove siamo partiti sei ani fa, a Tromsø!

Questa volta partiremo con alle spalle la credibilità che ci siamo duramente guadagnata e che ci ha permesso di chiedere ed ottenere il patrocinio del Ministero della Difesa, del Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare e dell’Assonautica, mentre abbiamo richiesto e attendiamo di ottenere quello dell’Unesco.

Abbiamo riscosso la fiducia dell’ENEA che ci affiderà l’esecuzione di una serie di campionamenti e di misure sulla presenza del plankton con un loro strumento e stiamo progredendo nell’accordo con il Centro Internazionale Radio Medico, CIRM, per condurre ricerche di telemedicina durante tutta la spedizione in contatto satellitare con l’Italia.

Documenteremo il nostro viaggio con la trasmissione regolare di video e di cronache e saremo certamente seguiti da numerosi media.

Senza entrare nelle difficoltà tecniche, nautiche e burocratiche dell’impresa, sia sufficiente dire che questa rotta è stata percorsa da meno di un decimo di barche da diporto rispetto a quella del passaggio a Nord Ovest.

La spedizione ha certamente bisogno di sostegno sia morale che finanziario, il budget è cinque o sei volte superiore a quello della spedizione precedente. Per questo ogni contributo sarà accolto con gioia e riconoscenza.

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